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20 maggio
Corrie cavalcò dal campo fino al canyon. Era riuscita a stare nelle sue quarantotto ore, e in qualcuna di più, prima che arrivasse la bufera, e per questo era grata. D’altra parte, una ricerca meticolosa al campo non aveva prodotto prove schiaccianti, e anzi aveva dovuto ammettere che non ne avevano trovate anche solo di incriminanti. Se l’assassino era un membro della squadra, era stato molto più avveduto di quanto inizialmente ipotizzato da Corrie.
Avevano fatto, però, una scoperta significativa: il laghetto nel piccolo circo glaciale dietro il campo era il luogo effettivo dell’omicidio. L’assassino aveva tentato di nascondere le tracce, appianando il terreno lungo la riva e rimettendo a posto le pietre spostate, ma un’attenta ispezione aveva rivelato che era stato teatro di una colluttazione. Inoltre, l’assassino non era riuscito a nascondere del tutto i segni di trascinamento verso il punto in cui era stato trovato il corpo. Questo, però, aveva solo sollevato altre domande. Che stava facendo Wiggett al lago nel cuore della notte? Doveva incontrare qualcuno? Ci era stato attirato? Aveva lasciato la sua tenda deliberatamente: si era vestito pesante e aveva indossato gli scarponi da trekking anziché gli stivali da cowboy. Questo stava a indicare che si aspettava un terreno accidentato. Il rapporto del medico legale avrebbe verificato, auspicabilmente, la serie di lesioni che aveva portato alla sua morte, ma non era sicura che questo l’avrebbe aiutata nella sua ricostruzione.
Se qualcuno nel campo aveva ucciso Wiggett, non aveva lasciato prove evidenti. In Corrie cominciava a farsi spazio l’idea che qualcuno dall’esterno, in agguato vicino al campo, avesse spiato il gruppo e commesso gli omicidi. Aveva mandato Devlin e i suoi a cercare nel bosco circostante i segni di un recente passaggio, ma non avevano trovato nulla.
A mezzogiorno erano partiti tutti, ma Corrie era rimasta lì, ostinata, riluttante a lasciare la zona, nella convinzione che dovesse esserci qualcosa, qualcosa, che si erano persi e che avrebbe portato all’assassino. Quante volte aveva fatto un «ultimo» sopralluogo nel campo? Ma ora il suo tempo era finito e doveva sbrigarsi a tornare sul sentiero. Anche affrettandosi, in ogni caso, probabilmente non sarebbe arrivata prima del buio, e il vento si stava già facendo più insistente. Si prevedeva che la tormenta sarebbe arrivata verso l’alba. Ad aspettarla in cima al sentiero ci sarebbe stato Morwood e, forse, il nuovo agente speciale di Sacramento che avrebbe assunto l’inchiesta.
E sarebbe finita.
Mentre cavalcava, fu pervasa da un senso di frustrazione: per la mancanza di prove, per la sua incapacità di sviluppare una teoria e di trovare una connessione con il caso Parkin. Non poté fare a meno di tornare sugli errori che aveva commesso: parlare troppo, dire agli altri che pensava che Peel potesse essere stato assassinato, alienarsi le simpatie di Devlin e permettere a Nora Kelly di costringerla a limitare la chiusura del campo a quarantotto ore.
Ma forse il caso era semplice come credeva Morwood: si trattava di un sordido omicidio che riguardava i venti milioni in oro e niente di più. Lui aveva decenni di esperienza alle spalle, lei solo pochi mesi. Un’altra cosa che le avevano inculcato all’Accademia era che di solito la spiegazione di un crimine era la più ovvia. Evitate la tentazione di cercare moventi contorti e cospirazioni improbabili, li aveva avvertiti un istruttore. La vita non è un romanzo di Agatha Christie. I criminali sono stupidi e i moventi della maggior parte dei crimini sono ovvi e banali.
All’improvviso, alzando lo sguardo, si rese conto di trovarsi in una zona sconosciuta: davanti a lei un peccio gigante, spaccato a metà da un fulmine, che non aveva mai visto prima. Imprecò ad alta voce: a furia di sguazzare nell’autocommiserazione, si era allontanata dal sentiero.
Prese il cellulare e controllò la sua posizione sull’app del GPS. Anche se non c’era campo, il GPS funzionava indipendentemente dal telefono, e lei si era premurata di scaricare prima le mappe dell’area. L’app le mostrò che, invece di andare verso l’Hackberry Creek all’incrocio con il Poker Creek, aveva saltato una curva e percorso quasi mezzo chilometro su un canyon laterale senza nome sul lato opposto del torrente.
Le quattro in punto. Nuvole scure le toglievano ogni visuale del cielo e l’aria era elettrica. «Andiamo, Sierra» incitò il cavallo, tentando goffamente di farlo girare. «Forza, ragazzo… più veloce!»
L’animale, del tutto indifferente alle sue suppliche, si voltò lentamente e arrancò verso il canyon. «Sbrigati, per l’amor di Dio!» Smosse le redini, ma il cavallo la ignorava.
Non si sarebbe mai abituata a montare. Le sembrava di avere tutti i muscoli a pezzi. Mentre cavalcava lungo il torrente, attraversò una radura e notò i resti di un focolare. Trattenne il respiro. Forse, era l’accampamento di qualcuno che aveva spiato il gruppo, una persona o magari più. «Frena, Sierra! Frena, dannazione!»
Il cavallo si fermò riluttante. Corrie smontò e legò la cavezza a un albero. Si avvicinò con cautela, cercando di lasciare tutto il più possibile com’era, ma rimase delusa nel constatare che il focolare non era recente. Nella buca si erano raccolti foglie autunnali e aghi di pino, il che significava che il rudimentale accampamento doveva risalire a prima dell’autunno precedente. Nessuno era stato lì da allora.
Eppure era un posto strano in cui accamparsi, lungo un sentiero sperduto, vicino a un ruscello troppo poco profondo per la pesca, in un canyon buio e deprimente. Prese un bastone e rimescolò le vecchie ceneri, scoprendo alcuni residui di qualcosa, bruciacchiati qua e là, ma ancora relativamente intatti. Pur sentendosi un po’ sciocca, li fece scivolare in un sacchetto per le prove. Era un’altra delle cose su cui li aveva messi in guardia l’istruttore a Quantico: Nei casi dubbi, lasciate perdere.
Slegò il cavallo, rimontò e lo spronò a lungo. Il vento soffiava, e scuoteva sibilando le cime degli alberi. Aveva tre ore per percorrere prima del tramonto una ventina di chilometri su un sentiero accidentato. Porca puttana, ce l’avrebbe fatta per un pelo.
Assestò a Sierra un bel calcio e alla fine lo fece passare a un lento trotto. Odiava il trotto – la faceva rimbalzare come una pallina impazzita – ma preferiva avere il culo dolorante piuttosto che perdersi in montagna di notte. Per giunta, rischiando di farsi lambire da una bufera.
Arrivò al Red Mountain Ranch con le ultime luci del tramonto. Come previsto, Morwood la stava aspettando. «Gesù, Swanson, mi stavo preoccupando!» la rimproverò mentre lei smontava e consegnava le redini a un mandriano, per trascinarsi poi verso il suo superiore. Riusciva a malapena a camminare.
«Stai bene?» chiese Morwood.
«Nessun problema. Rimarrò solo paralizzata a vita per aver cavalcato quell’impiastro» rispose Corrie.
«Non avresti dovuto scendere da sola.»
«Volevo andare sul sito un’ultima volta.»
«E?»
Scosse la testa.
Si diressero al parcheggio. «Volevo dirti che il caso è stato assegnato all’agente speciale Nick Chen» la informò Morwood. «Domani mattina, arriverà da Sacramento. Ha uno stato di servizio impeccabile e, altrettanto importante, ha fama di essere un tipo in gamba. Penso che ti piacerà lavorare con lui al passaggio delle consegne.»
«Okay.»
Morwood sorrise come un organizzatore di incontri romantici. «Parto con un volo notturno per Albuquerque. Corrie, resterai qui il tempo necessario ad aggiornare l’agente Chen. Ti ho prenotato una stanza al Truckee Inn per i prossimi giorni. Passagli tutti i tuoi appunti, le prove e tutto il resto. Temo che dovrai aspettare la tormenta in arrivo, ma dopo che sarà passata vorrei che gli mostrassi il campo e lo presentassi al gruppo. Dopodiché mi raggiungerai ad Albuquerque.»
«Va bene.»
«Hai domande?»
«No, signore» rispose lei.
Salirono sulla macchina di Morwood e percorsero l’autostrada verso il Truckee Inn. Mentre usciva, lui le offrì la mano. «Se non stessi per imbarcarmi, ti comprerei una bistecca gigante. Ottimo lavoro, agente Swanson. E se hai bisogno di qualcosa, non esitare a chiamare.»
Mentre Corrie attraversava l’atrio diretta al banco della reception, le si avvicinò a grandi passi una donna bionda, ben vestita, con un paio di occhiali appesi al collo con una sottile catena d’oro.
«Agente speciale Swanson?» chiese.
«Sì.»
«Sono la dottoressa Fugit, presidente dell’Istituto archeologico di Santa Fe. Abbiamo parlato al telefono, come ricorderà.» Strinse la mano a Corrie, poi si infilò gli occhiali per esaminarla come se fosse un reperto archeologico. «Ha un minuto?»
«Ehm…» esitò Corrie, poi ricordò l’avvertimento di Morwood sul fatto che avrebbe dovuto andare d’accordo con tutti. «Sì. Come posso aiutarla?»
Fugit la condusse in un angolo riparato dell’atrio. Si sedettero su un divano arancione, e la donna si sporse verso Corrie, la voce improvvisamente gelida. «Sembra che pensi che nella mia squadra si nasconda un assassino, giusto?»
Corrie si prese un momento per ponderare quale potesse essere la risposta migliore. Resta calma, non alterarti. «Nessuno è stato accusato di nulla» disse, «e nessuno, qui, fa illazioni. Stiamo conducendo un’indagine per omicidio, è solo routine.»
«Routine? Ha chiuso un intero sito archeologico!»
«Abbiamo finito con la raccolta delle prove. Non appena vedrò Nora, riconsegnerò il sito a lei e alla squadra.»
«Ora non serve più a molto, con la bufera che sta per abbattersi su di noi, no?»
Ormai, il tono era diventato caustico, e Corrie non rispose. Come se avere a che fare con Nora non fosse abbastanza, il suo capo era una stronza arrogante.
«Ha qualche sospetto? Un movente? Qualcosa?»
«Mi dispiace, non posso discutere i dettagli.» Si spostò sul divano. «Quello che posso dirle è che l’inchiesta è stata trasferita a Sacramento.»
«E cosa dovrei dedurne?»
«Che l’agente speciale Chen assumerà il caso e io tornerò nel New Mexico. Potrà esprimere le sue preoccupazioni a lui.» E lui potrà dirti esattamente dove ficcarti il tuo scavo. Corrie sorrise.
Fugit si tolse gli occhiali e li lasciò cadere. «Mi sembra che fino a oggi la gestione di questa indagine sia stata incompetente e sconsiderata. Presenterò un reclamo.»
«È un suo diritto» disse Corrie, «ma sono certa che scoprirà che è stato fatto tutto secondo le regole.»
«Vedremo.»
«Mi permetta di assicurarle che l’FBI confida di risolvere il caso e arrestarne l’autore.» Corrie si sforzò di mantenere un tono distaccato mentre ammanniva al presidente quella banalità.
Fugit si alzò in piedi. «Spero sinceramente che lo faccia.» Fece una pausa. «E quanto all’oro lassù? Presumo che lei ne sia al corrente.»
«Sono stata informata.»
«Come ha a che fare con tutto questo? L’omicidio è collegato in qualche modo?»
«Ancora una volta, dottoressa Fugit, non posso entrare nei particolari.»
«Che cosa può fare, allora?»
«Come ho ripetutamente spiegato… niente.»
Fugit si accigliò. Quindi, senza aggiungere una parola, si voltò e se ne andò, senza neanche salutare, i tacchi neri che echeggiavano sul pavimento di legno.
Corrie fremeva. Doveva lavorare per non lasciare che gente prepotente come Fugit la irritasse a quel modo. Era stata vittima di bullismo, da adolescente, ed era ipersensibile. Era una debolezza: se voleva diventare un buon agente dell’FBI, sarebbe stato meglio imparare a gestirla.