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9 maggio

Subito dopo pranzo, il giorno dopo, Nora si prese una pausa dal lavoro sullo scavo principale. Lei, Clive, Adelsky e Salazar si concentrarono sul sito di Spitzer e Reinhardt per tutta la mattinata. Dopo aver parlato della scoperta ai due assistenti, Nora aveva finito di portare alla luce gli scheletri, e intanto gli altri avevano esteso gli scavi su entrambi i lati, allungandosi di un altro metro verso la parte di terreno ancora intatta. Avevano portato l’intera area fino al livello del suolo del 1847, e oltre, nel caso in cui l’oro fosse stato seppellito proprio nel sito. Ma fino a quel momento non avevano trovato nulla: niente oro o segni di sepoltura; solo frammenti di vestiti sfilacciati e qualche bottone.

Nel pomeriggio, Clive e i due assistenti continuarono a lavorare in quell’area, mentre Nora decise di prendersi una pausa, stavolta diversa. Nel corso della carriera, aveva imparato che di tanto in tanto doveva fermarsi e lasciare che un sito le parlasse, parlasse e basta. A volte, nel bel mezzo dello scavo, si concentrava così tanto su un metro quadrato di terra che rischiava di perdere il senso generale della storia che il sito stava cercando di raccontarle. Era successo mentre cercava l’oro, e invece doveva ricordarsi che quella era solo una piccola parte dei tesori che il sito stava svelando.

Così lasciò la cazzuola e vagò per lo scavo, mise a tacere la parte razionale del cervello, scacciandone i pensieri sull’oro, per «lasciare che la storia risalisse dal terreno», come aveva affermato un giorno uno dei suoi professori. Cercò di ricreare nella mente le condizioni dell’accampamento – la neve accumulata, i dirupi brulli, la natura incontaminata – e il modo in cui le persone bloccate lì si erano concentrate su una cosa sola: la sopravvivenza. Mentre respirava l’aria di montagna e si guardava attorno, riuscì a percepire il senso di straniamento, di isolamento, che dovevano aver provato. Quella mattina erano a poco più di una ventina di chilometri da una grande interstatale, eppure sembrava di essere ai confini della terra. A metà Ottocento, i viaggiatori sarebbero stati più lontani dalla civiltà di quanto si sarebbe potuto immaginare oggi.

Mentre vagava, i suoi passi la portarono in un’area giù dal torrente, alla fila di griglie parallele etichettate come F, più lontane dal sentiero dell’Hackberry. Qui, in un punto isolato, il magnetometro aveva registrato una piccola ombra, qualcosa di anomalo, all’interno o attorno alla griglia F2. Per qualche motivo, senza sapere perché, Nora sentì che quel posto le diceva qualcosa. Forse, ne era attratta perché era più piacevole della maggior parte della valle. Non aveva ancora aperto quella griglia, ma sentiva che poteva contenere qualcosa di speciale, persino fondamentale. E questo sussurrò qualcosa al suo istinto di professionista del passato: storie a lungo sepolte in attesa di essere raccontate. E c’era qualcosa in quel terreno incontaminato, prima che una qualunque cazzuola penetrasse nel terreno, che sembrava quasi magico.

Soprattutto, avrebbe affrancato la sua mente dalla ricerca dell’oro di Wolfinger.

Si preparò con cura a scavare F2. Mentre si organizzava, sentiva le chiacchiere sommesse di Adelsky e Salazar che planavano verso di lei dall’alto, dove stavano ultimando, ancora senza successo, la sezione di Spitzer e Reinhardt. Con la coda dell’occhio, riuscì a vedere Clive. Si era allontanato da Adelsky e Salazar ed era in piedi vicino a una fila lontana di alberi, mani in tasca e occhi al cielo, a quanto pareva perso nei suoi pensieri.

Appena iniziò la pulizia della griglia, però, vide un’ombra proiettarsi dalle sue spalle. Si voltò: Clive, le mani ancora in tasca.

«Hai deciso di tentare la fortuna qui?» le chiese.

Nora si asciugò la fronte con il dorso di un guanto, poi annuì.

«Ti dispiace se guardo?»

«Niente affatto.»

Clive si accovacciò accanto a lei, attento a non calpestare nessuna delle linee della griglia. Tirò fuori uno dei suoi sigari e lo accese.

«Ti dispiace?» disse Nora, indicando la direzione del vento.

«Scusa!» Clive cambiò posizione. «Ero un fumatore incallito di sigarette, tre pacchetti al giorno. Poi sono passato ai sigari, questi costosi Dunhill, sperando che la spesa potesse scoraggiare la mia cattiva abitudine.»

«Questo è solo il secondo che ti vedo fumare.»

«Sì. Negli ultimi due anni, ci ho dato un taglio. Ora fumo solo per rilassarmi, sai, per calmare i nervi.»

La guardò lavorare per circa cinque minuti. Poi scosse la testa. «Pensavo…» Si fermò.

«Pensavi cosa?»

«A che dannato idiota sono stato.»

Nora si interruppe e si accovacciò sui talloni. «Ti va di dirmi perché?»

«Quei due, Reinhardt e Spitzer, nascondevano l’oro negli stivali. Perché?»

«Secondo te, perché?»

«Perché era tutto il fottuto “tesoro” che avevano.»

Lo disse a voce bassa, in tono amaro, occhi a terra. Era la prima volta che Nora lo sentiva esprimersi in modo così volgare. «E come fai a dirlo?»

«Siamo entrambi d’accordo sul fatto che avrebbero tenuto l’oro vicino. Bene, abbiamo appena scavato tutto il loro miserabile tugurio e non abbiamo trovato nulla.»

«Forse, l’hanno nascosto sotto un albero vicino» disse Nora. «O seppellito sotto la neve.»

Clive scosse la testa. «Non è quello che mi dice il mio istinto.»

Nora quasi non riusciva a credere a quello che stava sentendo. «Clive, è tua tutta la ricostruzione storica. Ed è impeccabile. Hai illustrato tutto a me e alla dottoressa Fugit, nel suo ufficio. Wolfinger ritirò quell’oro.»

Clive sbuffò sul sigaro. «Tutto quello che ho trovato è una nota di prelievo. Tecnicamente, i dettagli su Wolfinger sono opinabili.»

«Eppure sappiamo che ci furono una rapina e un omicidio.»

«Certo, da un paio di idioti che hanno ricevuto cento dollari per i loro casini. Quando abbiamo trovato quelle monete la prima volta, ho detto che sembravano non circolate, anche se con dei graffi più vistosi del solito causati dai sacchetti. Ma ci ho pensato, e devo essere onesto con me stesso e ammettere che non è così. Sono graffiate e macchiate ben più del dovuto. E sai perché? Perché Reinhardt e Spitzer giravano con quelle monete negli stivali da quando avevano ucciso Wolfinger.»

«Ma…» cominciò Nora, poi si fermò quando notò l’espressione sul volto di Clive.

«Lo hanno ucciso aspettandosi una fortuna, e non hanno trovato che dieci pezzi d’oro. Non esattamente una cifra insignificante all’epoca, ma neanche un tesoro. È proprio da cose del genere che nascono le leggende, e questa particolare leggenda era abbastanza credibile per ingannare questo particolare storico.»

«Clive, cosa ti fa pensare che l’oro non sia nascosto da qualche altra parte…?» cominciò Nora, ma fu subito interrotta.

«Mettiti nei loro panni per un momento, pensa a cosa avresti fatto.»

Nora ci pensò. «Suppongo che non l’avrei perso di vista.»

«Esatto! Ho commesso un errore imperdonabile. Sono uno storico esperto e avrei dovuto essere più attento. Non ho scuse.»

«Quale errore, di preciso? Scuse per cosa?»

«Per essermene andato per congetture. Ho pensato che Wolfinger avesse fatto quel prelievo. Ma, Nora, il fatto è che quei registri erano incompleti. La dottoressa Fugit aveva ragione a essere scettica. Certo, quella settimana Wolfinger prelevò, ma solo cento dollari. Gli altri novecento devono essere stati prelevati in un altro momento, perso nei registri incompleti della banca. Ecco perché Reinhardt e Spitzer si sono equamente divisi l’oro: cinque monete ciascuno. Ecco perché era nei loro stivali. E… ed è per questo che ti ho deluso.» Come prima, alzò gli occhi al cielo. «Nora, mi vergogno. Ho garantito all’Istituto che avremmo trovato quell’oro, e invece tutto quello che abbiamo sono dieci pidocchiose monete.»

Nora rimase in silenzio per un momento. Ascoltando i discorsi di Clive, aveva provato qualcosa che non si aspettava: il rimpianto. Come archeologa, si era sempre detta che l’oro, il tesoro, non avevano importanza. Dopotutto, a lei non ne sarebbe venuto niente. Eccola lì, invece, circondata dal vero tesoro, un’importante scoperta archeologica. Eppure, nonostante tutti i suoi sforzi, anche lei stava provando qualcosa di più che una semplice fitta di delusione.

Allontanò quei pensieri. «Quelle dieci monete valgono ancora molti soldi» insistette.

«Non abbastanza per finanziare questa spedizione» rispose Clive. «E non sono non circolate. Il loro valore storico potrebbe far aumentare un po’ il prezzo, ma parliamo comunque solo di un migliaio di dollari l’una, poco di più.»

«Può darsi; ma non vedi? Non siamo mai stati sicuri di trovarlo, quell’oro. E il punto è che non conta più. Abbiamo trovato il Campo perduto. È questo che conta. Sarà un tale colpaccio per l’Istituto che probabilmente la dottoressa Fugit riuscirà a raccogliere molti soldi già solo per il sito.»

«Spero che ci riesca» disse Clive. «Ma questo non cambia il fatto che ti ho deluso.» Lasciò cadere il sigaro fumato a metà e lo schiacciò nell’erba.

«Sarà meglio che lo porti via.»

«Certo, scusa.» Clive avvolse il mozzicone in un fazzoletto. «Ti ho interrotto per piangermi addosso. Va’ avanti: vediamo cosa c’è in questa griglia.»

Nora prese la scopetta e iniziò a spazzolare il terreno soffice, rimuovendolo con la cazzuola per un successivo esame. Quasi subito, sentì che la scopetta incontrava un ostacolo. La mise da parte e riprese a lavorare con un pennello, spazzolando con un leggero movimento semicircolare. Apparve un delicato osso mandibolare umano: la mascella.

«È minuscolo» osservò Clive.

«È di un bambino» disse Nora. «Vedi i denti da latte? Direi che proviene da un individuo dai sei agli otto anni.» La voce vacillò. In un attimo, tutti i pensieri sull’oro erano spariti.

«C’era solo una bambina di quell’età, nel gruppo» mormorò Clive, scrutando con attenzione.

Lavorando lentamente, con qualcosa di simile alla reverenza, Nora continuò a ripulire la mascella, liberandola dalla terra che l’aveva tenuta prigioniera per più di un secolo e mezzo.

«Perché non scatti delle fotografie mentre lavoro, così documentiamo tutto?» mormorò lei.

Clive fotografò la mascella da diverse angolazioni. Presto, apparve il resto del cranio. Era intatto.

In silenzio, come se avessero avvertito che la scoperta era importante, Adelsky e Salazar avevano lasciato i loro quadranti e li avevano raggiunti per osservare.

Con delicati movimenti verso il basso, Nora iniziò a scoprire le vertebre cervicali e una piccola gabbia toracica. Apparve un fermaglio d’argento a forma di nastro con impigliata una ciocca di capelli biondi. Nora si fermò. Gli altri guardavano ipnotizzati, poteva sentire l’intensità dei loro sguardi mentre fissavano quelli che erano palesemente i resti di Samantha Carville, l’unica bambina del Campo perduto. Lo scheletro era disteso sulla schiena, le braccia amorevolmente incrociate sul petto.

Clive ruppe il silenzio. «Incredibile come i suoi capelli si siano conservati per tutti questi anni.»

«È stato il freddo» disse Salazar. «E l’altitudine.»

D’un tratto Nora si rese conto che le gambe le si erano addormentate. Si tirò su a fatica e si massaggiò i polpacci. Mentre lo faceva, fu sorpresa dalla presenza di qualcuno in piedi dietro di loro, ai margini della radura.

Jack Peel. Erano così concentrati sulla scoperta che non lo avevano sentito arrivare. Indossava un cappello da cowboy e un lungo spolverino, e li fissava intensamente.

Nora si sfilò i guanti e gli fece un cenno. Adelsky fece lo stesso. Per un momento, Peel rimase lì, per metà all’ombra. A quella distanza, la sua espressione era indecifrabile. Poi alzò una mano di rimando, si voltò e scomparve tra gli alberi. Lo spolverino si gonfiava dietro di lui mentre tornava al campo.

«È un tipo strano» disse Clive.

Adelsky e Salazar tornarono al loro lavoro e Nora continuò con il suo, assistita da Clive, fino a quando non ebbe completato il quadrante. Alla fine, mise da una parte gli strumenti e fece un sospiro. Una coppia di corvi gracchiava volteggiando tra due alberi secchi. Cominciò a scendere la nebbia mentre la sera oscurava il cielo. Nora guardò il delicato scheletro con la fibbia d’argento stretta attorno alla treccia di capelli biondi. Aveva portato alla luce in quel quadrante solo la parte superiore del corpo di Samantha; la parte sotto la vita continuava nel quadrante successivo, che Nora non aveva ancora aperto. Sarebbe stato un lavoro per l’indomani.

Allungò la mano, afferrò un telo, lo spiegò e lo fissò sui resti della piccola.

Quella sera, la cena intorno al fuoco fu tranquilla. Nora e i suoi erano stanchi per i lavori di avvio dello scavo. Clive era insolitamente silenzioso. Nora pensava che stesse ancora rimuginando sul fallimento del mancato ritrovamento dell’oro. Solo Maggie sembrava essere del suo solito buonumore, mentre elargiva porzioni abbondanti e punzecchiava Adelsky, cui colava il sudore dalla fronte per via del chili a dir poco incendiario che non era riuscito a finire. Il buio scese rapidamente e, con esso, il freddo pungente della sera. Burleson ravvivò il fuoco, e Maggie, dopo aver versato di nuovo il caffè a tutti, partì con uno dei suoi scherzi: questa uscita in particolare riguardava una prostituta, un parroco con un occhio solo e un pappagallo che parlava francese. La mente di Nora si allontanò, per tornare solo quando i suoi pensieri furono interrotti dallo scoppio di risate fragorose alla battuta finale. E sentì Maggie iniziare una delle sue infinite speculazioni sulla spedizione Donner. Con un pizzico di sgomento, si rese conto che stava per raccontare un’altra storia di fantasmi su Samantha Carville.

«Maggie» intervenne con il maggior tatto possibile, «non credo che sia un buon momento per una storia del genere.»

Maggie la fissò con un’espressione di finta indignazione. «Perché no? Cos’altro c’è da fare attorno a un fuoco se non raccontare storie?»

«È solo quella storia particolare…» Nora sospirò. «Oggi abbiamo trovato lo scheletro di Samantha Carville.»

Sbalorditi, tutti tacquero per un istante. Maggie fu la prima a riprendersi. «E la gamba?»

«Abbiamo portato alla luce solo la metà superiore dei suoi resti» rispose Nora. Notò che Peel, accigliato, rimestava con forza tra i carboni con un bastone.

Clive le venne in aiuto. «Maggie, anche a me piacciono le dicerie, come a chiunque altro, ma non c’è un briciolo di evidenza storica a sostegno di quella sulla gamba di Samantha. Lo scopriremo senza dubbio domani.»

Fu fermato da Wiggett, che gli aveva messo una mano di avvertimento sulla spalla e annuiva nell’oscurità.

Per un momento, tutto tacque, a parte il fuoco scoppiettante e il vento freddo tra gli alberi. E poi Nora lo sentì: il tonfo degli zoccoli e lo sbuffo di un cavallo.

Nessuno si mosse.

I passi lenti e sordi si avvicinavano. Poi, all’improvviso, una figura emerse dall’oscurità: una giovane donna in giaccone e guanti che si trascinava dietro un cavallo, il mantello oro scuro e la criniera e la coda paglierine.