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29 novembre

L’assistente aprì la porta e Nora entrò nell’ufficio di Jill Fugit, dottore di ricerca e presidente dell’Istituto archeologico di Santa Fe. Dietro di lei c’era Clive Benton. L’ufficio, non grande, era tuttavia confortevole e, pensò Nora, dava una sensazione di calda accoglienza con quel vecchio pavimento spagnolo piastrellato, le pareti di mattoni e il piccolo camino. Le finestre lungo la parete di fondo si affacciavano su un giardino, ora imbiancato per la nevicata della notte precedente. Un tappeto Two Grey Hills del 1920 adornava un’altra parete, mentre uno scaffale esibiva in fila delle olle zuni di fine Ottocento.

La dottoressa Fugit sollevò lo sguardo da una pila di documenti e si alzò per stringere la mano a entrambi. Il fine abito sartoriale, i lunghi capelli biondi e un naturale senso dell’eleganza rimandavano l’opposto dell’immagine stereotipata di un accademico paludato e pedante, qualcosa cui andò il silenzioso plauso di Nora. Quando la carica era diventata vacante, alcuni anni prima, quella per la presidenza di Jill Fugit era stata una scelta controversa, ma le sue credenziali impeccabili e la sua intelligenza acuta, a tratti pungente, erano risultate una piacevole variazione rispetto ai borbottii dei fossili che avevano occupato l’ufficio fino a quel momento. L’Istituto stava già raccogliendo i benefici tangibili del suo senso per gli affari e per le raccolte fondi.

«Nora, che piacere vederla!» disse con fare energico. «Ed è un piacere conoscere lei, dottor Benton. Prego, accomodatevi.»

Indicò i posti ai due lati del camino, si sistemò alla scrivania e rivolse a entrambi uno sguardo gentile ma penetrante.

«Posso offrirvi del caffè o del tè?»

Uno dei vantaggi di lavorare nel vecchio edificio dell’Istituto era il servizio bar. Fugit prese il telefono e fece l’ordine. Quindi estrasse una cartellina dalla cima della pila di documenti, la fece scivolare davanti a sé e la aprì. «Dunque, dottor Benton, vedo che si è addottorato a Stanford.»

«Esatto, ma mi sono laureato sulla East Coast.»

«Il mio stesso college. Ma veniamo a noi. Ho letto il progetto che lei e la dottoressa Kelly avete steso.» Fece una pausa. «Conosco la tragedia dei Donner, naturalmente, e ho qualche familiarità con uno dei primi lavori archeologici sui due campi principali. Ma i dettagli che ha aggiunto sono molto forti, in particolare per questo Campo perduto, a quanto pare una scena di eccezionale deprivazione e disperazione.» Lisciò i fogli. «Non ho potuto fare a meno di notare la grafia utilizzata per il nome di battesimo della signora Donner, forse il personaggio principale della tragedia e uno dei più studiati dagli storici, ma ricordo che il suo nome è sempre stato scritto “Tamsen”.»

«Esatto. Il nome della madre era Tamesin, ed è stato quello che le hanno dato quando è nata. Tuttavia, lei scelse la grafia “Tamzene”, e io ho cercato di rispettare il suo desiderio.»

«Certo.» Ancora una breve pausa. «Così, dottor Benton, lei vuole che l’Istituto sponsorizzi una ricerca del campo e il relativo scavo.»

«Esatto. Sono uno storico, non un archeologo. Il Campo perduto è quasi certamente nella Foresta nazionale di Tahoe, in territorio federale, quindi per scavare dovremo ottenere permessi statali e federali. Il prestigio dell’Istituto sarebbe molto utile.» A quel punto, fu lui a fare una pausa, poi aggiunse: «E sono convinto che la dottoressa Kelly sia la persona giusta per guidare questa campagna di scavo».

Lo sguardo di Fugit rimase penetrante. Come al solito, Nora non riusciva a decifrare fino in fondo le espressioni del presidente.

«Bene. Come dicevo, il progetto è estremamente accurato. Ci ho pensato molto, ma non credo che in questo momento sia la cosa giusta per noi.»

Questa conclusione repentina sorprese Nora. «Perché no?» chiese, con più foga di quanto avrebbe desiderato.

«Innanzitutto, scavi di alto livello sono già stati intrapresi per gli altri due campi. Francamente, cos’altro c’è da sapere?»

Nora fece un profondo respiro. «Dottoressa Fugit, l’ultimo scavo risale a più di vent’anni fa. Disponiamo di nuove tecniche, in particolare per l’estrazione del DNA

«Conosco le nuove tecniche.»

«Naturalmente. Mi scusi.» Nora era abituata a burocrati che avevano scarsa dimestichezza con la tecnologia. «Come saprà, quindi, con un nuovo sito in cui scavare potremmo finalmente dare nome e cognome ad alcuni resti umani. Possiamo capire chi è morto quando e chi…» Si fermò, cercando di farlo suonare il meno sgradevole possibile. «Chi… ehm… ha consumato chi.»

Arrivarono i caffè: un carrello traballante spinto da un impiegato dell’Istituto sulla cinquantina, tal Jones, con sopra un distributore termico per le bevande, delle tazze, panna, zucchero e dei biscotti che non avevano esattamente l’aria di essere freschissimi.

«A questo punto, in cosa consisterebbe il reale valore scientifico nel sapere chi ha consumato chi?» chiese Fugit. «Oltretutto, anche se le testimonianze del dottor Benton sono convincenti, sta dando per scontato che riuscirà a trovare il Campo perduto. L’aspetto fondamentale, tuttavia, è quello dei costi.»

Nora sapeva che ci sarebbero arrivati. Dieci anni prima, l’Istituto aveva attraversato difficoltà finanziarie. Ora, con Fugit in carica, non erano più costretti a contare i centesimi, ma una delle ragioni era un presidente molto oculato con il budget.

«È vero, finora il Campo perduto è stato, in effetti, proprio perduto» concesse Nora, «ma la scoperta del dottor Benton cambia tutto. Sembrerebbe che le undici persone intrappolate nel campo siano state soggette a cambiamenti sociali e psicologici molto insoliti. È un’opportunità incredibile per l’Istituto, uno scavo di livello che di certo susciterebbe l’attenzione della stampa.»

Fugit si rivolse a Benton. «Dottor Benton, ha un contributo in denaro da mettere sul piatto? Nel progetto non ho letto nulla a questo proposito.»

«No. Sinceramente, no.»

«Intende fare domanda per dei fondi?»

«No.»

«Un momento» li interruppe Nora. «Certo che faremo domanda per dei fondi, ma prima abbiamo bisogno del benestare dell’Istituto.»

Lo sguardo di Fugit era fisso su Benton. «Certo non avrà pensato che l’Istituto l’avrebbe finanziata…»

«In effetti, l’ho pensato.»

Nora aggrottò le sopracciglia. D’un tratto Benton era sul punto di rovinare tutto. Ma non ebbe il tempo di aprire bocca per rimediare, che lui continuò.

«C’è un elemento che non ho inserito nel progetto» disse.

Fugit mise giù il suo piattino. «Quale?»

«Una parte della storia deve essere tenuta nascosta, per ragioni che presto comprenderà.»

Ora Fugit aspettava a mani giunte.

«Ricorderà che un certo Wolfinger trasportava un baule pieno d’oro.»

«Lo ricordo.»

«E che quando il convoglio di Wolfinger rimase bloccato mentre attraversava il deserto del Gran Lago Salato, due uomini, Reinhardt e Spitzer, si offrirono di andare ad aiutarlo. Quei due uomini tornarono dicendo che Wolfinger era stato ucciso dagli indiani.»

«Sì…» disse la dottoressa Fugit con malcelata impazienza.

«Bene. Era una bugia. Anche all’epoca, i membri della spedizione sospettarono che a Wolfinger fosse successo qualcosa di strano. La versione di Reinhardt e Spitzer insospettì tutti, e in seguito i due uomini se ne stettero per conto loro e furono in qualche modo allontanati dagli altri. Prima di morire di fame al Campo perduto, Reinhardt fece una confessione sul letto di morte: Wolfinger non era stato ucciso dagli indiani; erano tornati indietro, l’avevano assassinato e si erano impossessati dell’oro.» Fece una pausa. «Questa informazione è stata nota agli storici per più di un secolo, ma nessuno, fatto abbastanza incredibile, ha pensato di porre la questione: cos’è successo all’oro?»

«Continui, la prego.»

«Evidentemente, trasportarono la cassaforte nascondendola nel loro convoglio. Dopodiché portarono quell’oro fino alle montagne, dove furono bloccati dalla neve. Siccome erano stati praticamente ostracizzati, furono costretti a rifugiarsi a una certa distanza dagli altri. E morirono di fame. Nessuno ha mai parlato del ritrovamento o del recupero dell’oro. Il che ci porta alla domanda: dov’è l’oro?»

Un lungo silenzio riempì la stanza.

«Sta dicendo che è ancora nascosto da qualche parte vicino al Campo perduto?» chiese Fugit.

«Precisamente. E forse proprio vicino a quel riparo di fortuna che costruirono con le assi del convoglio.»

Nora fissò Benton, sorpresa e infastidita. «Perché non me ne ha parlato prima?»

«Mi dispiace. Dovevo fare molta attenzione. Pensi a cosa sarebbe successo se questa notizia fosse trapelata. Devono aver nascosto la cassa durante quei mesi in cui sono stati sepolti, e con tutta quella neve non devono essere riusciti ad allontanarsi troppo. È il motivo per cui penso che l’abbiano nascosta vicino al loro rifugio.»

Fugit scrutò Benton. «Come ha avuto questa informazione?»

«Facendo qualcosa a cui non ha pensato nessun altro: ho cercato nei vecchi registri bancari notizie su dove Wolfinger lavorasse e vivesse. E nel seminterrato dell’archivio storico, in un vecchio registro della First Depository Bank di Springfield, in Illinois, ho trovato una pagina, datata sei giorni prima della partenza della spedizione, che riporta un cospicuo prelievo di monete d’oro da dieci dollari Liberty Head: tutte datate 1846 e non circolate, fresche della zecca di Filadelfia.»

«Quante?»

«Mille.»

«Ed è specificato che il prelievo fu fatto da Jacob Wolfinger?» chiese Nora, ancora seccata per non essere stata messa al corrente.

«No. Non sono riuscito a trovare il nome di chi ha fatto il prelievo. Quella pagina del libro mastro era stata danneggiata dai pesciolini d’argento. Ma ho altre prove.» Cercò nella tasca della giacca e tirò fuori un vecchio pezzo di carta dentro una bustina proteggi documenti. «In un armadietto adiacente, mi sono imbattuto in una lettera della First Depository Bank a Wolfinger, datata il giorno seguente, in cui si diceva che speravano che la transazione lo avesse soddisfatto e lo ringraziavano per i suoi affari con loro.»

Passò la lettera a Fugit, che la esaminò con attenzione e poi la passò a Nora.

«Affascinante» commentò il presidente, tornando a Benton. «Ma come può essere sicuro che fu Wolfinger a prelevare le mille monete d’oro? Potrebbe aver prelevato poche centinaia di dollari.»

«Tutto è possibile» rispose Clive, «ma non dimentichi che si trattava di una banca piccola, un prelievo come quello sarebbe stato molto insolito. E ci sarebbe voluto del tempo per predisporlo. Potrebbero aver dovuto rivolgersi a Chicago o anche a Philadelphia. Wolfinger era un uomo ricco, aveva liquidato una fattoria e degli affari molto prosperi, e stava andando in California. Si ricordi che questo è successo prima del servizio della Wells Fargo. Wolfinger non poté semplicemente assicurare il danaro a Sacramento, avrebbe dovuto portarcelo di persona. I pezzi d’oro da dieci dollari erano la lingua franca dell’epoca, come le banconote da cento dollari per gli spacciatori dei giorni nostri.» Clive si sporse in avanti. «Sappiamo che un prelievo di mille monete d’oro fu fatto immediatamente prima che si decidessero per la spedizione. Sappiamo che Wolfinger fece un prelievo dalla stessa banca. Sappiamo che aveva dell’oro in una cassaforte che stava portando in California.» Allargò le braccia. «È una prova irrefutabile.»

Si riappoggiò allo schienale, un sorriso trionfante stampato sulla faccia.

«Diecimila dollari» mormorò Fugit. «Erano molti soldi, nel 1846.»

«Sì. Ma quanto varrebbero oggi? Qui non stiamo parlando solo del valore in sé. Parliamo di numismatica. Un’aquila reale MS-60, non circolata, o in condizioni addirittura migliori, risalente alla metà del 1840, è attualmente valutata tra i quindicimila e i ventimila dollari. In altre parole, da qualche parte dentro o nei paraggi di quel campo c’è una cassaforte con monete d’oro per il valore di venti milioni di dollari.»

Benton si fermò e il silenzio nell’ufficio fu quasi solenne. Alla fine, il presidente riprese la parola.

«D’accordo, ma se l’Istituto scava il sito e trova l’oro… a chi apparterrà?»

«Secondo l’Agenzia delle entrate, “Di qualsiasi reperto rinvenuto in uno scavo autorizzato da un’organizzazione non profit 501 (c)(3) è regolarmente proprietaria l’organizzazione stessa”.»

«Quindi l’oro sarebbe nostro?»

«Dipende. La California rivendicherà il tesoro come patrimonio storico, come farà il Governo federale, dal momento che sarà trovato in territorio federale. Nel corso delle ricerche, non ho trovato eredi di Wolfinger, quindi su quel fronte non c’è granché di cui preoccuparsi.»

«Mi sono imbattuta in casi analoghi, in passato: eredi o meno, le cose potrebbero comunque mettersi male.»

«Sì, dottoressa Fugit, ma…» Benton si sporse ancora una volta in avanti «è qui che l’Istituto e il suo eccezionale prestigio entrano in gioco. Nei passaggi autorizzativi, l’Istituto negozierà in anticipo come eventuali tesori saranno suddivisi, qualora se ne rinvenissero. L’accordo sarà nei permessi stessi. La reputazione dell’Istituto garantirebbe che nessuno si opponga al fatto che ne otteniate una buona porzione. Per aumentare la sua dotazione. Finanziare importanti ricerche. Aumentare gli stipendi. Se l’Istituto offrisse un terzo alla California, un terzo a Zio Sam e tenesse un altro terzo per sé, chi potrebbe avere da ridire?» Abbassò la voce. «In altre parole, non deve investire soldi per finanziare questa spedizione.»

«Sarebbe comunque una scommessa piuttosto rischiosa.»

«Se la percezione dell’Istituto fosse questa, lo capirei. La nostra università, Stanford, ha una scuola di archeologia di altissimo livello, come d’altra parte Berkeley.»

Una ruga increspò la fronte di Fugit. Nora sapeva che il presidente non reagiva bene alle minacce, e il fatto che Benton fosse così diretto la allarmò.

«Sono sicura che potremo trovare i fondi» concluse il presidente seccamente. «Ma nella proposta di divisione, dov’è che entra in gioco lei?»

Benton rise. «Si riferisce alla parte di oro che chiedo per me? Nessuna. Il mio è un interesse esclusivamente storico. Se avessi voluto l’oro, avrei potuto andare a cercarmelo da solo, e nessuno se ne sarebbe accorto.»

«Ammirevole» disse Fugit con una chiara nota di sarcasmo. «Come sa, però, che non lo ha già trovato qualcun altro anni fa?»

«Se così fosse, un inaspettato numero di monete d’oro del 1846 non circolate, ormai… circolerebbe eccome. Nessuno ha idea di dove sia il Campo perduto. A parte noi, adesso, grazie a Tamzene Donner e al suo diario.»

Ci fu un breve silenzio. Poi Fugit chiuse la cartellina sulla sua scrivania. «L’Istituto sponsorizzerà il suo progetto e sopporterà i costi della spedizione. Nora, se accetterà, sarà lei a dirigere lo scavo, mentre Clive – posso chiamarla Clive? – sarà il referente per la parte storica. Il mio ufficio si occuperà delle autorizzazioni. Ci aspetta l’inverno, quindi non abbiamo molto tempo per organizzare una spedizione seria.»

Si alzò e strinse la mano a entrambi. «Dottor Benton, concederebbe un momento a me e a Nora?»

«Certo.» L’uomo sorrise a entrambe, girò sui tacchi e uscì dall’ufficio.

Fugit aspettò che chiudesse la porta, quindi si rimisero a sedere e la sua attenzione fu nuovamente rivolta a Nora. «È una proposta molto interessante.» Il tono era distaccato, ma l’espressione del presidente tradiva stavolta un certo entusiasmo.

«Grazie. Sono felice che lo pensi.»

«A che punto siamo con le rovine pueblo a Pedernal Peak?»

«L’ultima stanza è stata completamente scavata e documentata. Si tratta solo di catalogare frammenti e reperti. Lavoro di laboratorio.»

«E quell’insediamento isolato a cui stava lavorando a Bandelier?»

«Il lavoro è stato completato; l’ho passato al dipartimento delle Antichità per gli aspetti legali.»

Il presidente la scrutò per un momento. «Sono qui da quasi due anni e mezzo, e in tutto questo tempo non ricordo che lei sia mai andata in vacanza o abbia anche solo staccato gli occhi da un saggio di scavo.»

«Semplice, amo il mio lavoro.»

«Tutto qui?»

«Sì» rispose Nora, un po’ più bruscamente di quanto avrebbe voluto.

«Non cerco di farle pressione, ma conosco la sua storia. Mi fa piacere sentire che ama il suo lavoro, ma non voglio che ci si seppellisca.»

Nora non aggiunse nulla.

«Questa spedizione non sarà una passeggiata. Quelle della Sierra sono montagne aspre e pericolose. Sa che Ted Curtin pagherebbe per uno scavo come questo. Ne ha bisogno. Se vuole lasciargli il lavoro sul campo, potrebbe prendersi un po’ di tempo libero, dirigere tutto da qui, e riprendere quando…»

«Dottoressa Fugit» la interruppe Nora, «la ringrazio davvero per il suo interessamento. E voglio vedere Ted Curtin conseguire il suo titolo. Ma Clive Benton è venuto a cercare me. Non so come la prenderebbe se passassi lo scavo a qualcun altro. E, in tutta onestà, non mi sto seppellendo nel lavoro. Il mio lavoro è la mia vita. Non riesco a immaginare niente di più eccitante che trovare il Campo perduto della spedizione Donner. Durante i preparativi, quest’inverno, avremo ben poco da fare, non ci arriverò certo poco riposata.»

Fugit rimaneva ad ascoltarla.

«So che conosce la mia storia, ma onestamente c’entra poco. E… be’, per usare le sue parole, apprezzo davvero la sua sensibilità nel non fare pressione.»

Gli occhi della dottoressa Fugit si fecero impercettibilmente più grandi per un istante e nell’ufficio seguì qualche momento di silenzio. Alla fine, il presidente annuì.

«Molto bene» disse sbrigativa. «Buona fortuna per i preparativi, dottoressa Kelly.»