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23 aprile
Il telefono sulla scrivania di Swanson squillò. Due squilli brevi: una chiamata interna.
Sollevò la cornetta. «Sì?»
«Swanson?» Era Morwood.
«Sì?»
«Ti dispiacerebbe venire un momento nel mio ufficio?»
«Subito, signore.»
Swanson spinse da parte le cartelle che stava esaminando (caso irrisolto numero 7) e si alzò. Non era da Morwood chiamarla nel suo ufficio a quel modo; non a quell’ora del mattino. Era piuttosto puntuale sui loro incontri settimanali e sulle sessioni di revisione, ogni martedì alle due. Data la lunga abitudine, quello che provò subito furono senso di colpa e ansia. Cazzo, aveva fatto qualcosa di sbagliato?
Nelle ultime due settimane, in aggiunta al normale lavoro di scrivania, Morwood aveva lasciato che, fucile in spalla, Swanson partecipasse con due squadre della DEA a delle incursioni a un laboratorio di metanfetamine a nordest di Albuquerque. Erano blitz quasi di routine, e lei non era altro che un’osservatrice armata. Sospettava che Morwood avesse deliberatamente scelto le operazioni per il loro basso livello di rischio, ma nel frattempo aveva fatto esperienza della rivalità tra agenzie.
Conosceva già l’opinione che l’FBI aveva della DEA: uomini di Neanderthal che facevano scrocchiare le dita e il cui talento principale era quello di spaccare crani. Ma durante quelle incursioni aveva imparato a conoscere anche quella della DEA sull’FBI: la squadra d’assalto le aveva fatto sapere, in termini tutt’altro che ambigui, che aveva scelto l’agenzia sbagliata, che l’FBI era una triste accolita di ragionieri nerd, scribacchini con le gambe storte che raramente si erano fatti un graffio in tutta la loro carriera. Sulle prime, Swanson aveva sopportato quei motteggi di buon grado. Ma alla fine della seconda incursione, proprio il giorno prima, un agente con i capelli a spazzola non voleva piantarla, e mentre tornavano al quartier generale – i sospetti ammanettati, la droga nell’archivio delle prove, il reparto Laboratori clandestini che teneva il sito in sicurezza – la rabbia aveva avuto la meglio su di lei, e Swanson aveva fatto sapere al suo aguzzino, con precisione plastica, esattamente su per dove avrebbe potuto ficcarsi le metanfetamine che avevano appena sequestrato.
Solo più tardi, in serata, aveva appreso che Breitman, l’agente con i capelli a spazzola, era il caposquadra.
Come si avvicinò alla porta aperta dell’ufficio di Morwood, la sua ansia si acuì. Merda, doveva trattarsi di quella storia. Quasi quattro mesi, adesso, e non si era fatta saltare i nervi una sola volta. Era successo nel momento sbagliato e con la persona sbagliata. Sapeva che come suo istruttore Morwood aveva il potere di licenziarla. Anche se era molto improbabile, lui poteva di sicuro ficcarle in tasca un rapporto che avrebbe pesato a lungo come una zavorra per la sua carriera.
E come se non bastasse, 19th Nervous Breakdown dei Rolling Stones si era infilata nella sua testa e si rifiutava di uscirne. Here it comes…
Con la salivazione a zero, bussò allo stipite della porta. Morwood, che teneva un fascicolo in una mano, alzò lo sguardo. Come sempre, non avrebbe saputo cosa pensare della sua espressione. «Swanson» disse lui, guardando da sopra il fascicolo. «Entra.»
Normalmente, le diceva di sedersi. Non questa volta.
Aspettò mentre lui voltava una pagina dietro l’altra. Quindi l’uomo si schiarì la voce e senza alzare gli occhi chiese: «Sai qualcosa di quello che è successo a Glorieta Pass?».
Glorieta Pass? Swanson non conosceva quella strada. Si scervellò, cercando di ricordare i nomi delle strade del quartiere Alta Monte, dove avevano fatto il loro raid (Candelaria, Comanche…), ma non riusciva a ricordare nessuna Glorieta.
«Non sono sicura, signore» disse, cercando di darsi un tono.
Morwood lasciò perdere le carte sulla scrivania e la guardò di nuovo. «Francamente, agente Swanson, mi sorprendi.»
«Signore?» Here it comes, here it comes…
«Una studentessa con la tua preparazione, e vuoi dirmi che non conosci la battaglia di Glorieta Pass?»
Ora Swanson era completamente disorientata. Con una punta di fastidio, scacciò dalla testa la voce nasale di Mick Jagger. «Non sono sicura di cosa intenda. Non ci sono state battaglie; i cuochi della droga si sono arresi senza reagire. Se si sta riferendo all’incidente con Breitman, signore, voglio che sappia che mi dispiace se ci sono state delle incomprensioni.»
«Swanson, siamo sullo stesso pianeta? Ho guardato il tuo piano di studi al John Jay College, e c’è scritto che al secondo anno hai frequentato un corso sulla Guerra civile americana. O durante le lezioni dormivi?»
Swanson deglutì. «Mi dispiace, signore. Stiamo parlando di storia?»
«Naturalmente. Di che cosa pensavi stessimo parlando, della rissa di ieri con la DEA? Sì, Breitman mi ha chiamato. Gli ho detto di asciugarsi il moccio e dimenticare. No, parlo di Glorieta Pass, la più grande battaglia più a occidente della Guerra civile. La Confederazione invase il territorio del New Mexico nel tentativo di tagliare l’ovest dall’Unione, e si ritrovò presa a calci nel culo. A Glorieta Pass.»
Swanson passò dalla sorpresa al sollievo, quindi all’imbarazzo. Ora che la sua ansia stava diminuendo, il nome iniziava a suonarle familiare. Ma il docente di quel corso era soporifero, e c’erano stati così tanti campi di battaglia da ricordare…
«Sì» disse. «Sì, a uno dei miei corsi se ne parlava. Mi scusi, signore.»
Lui la guardò accigliato per quella che lei sperava fosse una finta delusione. «Sono sollevato di sentirlo. Non proprio Gettysburg, naturalmente, ma in quella battaglia persero la vita più di sessanta uomini tra yankee e confederati. Molti di loro sono sepolti lassù, in un posto che si chiama Pigeon’s Ranch.»
Swanson ascoltava in silenzio. Sollevata com’era nell’apprendere che non aveva niente a che fare con la sfuriata del giorno prima contro Breitman, non riusciva a capire dove Morwood volesse arrivare.
«Circa un’ora fa, è stato trovato un corpo nel cimitero di Pigeon’s Ranch. Be’, due corpi, forse… ma questo resta da vedere. In una tomba appena scavata, sopra la bara è stato trovato il corpo di un uomo a cui hanno sparato.»
Swanson annuì. Si chiese se dovesse prendere appunti, ma decise di non farlo.
«Intervieni in qualsiasi momento, Swanson. Ora: Glorieta Pass è stata una battaglia della Guerra civile. Parte del campo di battaglia è un parco storico nazionale, e la tomba era in un piccolo cimitero lì.»
A questo punto, Swanson intervenne. «Questo renderebbe il sito territorio federale.»
«Esatto. Puoi tenerti la laurea. Va’ avanti.»
«Sarebbe nostra responsabilità investigare qualunque crimine commesso lì.»
«Correzione: tua responsabilità.» E Morwood prese il fascicolo dalla scrivania e glielo allungò.
Swanson afferrò i fogli cautamente. «Signore?»
«È molto semplice. Da quanto ricordo, tre settimane fa sei venuta da me chiedendo una nuova sfida. Magari, un’indagine sul campo.» Morwood coprì con la mano un colpo di tosse, poi indicò il fascicolo. «Ti consegno un cadavere in una tomba vandalizzata nel cimitero di Glorieta Pass.»
Siccome Swanson rimaneva in silenzio, Morwood aggiunse: «Non è quello che volevi, un caso tuo?».
Swanson recuperò la parola. «Sì, signore, lo voglio eccome. Ma cosa…?» Ammutolì di nuovo, presa dal panico.
«Non sai bene cosa fare? No, certo, è il tuo primo caso. Ma adesso c’è la possibilità di scoprire quanto saranno serviti l’addestramento a Quantico e questi quattro mesi di casi irrisolti: sono ansioso di sapere come la tua promettente competenza forense saprà metterli a frutto. Eccoti la tua prima indagine federale.
«Collabora con le forze dell’ordine locali, assicurati che il sito sia messo in sicurezza, esamina il corpo, supervisiona la raccolta delle prove e prepara un rapporto preliminare. Tutto da sola.»
Swanson non replicò. Era assalita da emozioni contrastanti: eccitazione, persino esaltazione, ma era anche preoccupata, le implicazioni di quanto Morwood stava dicendo colpivano nel segno. «E per quello che riguarda lei?» E, dopo un istante: «Signore?».
«Io? Sarò in quest’ufficio, ansioso di essere aggiornato sui tuoi progressi.»
Swanson deglutì. Era l’opportunità che stava aspettando, ma Morwood era il suo istruttore per il periodo di prova, si presumeva che tirasse i suoi fili, la guidasse, proprio in questo genere di incarichi. Era il suo modo di insegnarle a nuotare gettandola dal lato della piscina in cui non si tocca?
«Che ne pensa… ehm… di chiamare un’unità della divisione Reperti?»
Morwood scosse la testa. «Come capo delle indagini, sarai tu il responsabile. Sta a te decidere.» Poi le rivolse un sorrisetto ironico. «Ma ricordati che avrai a disposizione le forze di polizia locali e la Scientifica, assieme all’ufficio del medico legale e ad altre squadre di supporto. Certo, se pensi che sia necessario chiamare la divisione Reperti, fa’ pure, ma esamina prima le prove.» Prese il telefono. «Da’ uno sguardo al fascicolo. Nel frattempo, chiederò alla sezione operativa di metterti a disposizione un’auto di servizio, una radio e tutto il resto.»
Dal momento che rimaneva lì impalata, Morwood prese la cornetta del telefono. «Allora? Togliti dai piedi, agente Swanson. Va’ a Glorieta. È solo un’ora di viaggio, anche piuttosto gradevole.»