CAPITOLO OTTAVO

Vagabondò in città. Non aveva fame, ma caldo sì. Un tabellone sopra una banca annunciava 36 gradi. Il sole era quasi a picco. Le ombre erano cortissime. Svoltò bruscamente e spinse una porta a vetri. La frescura lo avvolse.

— Gradevole, vero?

Parlava con lui? Si rese conto di aver chiuso gli occhi. Li riaprì e vide una donna dietro un bancone. Gli scaffali alle sue spalle erano carichi di libri. Altri libri alla sua sinistra. Oltre un’arcata, scorse tavoli rotondi dov’erano sedute diverse persone immerse nella lettura, e altri scaffali carichi di libri, come un battaglione sull’attenti. Una biblioteca.

— Ha già toccato i quaranta gradi? — s’informò la donna, sorridendo.

Era anziana, a giudicare dai capelli quasi bianchi, però a occhi chiusi la sua voce gli era sembrata molto più giovane. Stranamente, Sonseray non avrebbe saputo dire se era una madre o no.

— Trentasei — rispose, senza muoversi.

La donna continuava a sorridergli. — Ti trattieni? — gli chiese.

Sonseray alzò le spalle.

— Hai una tessera?

— Eh?

— La tessera della biblioteca. Ce l’hai?

— No.

— Ne vuoi una?

— No.

Sentì il tempo ritrarsi da lui, fuggire, lasciando dietro soltanto l’eco della sua voce: “Nononononononono.”

Quando tornò a lambirlo, Sonseray si trovava davanti al bancone.

— Ne sei sicuro? — diceva la signora sorridente, tendendo la mano.

Sonseray le consegnò il sacchetto di plastica bianca sottratto al ragazzino nel negozio. Non si era reso conto di averlo ancora con sé.

— Ne sei sicuro? — ripeté la donna lentamente, con voce scampanellante, rovesciando il sacchetto.

Ne caddero fuori una scatola di pastelli, un anello dell’Uomo Ragno, due leccalecca a pallini e un pacchetto di figurine di giocatori di baseball. La donna aprì il pacchetto.

— Ne… sei…

Rigirò le carte, una alla volta: facce da baseball, berretti da baseball, finché ne restò una soltanto, l’ultima.

— … sicuro?

Quella carta era diversa dalle altre. Niente facce, niente berretti, solo un cartoncino blu. Gliela sollevò proprio davanti agli occhi e sorrise.

— Eccola qui. — Allungò una mano e gli infilò in tasca il cartoncino, poi accennò alla sala di lettura. — Accomodati pure.

Sonseray stava quasi per andarsene, ma poi accettò l’invito. Superò l’arcata. Per un istante, assurdamente, sentì odore di pancetta.

Girò fra i tavoli rotondi e le alte librerie. Non toccò i libri. Ammirò i soffitti senza vetri. Udì una voce sommessa e si guardò intorno per scoprire chi stesse parlando, ma le persone ai tavoli erano tutte a testa china. Sapeva due cose delle biblioteche: contenevano libri e non era permesso parlare. Tre cose: d’estate avevano l’aria condizionata.

Vicino a una seconda arcata, in fondo al salone, la voce sembrava meno lontana.

Un cartello diceva: BAMBINI.

Seguendo una freccia, scese una scala. La voce veniva da dietro una porta chiusa. Un cartello scritto a mano e appoggiato a un cavalletto annunciava: OGGI! PER I BAMBINI IN ETÀ PRESCOLARE “L’ORA DI FAVOLELLA”, ORE 13.00.