CAPITOLO PRIMO
L’uomo e il ragazzo erano stati in molti posti, ma l’auto in molti di più.
Era una Cadillac Eldorado del 1976 e, mentre sferragliava sulla strada che costeggiava la fabbrica abbandonata, il contachilometri ne segnava oltre 400.000. Le portiere fremevano come un graticcio di canne, cordoni argentei luccicavano come vene sulle ruote lisce. Legato al telaio con filo di ferro, il tubo di scappamento sputava grigie palle fuligginose lasciandosi dietro una bassa nuvola acre.
Scaglie di ruggine schizzarono via mentre l’auto saliva sul marciapiede e attraversava sobbalzando il campo disseminato di immondizia dietro la fabbrica, per fermarsi infine davanti a una lavatrice capovolta.
— Dannazione… — bofonchiò l’uomo — c’è già qualcuno.
— Dove? — chiese il ragazzo.
— Laggiù.
A una cinquantina di metri di distanza, sotto l’arcata centrale di un ponte ferroviario, c’era un’altra auto.
La Eldorado brontolò sotto di loro.
— Ci fermiamo? — chiese il ragazzo.
— Non lo so. Decidi tu.
Il ragazzo fissò l’altra auto. — Che significa?
— Quello che ho detto. Dipende da te, se fermarci oppure no.
— Perché?
— Lo sai, perché.
Gli occhi del ragazzo erano inespressivi, vuoti. Aprì lo sportello del passeggero. — Io so che devo fare pipì, ecco quello che so.
Uscì e orinò rumorosamente su un bidone di plastica.
— Devi proprio fare tanto rumore? — gridò l’uomo.
Il ragazzo non rispose. Quando tornò vicino all’auto, sollevò la gamba destra e abbatté il piede sul pannello sopra la ruota anteriore: il metallo arrugginito si schiantò come carta.
— Complimenti — commentò l’uomo.
— Vuoi spegnere questo macinino, o no?
— Domani mattina vado a cercarmi un lavoro — annunciò l’uomo. — Se lo trovo, ho intenzione di tenermelo per un pezzo. Niente guai, chiaro?
Il ragazzo accennò alla nuvola dei gas di scarico. — Pensavo che volessi risparmiare benzina.
L’uomo lo guardò e le sue spalle s’incurvarono. Si appoggiò allo schienale e spense il motore. Senza badarci, l’Eldorado continuò a tossicchiare per mezzo minuto buono. E finalmente si zittì.