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18 maggio

Mentre si radunavano nel freddo pungente, ormai vestiti e pronti a muoversi, qualcuno lanciò della sterpaglia sui carboni. Il fuoco si accese, tingendo i loro volti di bagliori gialli. Nel fitto degli alberi, un gufo emise una serie di versi lugubri come i rintocchi di una campana.

«Okay» disse Burleson. «Abbiamo tutti le torce?»

Gli rispose un coro di assenso.

«Nora, Clive, voi andate allo scavo. Bruce e Jason, seguiteli lungo il sentiero, poi tagliate a est e cercate nell’area intorno al laghetto. Io vado a perlustrare i dintorni dell’accampamento con Maggie.»

Si guardò intorno, la luce del fuoco gli riverberava negli occhi. «Non andate lontano. State attenti e non separatevi. C’è sempre la possibilità che ci sia qualcun altro, là fuori.»

Puntò la torcia frontale sull’orologio. «Sono le tre e venti. Andremo avanti con le ricerche per un’ora. Ci vediamo di nuovo qui alle quattro e venti in punto.»

Nora e Clive presero per il sentiero ormai familiare che portava allo scavo, seguiti da Adelsky e Salazar. Nora prese il comando, avanzando a passo spedito. Era una notte buia, una pesante coltre di nubi proiettava sulle montagne la più fonda oscurità. Era come nuotare in un mare nero di inchiostro con solo un piccolo salvagente di luce a guidarli. Ed era una notte piena di suoni: il soffio del vento tra le cime degli alberi, il richiamo dei gufi, il frinire dei grilli e gli improvvisi gracidii di una rana toro lungo il torrente.

«Mi sento come se fossimo maledetti» fu l’amara considerazione di Clive. «Neanche il tempo di celebrare il nostro successo… nientemeno che con dello champagne, ed ecco cosa succede.»

«Non sappiamo se è successo qualcosa» disse Nora. «Forse, Wiggett ha mollato e se ne è andato, come Peel.»

«Senza il suo cavallo? Impossibile.»

«Magari è come ha detto Maggie, è a caccia dell’oro.»

«Se è così, ci puoi scommettere che Burleson ci scambierà due paroline.»

Emersero dalla macchia degli alberi nell’ampia radura del Campo perduto. Nora riusciva a malapena a distinguere il rettangolo grigio della tenda da lavoro. Le rocce erano come pareti nere e il cielo era quasi altrettanto scuro. Adelsky e Salazar presero per il laghetto. Nora si guardò attorno cercando di scorgere la luce della torcia di Wiggett, nel caso stesse cercando tra le rocce, ma tutto quello che riuscì a vedere continuò a non essere altro che oscurità.

«Controlliamo la tenda» suggerì Clive.

Si avvicinarono alla sagoma del ricovero, un’interruzione nella lunga parete delle tenebre alla luce delle torce. Slegarono il laccio e Nora entrò. Tutto era come l’avevano lasciato. Subito dopo, controllarono l’area dello scavo, sollevarono i teloni, ma tornarono a fissare i picchetti: neanche lì sembrava essere successo nulla.

Clive si guardò attorno, come se cercasse di perforare quel buio. «Suppongo che restino le rocce» disse.

Iniziarono a farsi strada ai piedi della rupe, direzionando il fascio di luce delle torce sulle pareti di roccia, ma di Wiggett non c’era traccia. Neanche la pesante rugiada che ricopriva l’erba sembrava tradire i segni di un passaggio. Quando ebbero finito di esaminare un lato della rupe, si diressero verso l’altro: di nuovo, niente mandriano.

«Non è stato qui» disse Nora. «Il che fa scartare l’ipotesi che stesse cercando l’oro.»

«A meno che» obiettò Clive «non avesse una sua idea su dove fosse nascosto.»

«Potrebbe essere.» Nora controllò l’orologio. «È passata quasi un’ora. Faremmo meglio a tornare indietro.»

Non finì la frase che dal canyon sentì provenire un urlo che riecheggiò spaventoso tra le vette, e poi si affievolì.

«Cristo…» esclamò Clive.

Iniziarono a correre lungo il sentiero. Il bosco si richiudeva rapidamente dietro di loro mentre le torce ferivano il buio. A mano a mano che passavano, i tronchi d’albero si illuminavano uno a uno come colonne in una cattedrale senza fine. Erano quasi al campo quando Nora riuscì a distinguere lungo il ruscello un gruppo di luci e a sentire delle voci agitate che risuonavano nella notte. Poi, ancora un’acuta esplosione di urla: la voce, ora distinguibile, era quella di Maggie.

Lasciarono il sentiero, corsero verso le luci e trovarono il resto del gruppo riunito ai piedi delle rupi vicino al campo. Maggie ansimava forte tra i singhiozzi, appoggiandosi a Burleson.

«Lì dentro» disse Burleson, illuminando con la torcia un’ampia fenditura ai piedi della rupe. Nora si avvicinò e riconobbe uno scarpone da trekking conficcato in modo assurdo nella fessura. Scrutando meglio, riuscì a vedere un corpo, completamente zuppo.

Wiggett.

«Che diavolo…?» imprecò Clive, sbirciando accanto a lei. «Chi l’ha trovato?»

Maggie singhiozzò. «È stata Samantha a portarci qui.»

«Avanti!» intervenne Burleson brusco.

«Ho visto la luce! È stata la luce verdastra a guidarci. L’hai vista anche tu!»

«Era solo il riflesso delle torce contro qualcosa» replicò spazientito Burleson. «Per l’amor di Dio, tiriamolo fuori di lì.»

Nora, Clive e gli altri iniziarono a spostare i massi che erano stati ammucchiati nella cavità nell’inutile tentativo di nascondere il corpo. Wiggett ci era stato ficcato a forza per lungo, le braccia penzolanti. Nora afferrò un braccio, freddo e bagnato, e tirò, mentre Clive e Burleson afferrarono una gamba e l’altro braccio. Con un po’ di sforzo riuscirono a far scivolare fuori il corpo e a stenderlo sull’erba. Lo sguardo era vitreo e dalla bocca aperta usciva un filo di bava.

Burleson gli sentì i battiti. «Non c’è polso.»

Rimasero tutti attorno al corpo, scioccati e immobili.

«Ma come…» balbettò Maggie «come è riuscito a entrare lì, zuppo a quel modo?»

Nora si riscosse. «Scusate, ma penso che dovremmo lasciare tutto così come l’abbiamo trovato, tornare al campo e…» deglutì «telefonare.»