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10 maggio
L’agente speciale Corrie Swanson si alzò prima dell’alba, come d’abitudine, e fece cento flessioni nella sua tenda improvvisata per riattivare la circolazione prima di vestirsi e uscire nell’aria fredda. Il suo arrivo a colazione fece ammutolire tutti, e si sentì sollevata quando finalmente si avviarono allo scavo, a un chilometro scarso dal campo. Quando Corrie arrivò, trovò una valle dall’aspetto opprimente, sovrastata da pareti di roccia scura fiancheggiate da pietraie interrotte e massi franati. La circondava una corona di cime scure, ricoperte di chiazze e cumuli di neve. Sul fondo della valle, macchie di erba pallida intervallavano filari di abeti secchi. Sul lato opposto, c’era un laghetto dall’aspetto triste, circondato a sua volta da rocce. Anche se erano a metà mattinata, il sole non aveva ancora superato le cime orientali e il bacino era all’ombra. Gli unici uccelli presenti erano un quartetto di corvi su un albero secco che svolazzavano avanti e indietro.
Si avvicinò al bordo dell’area scavata e guardò la distesa di teloni blu ancorati al suolo. Ripensò a un’indagine su dei resti umani in cui era inciampata da studentessa, in Colorado, qualche anno prima, e si rese conto che avrebbe potuto facilmente subire una altrettanto macabra fascinazione dal calvario dei Donner: una quindicina di metri di neve e una fame tale da costringerli a mangiare i propri familiari. Quasi inconcepibile, eppure una testimonianza dell’istinto di sopravvivenza degli esseri umani.
Scavo, tenda da lavoro e settori di analisi erano ordinati e precisi, almeno al suo occhio inesperto. Mentre visitava il sito, non poté fare a meno di chiedersi se la sua non fosse una caccia ai fantasmi. Morwood la pensava certamente così. Aveva annullato le sue prime due richieste, e solo dopo che lei aveva continuato ad assillarlo, alla fine aveva ceduto. Le aveva concesso un venerdì, oltre al suo fine settimana; calcolato il tempo di viaggio, questo le permetteva di trascorrere un’intera giornata sul sito: quel giorno.
Ma mentre continuava a guardare oltre la radura, il mistero si ripresentò con maggiore insistenza. Perché tutti quei Parkin dissotterrati all’improvviso? Si era scervellata alla ricerca di una spiegazione. Poteva trattarsi di un problema di eredità? No, i discendenti di Albert Parkin non disponevano di chissà quali sostanze, né c’erano prove di conflitti familiari, controversie legali o di altro tipo. I morti le cui tombe erano state spogliate erano tutti cugini di secondo o terzo grado, che con ogni probabilità non si erano nemmeno mai conosciuti. Poteva trattarsi di un oscuro problema medico, una malattia rara o una sindrome diffusa in quel ramo della famiglia? Ma non c’erano prove, almeno dalla sua ricerca tra le cartelle cliniche. Forse una bizzarra forma di vendetta contro la famiglia? Qualche oscura pratica religiosa, qualcosa che avesse a che fare con il vudu?
Ogni spiegazione che le veniva in mente era più stravagante dell’altra. La verità era che non aveva idea di cosa avrebbe dovuto cercare. Sicuramente, però, non avrebbe mostrato i suoi dubbi.
Mentre esaminava il sito, arrivò Nora, seguita da Clive.
«Allora, cosa vuole vedere?» chiese la donna, le braccia incrociate. La sua voce tradiva una malcelata nota di diffidenza.
Corrie cercò di mantenere un comportamento deciso e sicuro. «Se potesse rimuovere i teloni, mi piacerebbe dare un’occhiata ai resti più da vicino.»
«Come può vedere, lo scavo coinvolge più aree distinte. Sarebbe utile se potesse darmi un’idea di ciò che sta cercando.»
Corrie si ritrovò a rispondere alla domanda sulla difensiva. «Dottoressa Kelly, in genere non siamo autorizzati a discutere i dettagli dei nostri casi fino a quando non li rinviamo a giudizio.»
«Se potessimo restringere i parametri, questo accelererebbe le cose. Preferirei non scoprire l’intero sito. Sarebbe una perdita di tempo, per lei. E per noi.»
Corrie fece un cenno con la testa ai teloni blu fissati all’estremità dell’area vicina alla linea degli alberi. «Cosa c’è là?»
«Gli uomini di cui le ho parlato ieri sera, Spitzer e Reinhardt. Erano accampati lontano dagli altri.»
«E quell’altro telo più piccolo, giù lungo il torrente?»
«I resti di Samantha Carville, una bambina. È stata una delle prime a morire.»
«Solo Samantha Carville? Nessun altro?»
«Non che noi sappiamo. Quei quadranti sono ancora in corso di scavo.»
Corrie riportò l’attenzione sul sito principale. «E che mi dice di questa vasta area? Cosa rappresenta?»
«È una discarica, essenzialmente un mucchio di rifiuti. È qui che finora abbiamo rinvenuto la maggior parte dei resti. Non abbiamo ancora trovato il focolare e il rifugio del campo, ma pensiamo che si trovino in quella zona coperta laggiù.»
«Ieri sera, ha menzionato sei teschi. Gli altri tre sono nella discarica?»
«Sì, due maschi e una femmina. Insieme a molte altre ossa, brandelli di vestiti, stivali e altro. E i resti dei cani e dei buoi del campo, ovviamente “consumati” molto prima degli esseri umani.»
«Uno di quei tre teschi potrebbe essere quello di Albert Parkin?»
«Certo, è possibile» rispose Nora. «Non abbiamo ancora identificato i resti rinvenuti nella discarica. Sappiamo che qui sono morte nove persone, quindi mancano ancora tre teschi: un maschio e due femmine. Tutti i maschi erano adulti, per cui sarà difficile identificare Parkin senza un esame del DNA.»
Corrie provò un sottile senso di soddisfazione quando si rese conto che aveva la possibilità di mettere a posto quella sapientona. «Davvero? Non credo che l’identificazione di Parkin sarà difficile, una volta scoperta l’ubicazione del corpo.»
Nora Kelly incrociò le braccia. «In che senso?»
«Fu ferito da una freccia durante una traversata nel deserto. La freccia gli ruppe l’osso della clavicola.»
«Giusto» intervenne Clive. «Lungo il percorso, gli indiani scoccarono delle frecce contro la carovana in diversi punti.»
«La frattura dovrebbe essere ancora visibile» aggiunse Corrie, «guarita o meno che fosse.»
Nora non commentò in nessun modo.
«Bene. Non ho bisogno di guardare i siti periferici, solo questa discarica. Potrebbe per favore far rimuovere i teloni?»
Seguì una pausa. «Come desidera» disse infine Nora. «Procederemo un paio di quadranti alla volta: non mi piace lasciare le ossa esposte alla luce per troppo tempo.» Si rivolse a uno dei suoi assistenti. «Jason, tu e Bruce volete scoprire B3 e B4, per favore?»
Mentre i due si mettevano all’opera, Nora indicò un tavolo da lavoro, su cui si trovavano diverse scatole. «Dovrà indossare guanti, stivaletti, una mascherina e una retina per capelli in nitrile. E, per favore, non tocchi nulla. Stiamo cercando di impedire a qualsiasi altro DNA umano di contaminare i resti.»
«Naturalmente.»
I quadranti furono subito scoperti e Corrie, ora equipaggiata, tirò fuori una lente d’ingrandimento. Quando lo fece, registrò un po’ di risatine da dietro e colse un sussurrato: «Watson, che il gioco abbia inizio!».
«In questi metri quadrati» spiegò Nora, «c’è il centro della discarica. Pensiamo che la maggior parte dei resti sia concentrata qui.»
Corrie studiò l’area. Era un fitto intrico di ossa che giacevano a casaccio: solo un paio erano intatte, pochissime articolate, e non c’era nessuno scheletro intero. A un occhio non allenato sarebbe parso un ammasso di cocci rotti.
Con cautela si avvicinò al bordo del quadrante più vicino e si inginocchiò su un’asse, l’odore di terra fresca le saliva fino alle narici. Con la lente d’ingrandimento tenuta vicino alle ossa, riuscì a vedere solo i segni lasciati dai coltelli, le aree di bruciatura e le ruvide fratture da cui il midollo era stato raschiato: tutti classici segni di cannibalismo. Scattò una serie di foto con la macchina dell’Agenzia. I segni su tutti e tre i teschi confermavano che erano stati cotti nel fuoco e rotti per estrarre il cervello. Nonostante fossero danneggiati, era fuori di dubbio che si trattasse di adulti, due uomini e una donna, come le aveva anticipato Nora Kelly.
Lasciando da parte la donna, si concentrò sul primo teschio maschile. Giaceva in due pezzi adiacenti con la mandibola associata. Il cranio mostrava segni sparsi di cottura sul retro, il lato che era stato messo sul fuoco. L’altro cranio, non lontano, mostrava una modalità simile di cottura. I teschi erano circondati da un miscuglio di altre ossa e frammenti postcraniali. Quasi tutte le ossa erano rotte e su alcune qualcuno si era accanito al punto da renderle irriconoscibili. Nella matrice della discarica erano inserite qua e là delle bandierine con numeri e lettere.
Era un punto di scarico per gli avanzi di cibo, in cui i resti, uno stufato dopo l’altro, erano stati sversati per settimane o addirittura mesi, e le ossa formavano diversi strati. Non c’era un modo certo per dire quali costole, vertebre o clavicole fossero associate a un particolare cranio. Fece del proprio meglio per nascondere l’imbarazzo, tanto più che aveva cercato di ridimensionare Nora Kelly con la storia dell’identificazione della clavicola rotta di Parkin proprio sotto il suo naso.
«Come le ho detto ieri sera, lo scavo è in corso» disse Nora, ponendo particolare enfasi sulle ultime due parole. «E, come può vedere, abbiamo ancora molto da fare.»
«E queste bandierine?» chiese Corrie, alzandosi e indicando i segnali colorati.
«Vengono apposte dalla mia squadra all’inizio di ogni nuova sessione di lavoro. Aiutano ad associare allo scavo fisico le informazioni digitali che il nostro computer processa abbinando i dati ai… rifiuti, per così dire.»
Corrie annuì. Era evidente che a operare erano dei professionisti, e ben organizzati. Per il momento, non poteva fare altro che attendere ulteriori sviluppi e, l’indomani, tornare ad Albuquerque.
«Apprezzerei molto sapere qualcosa in più sulla sua indagine» disse l’archeologa. «Qualunque cosa possa dirci.»
«Non posso davvero entrare nei dettagli più di quanto non abbia già fatto. Se riuscirà a identificare Parkin, potrebbe farmelo sapere? E, naturalmente, se potesse assicurarsi che questi resti siano adeguatamente trattati, sarebbe molto apprezzato.»
Quando Nora si accigliò, Corrie si rese conto che la sua richiesta doveva essere suonata un po’ paternalistica, e aggiunse in fretta: «Ovviamente, non voglio insegnarle il mestiere. È solo che, dato che non siamo ancora sicuri di come i resti di Parkin possano avere a che fare con le indagini, è fondamentale che siano tenuti al sicuro».
Nora annuì. «Altro?»
«Mi tenga sempre aggiornata. Se Parkin fosse identificato, potremmo chiedere che le ossa ci vengano consegnate per le analisi. Per ora, non è necessario.»
Nora chiese ai suoi due assistenti, Salazar e Adelsky, di ricoprire i quadranti.
«Ho alcune domande per lei e il dottor Benton» disse ancora Corrie. «Se posso…»
«Sediamoci.»
Si diressero al quartier generale e si sedettero sulle sedie da regista sistemate sotto il telone.
Corrie tirò fuori un taccuino e una penna. «Solo per conferma: ha identificato i tre corpi nei due siti più distanti, due maschi adulti e una femmina, e nella discarica ha trovato tre teschi adulti, ancora due maschi e una femmina, non ancora identificati.»
Nora annuì.
«Ha detto che in questo campo sono morte nove persone su undici. Che cosa è successo agli altri due?»
«Un uomo di nome Boardman fuggì e riuscì a raggiungere il campo di Donner, dove morì. Un altro, Chears, fu tratto in salvo, ma morì poco dopo essere tornato alla civiltà. Delle nove persone rimaste, ne abbiamo trovate sei e ne abbiamo identificate tre.»
«Si aspetta di trovare le altre tre in questa discarica?»
«Stiamo ancora scavando nella parte posteriore, quindi è un po’ presto per dirlo. Non mi sorprenderebbe trovare lì la maggior parte dei resti. Potremmo rinvenirci uno o due pezzi solitari, o forse nel sito del rifugio.»
«Il rifugio?»
«Sì. Costruirono un riparo rudimentale con il legno dei convogli. All’interno c’era un focolare. Dal rilievo con il magnetometro, si direbbe che si trova in quell’area coperta dalla discarica, ma non potremo esserne sicuri fino a quando non l’avremo aperta.»
«Quindi i resti di Parkin potrebbero essere lì?»
«È una possibilità. C’è ancora un maschio adulto che non abbiamo localizzato.»
Corrie prendeva appunti. «Allora, per favore, mi dica: come è nata l’idea di questo scavo?»
«Il dottor Benton potrà esserle più utile.»
Clive prese a raccontare la storia, di una lunghezza estenuante, di come avesse passato anni a cercare il diario di Tamzene Donner, l’avesse trovato, fosse andato da Nora Kelly e all’Istituto e li avesse convinti a cercare il sito. Nora continuò spiegando come lo scavo fosse arrivato a quel punto e quali fossero i loro piani per il lavoro successivo. E queste erano tutte le informazioni che Corrie poteva raccogliere. Tutto sembrava alla luce del sole, a eccezione del furto del diario da parte di Benton, ma quello era fuori dalla sua sfera di competenza, e francamente al suo posto avrebbe fatto lo stesso, o almeno al tempo in cui se ne infischiava delle regole.
Fece alcune domande più generali e ricevette risposte altrettanto generali. Non riusciva a trovare nulla di minimamente sospetto; niente, almeno in superficie, per legare la spedizione alla sua indagine. Si chiese come avrebbe reagito Morwood quando lo avrebbe informato.
Chiuse il taccuino e guardò l’orologio. «Per ora, ho quello che mi serve. Farò meglio a tornare in città mentre sono ancora in tempo. Voglio ringraziarvi per la vostra collaborazione.»
Si alzò. Nora fece altrettanto. «Se identifica Parkin» le disse Corrie, «per favore, non dimentichi di farmelo sapere. E faccia attenzione: potrebbe non esserci alcuna connessione, ma non si sa mai, e il mio caso riguarda un omicidio e un probabile rapimento. Quindi state in guardia.»
L’espressione di sollievo sul viso di Nora mentre le stringeva la mano per congedarsi fu inequivocabile.