CAPITOLO SESTO

No.

Per Sonseray era come un puzzle, migliaia di pezzi sparpagliati davanti a lui. Ogni pezzo era un ricordo, o una domanda che aveva già ricevuto una risposta. Se la risposta era sì, due pezzi si combinavano insieme; se era no, il pezzo fluttuava via. C’erano più domande che ricordi. Finora, soltanto pochi si combinavano insieme, concedendogli barlumi sconnessi, beffardi. Fra quelli, non ci sarebbe stata una ragazzina coi capelli rossi sui pattini.

A volte avrebbe voluto fare tutte le domande insieme, continuare per un giorno intero, una settimana se necessario, senza neanche mangiare. Ma poi si distraeva, intravedeva una madre – le riconosceva a chilometri di distanza – che si trascinava dietro il figlio, o lo rimproverava, o era semplicemente se stessa. Oh, sì, le riconosceva perfino quand’erano sole. Se non avevano il figlio con sé, stavano andando a prenderlo. Garantito.

Erano dappertutto, le madri. Frugavano nella credenza in cucina e pagavano con la carta di credito al supermercato e guidavano l’auto e facevano jogging con scarpette dai lacci rosa. Il mondo era pieno di madri, stipato, straripante. Erano comuni come la polvere e più rare di una moneta sul marciapiede.

Sonseray le amava e le odiava, e odiava i loro figli. Odiava la loro boria. Soprattutto li odiava quando, in un grande magazzino, davanti a un negozio di giocattoli, tendevano alla madre un pacchetto che si erano stufati di portare e dicevano… no, ordinavano: “Tieni” o addirittura si limitavano a infilarglielo nella borsa senza parlare, senza nemmeno guardarla. E la madre prendeva il pacchetto, lo accettava… Che altro possono fare, le madri? E Sonseray avrebbe voluto urlare al ragazzino: “Ehi, non darti tante arie. Non sono come sembro. Ce l’avevo anch’io una madre, sai.”

Ma naturalmente stava zitto. Sua madre era morta quando lui aveva dieci anni, da qualche parte «a trecento chilometri a nord di Chicago», gli avevano detto. E non ci viveva insieme da quando aveva cinque anni e lei l’aveva lasciato con Jack, che allora aveva un lavoro e una moglie. E lui ancora ne soffriva, ed era questo a inaridire il suo desiderio di fare mille domande. Ed era ricordare: “Ehi, un momento, un tempo ne avevo una anch’io”, che di tanto in tanto lo incoraggiava a porre una domanda solitaria. Questo e, come ieri, la vista d’una ragazzina sui pattini.

No.

Lasciò fluttuare lontano la tessera del puzzle.