CAPITOLO QUARTO

A mezzanotte passata, dopo che il barbaglio della tivù era scomparso dalla maggior parte delle finestre, s’incontrarono dietro il supermercato. Spruzzarono dovunque la loro firma, fino a esaurire le bombolette. Non temevano di essere identificati, perché nessun altro conosceva i loro nuovi nomi.

Li scrissero su bidoni della spazzatura e segnali stradali, su scalini e muri, su porte e marciapiedi. Non passò molto tempo prima che Donnola si portasse la bomboletta all’orecchio e la scuotesse.

— Quasi vuota. Un’altra.

Mangusta controllò la sua. — Anch’io.

— Io salgo lassù — annunciò Donnola. — Dovranno guardare in alto per vedere il mio nome.

Mangusta lo osservò mentre scalava un tetto e tracciava la sua firma – D O N O L A – su un camino.

L’audacia dell’amico gli trasmise un brivido d’eccitazione. Non fosse stato per quello che combinavano e per l’ora tarda, avrebbe gridato di gioia.

Per sé, Mangusta scelse un albero. Gli sembrava un’idea niente male scrivere il suo nome tutt’intorno al tronco. Aveva appena completato la U, quando si fermò e indietreggiò impaurito. Alla luce fioca di un vicino lampione si era accorto di avere appena verniciato un insetto enorme. Tre volte più grosso dell’unghia del suo pollice, era ormai completamente blu, perfino i lucidi occhietti sporgenti. Era quasi rotondo e sembrava coriaceo, come se avesse il guscio. Era aggrappato al tronco.

Mangusta trovò un rametto e lo toccò. Non si mosse. Lo stuzzicò di nuovo. L’insetto cadde a terra. Mangusta strillò e fece un salto all’indietro.

Donnola si avvicinò. — Che succede?

— Guarda.

— Ehi! — Donnola fischiò. — È bello grosso. Che hai fatto, l’hai verniciato?

— Sì. Mi sa che l’ho ucciso.

— Be’ se non l’hai ucciso tu — Donnola saltò sull’insetto, producendo un crepitio fioco — ci ho pensato io. — Agitò la bomboletta vuota. — Andiamo.

Tornarono a casa.

Mangusta abitava a pianterreno. Era sgusciato fuori dalla finestra della camera che divideva col fratello. Al suo rientro vide la tessera blu sul davanzale illuminato dalla luna. La spazzò via con la mano. Una volta in camera, si spogliò e s’infilò a letto.

Prima di addormentarsi ripensò all’insetto verniciato, coi suoi spettrali occhi blu. Soltanto allora si chiese che cosa ci facesse lì un insetto. Erano i primi di dicembre. Faceva freddo. Non si vedevano insetti da mesi. Mentre il sonno lo vinceva, i luccicanti occhi blu cominciarono a mutare.

Al mattino, la tessera blu era sul pavimento.