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Le scoperte furono talmente emozionanti e arrivarono così numerose e veloci che nessuno volle fermarsi per il pranzo, quindi Nora li lasciò continuare anche nel primo pomeriggio. All’inizio, controllava Clive ogni mezz’ora, ma quando le fu chiaro che stava lavorando in maniera scrupolosa e prudente, decise che poteva essere lasciato solo. Grazie agli sforzi congiunti di Salazar e Adelsky, la discarica stava rivelando sempre più reperti: non solo un terzo teschio e numerose altre ossa umane, ma resti di vestiti, bottoni, medaglioni e gioielli in generale. Tutto veniva accuratamente etichettato, registrato e contestualizzato utilizzando i potenti software per l’archeologia sui loro tablet. Salazar fece notare che qua e là la discarica mostrava segni di presenza animale, che però sembrava vecchia, probabilmente risalente alla tragedia. Si confrontarono e giunsero alla conclusione che poteva trattarsi del risultato di brevi incursioni per rovistare alla ricerca di cibo dopo il primo disgelo primaverile. Nora sapeva che non ci sarebbero stati molti animali, a quella altitudine, e in ogni caso le ossa sarebbero state coperte di polvere, terra ed erba abbastanza presto.

Erano circa le tre e mezza di uno splendido pomeriggio che iniziava appena a cedere il posto alla sera, il sole che immergeva in un bagno di luce le montagne innevate, quando Clive si avvicinò all’area che Nora stava fotografando.

«Hai un minuto?» le chiese. «Vorrei mostrarti qualcosa.» La voce era calma, ma sul viso c’era una strana espressione che non gli aveva mai visto prima.

«Certo.» Si mise la macchina fotografica al collo e lo seguì fino all’estremità dello scavo, lontano dagli altri. Lì, in quelle griglie più lontane dalla zona principale del campo, il terreno era già all’ombra dei pini. Una brezza tardiva soffiava attraverso la radura, increspando l’erba fresca e portando con sé un profumo di fiori.

Nora appurò che Clive aveva scavato il quadrato che gli aveva assegnato, E10, fino a venticinque centimetri. Non trovando nulla, lo aveva messo in sicurezza e documentato come lei gli aveva detto di fare e si era trasferito nel quadrato adiacente, E9. Fu verso quest’ultimo che lui puntò il dito.

Nora si inginocchiò per guardare meglio. Clive aveva rimosso con cura il tappeto d’erba in una sola sezione e scavato per non più di cinque centimetri. Dal terreno sporgeva qualcosa di raggrinzito e duro. Sulle prime, pensò che potesse essere una sella o la pelle di qualche animale, ma a uno sguardo più attento si rivelarono i resti marcescenti di un vecchio stivale. E, scrutando ancora più da vicino, riuscì a vedere l’osso del piede che spuntava dall’interno.

«Era così in superficie» spiegò «che a stento ho dovuto rimuovere l’erba. Pochi colpi di spazzola e il terreno è venuto via.»

Nora lo esaminò da varie angolazioni. «Potrebbe essere una sepoltura» disse. «O lo stivale potrebbe semplicemente essere stato lasciato dove il reperto… dove l’uomo è morto. Il cuoio è l’unica cosa che nessuno avrebbe mai mangiato: anche una persona affamata sa che è una follia mangiare l’unica cosa che ti protegge dal freddo e dalla neve.»

«Ha senso. Ma non è quello che voglio mostrarti.» Si inginocchiò accanto a lei. «Si tratta di questo.» Prendendo un pennello, si voltò verso un piccolo tumulo di terra smossa su un lato del vecchio stivale.

Nora vide come il primo colpo di pennello riportò alla luce una piccola borsa di cuoio con i lacci ridotta quasi in polvere. Una seconda spennellata rivelò i punti in cui la borsa era marcita e spaccata. E il luccichio dell’oro.

Lo fissò per un minuto buono, poi guardò Clive.

«Quando ho capito che cos’era, l’ho coperto di nuovo» spiegò. «Volevo che lo vedessi prima… prima di chiunque altro.»

Nora si guardò alle spalle. Salazar e Jason erano dall’altra parte del campo, impegnati con la discarica. Quindi guardò Clive. Normalmente, non si copriva un reperto portato alla luce se non a fine scavo, ma in questo caso annuì in segno di approvazione.

«La prossima mossa è capire esattamente cosa hai scoperto» disse. «E dissotterrarlo e metterlo sottochiave.»

Prese il posto di Clive e scavò con delicatezza il resto del quadrato: la terra era morbida e friabile come Clive aveva detto, e in mezz’ora portò alla luce le gambe, i piedi e gli stivali di cuoio sgretolati di quelli che sembravano essere due uomini adulti che giacevano fianco a fianco, lontani dall’area perimetrata. Le ossa del piede, le tibie e le fibule non mostravano alcun segno di smembramento o cannibalismo. Ciascuno dei due uomini aveva nascosto negli stivali un sacchetto di monete. Dopo averli fotografati e registrati in situ, Nora prese i due sacchetti e li adagiò su un piccolo telo per la conservazione lì a portata di mano.

«Ehi!»

Nora si girò di scatto. Era Salazar che salutava dalla discarica. «Non abbiamo ancora pranzato. Possiamo mettere le cose in sicurezza e finire, per oggi?»

Lei lanciò un’occhiata a Clive. Lui intercettò il suo sguardo, e fece una scrollata di spalle.

«Bruce, Jason, finiti i quadrati?»

«Finiti!»

«Caricato tutti i dati di rilevamento e le coordinate?»

«Certo.»

«Allora, mollate l’attrezzatura e andate. Chiuderemo il sito Clive e io. Potete anche chiudere la rete: non ho più dati da caricare, per oggi.»

«Va bene.»

«Di’ a Maggie di conservarci qualcosa per cena. Non ci vorrà molto.»

Mentre i due assistenti si toglievano mascherine, retine per i capelli e guanti e iniziavano a riporre gli attrezzi, Nora e Clive tornarono ai sacchetti di cuoio. Usando un paio di pinze sottili e una lente, Nora fece una leggera leva su uno dei due, che si frantumò all’istante, rivelando cinque monete d’oro.

Con la mano che indossava il guanto, Clive raccolse una delle monete da un angolo e la rigirò. Anche coperta di polvere e terra, brillava al sole.

«È una moneta d’oro da dieci dollari» disse. Quindi la scrutò più da vicino. «Sembra non circolata, salvo un bel numero di graffi dovuti al sacchetto. Coniata nel 1846. Dalla zecca di Filadelfia.»

«Il tesoro di Wolfinger?» chiese Nora.

Clive prese le pinze a Nora e smosse i resti di entrambi i sacchetti, ognuno dei quali conteneva cinque pezzi d’oro da dieci dollari. Praticamente identici.

«L’anno è quello» disse. «La zecca è quella. È solo il numero che è sbagliato. Non ce ne sono mille, qui, ma solo dieci.»

«Dopo tutto questo, non avrei mai detto che fossi pessimista.»

Sul viso di Clive si allargò un sorriso. «Pessimista? Con quelle monete che mi fanno l’occhiolino? Non so tu, ma io le chiamerei prove. Ora troviamo il resto.»

«Se lo troveremo.»

«Lo troveremo» disse Clive. «Pensaci. Questi due erano già sospettati di aver fatto il gioco sporco, erano stati allontanati, non potevano unirsi agli altri nel loro rifugio. Così hanno creato il loro piccolo accampamento qui. E hanno nascosto l’oro da qualche parte nelle vicinanze. Non sei d’accordo?»

A Nora l’ipotesi suonava un po’ troppo spinta, ma la logica di Clive sembrava inattaccabile. «Sono d’accordo.»

Prese spazzola e cazzuola e tornò a lavorare, muovendosi rapida ma con perizia, senza perdere tempo, ma senza neanche perdersi nulla. In un’ora portò alla luce entrambi gli scheletri fino alle gabbie toraciche, e non solo. Scoprì alcune assi completamente marce che sembravano i resti di un piccolo riparo grezzo realizzato con pezzi di carro.

Si accovacciò mentre Clive fotografava quei reperti.

«Allora?» chiese. «Che ne pensi?»

«Sei tu l’archeologa.»

«E tu sei lo storico, ma va bene. Due individui sulla trentina, per quello che riesco a capire. I teschi sono ancora sotterrati, quindi non posso essere sicura del sesso, ma sembrano maschi. Finora, nessun segno di violenza né di cannibalismo. Basandomi sul fatto che ce ne sono due insieme, lontani dal gruppo principale, e a giudicare dall’oro che hanno addosso, e cioè pezzi d’oro da dieci dollari del 1846 nascosti negli stivali, direi che sono quasi certamente Reinhardt e Spitzer.»

«Manca solo l’oro. E, come ho detto, dovrebbero averlo nascosto da qualche parte qui attorno.» Sempre più infervorato, Clive aggiunse: «Nora, pensa a dove siamo arrivati! Siamo qui da meno di una settimana, e guarda! Non solo questo» e indicò i sacchetti con i soldi, «ma il Campo perduto. Il Campo perduto. L’abbiamo trovato. O meglio, l’hai trovato».

Nora si considerava un’archeologa esperta, negli anni aveva scoperto diversi siti importanti, ma questo improvviso entusiasmo, questo riconoscimento da parte di un dilettante – per la verità non un dilettante, ma uno storico, che aveva fatto di quella scoperta il lavoro della sua vita – la fece arrossire di piacere.

Senza dirsi altro, avvolsero i resti dei sacchetti e le monete e li misero in un contenitore per reperti; misero in sicurezza i quadrati e gli scheletri e fissarono con cura i teloni; tornarono al tendone del quartier generale e trasferirono le monete nella cassaforte. Quindi si incamminarono per il sentiero, diretti all’accampamento e alla cena.