CAPITOLO SECONDO

E adesso rieccoli sul tetto, in attesa che fiato e cuore li raggiungessero.

Donnola si sbottonò il cappotto e lo allargò come ali di pipistrello.

Mangusta boccheggiò sbalordito. — Caspita!

L’amico aveva piegato a metà due federe e se le era appuntate dentro il cappotto. Ora erano piene da scoppiare. Gli ci vollero dieci minuti per svuotarle: cioccolatini, pasticcini, ciambelle, caramelle, bomboloni al caffè. — Bene — disse infine, raggiante — adesso tu.

Mangusta cominciò a deporre il suo bottino.

Donnola fischiò e agguantò una barretta di cioccolato. — Niente male, Gus.

Poi, scavando in fondo all’ultima tasca, le dita di Mangusta incontrarono qualcosa di diverso. Lo tirò fuori. Un pezzo di carta rigido. Un cartoncino. Blu.

— Che roba è? — chiese Donnola.

Mangusta aggrottò la fronte. — Non lo so. — Si portò vicino al parapetto, dove c’era più luce. — Una tessera della biblioteca — disse.

— Una tessera della biblioteca? — strillò Donnola, scandalizzato. — Che ci fai, con una tessera della biblioteca? Dammi qua.

Gliela strappò di mano.

Mangusta alzò le spalle. — Non lo so. Mica è mia.

— Ora non è di nessuno — affermò Donnola. E la lanciò di sotto.

Restarono seduti sul tetto a mangiarsi il bottino, assaporando il futuro.

— Io mollo la scuola — annunciò Donnola.

— Quando?

— Appena compio sedici anni. Appena sveglio. Non farò neanche colazione. Andrò dritto dal preside, salterò sulla sua scrivania, ci ballerò sopra e dirò: «Me ne vado.» Poi tornerò nella classe di quella vecchia strega della Pocopson, se ancora non è finita al cimitero, aprirò la porta e mi volterò e le mostrerò le chiappe davanti a tutta la classe.

Mangusta si sbellicò, pensando alla scena.

— E prenderò la patente. Poi farò colazione.

— Che auto vuoi? — chiese Mangusta.

— Una Firebird, cocco. Decappottabile. Rossa. Con i cerchi in lega. — Donnola saltò in piedi e fece il giro del tetto, le mani strette intorno a un volante immaginario, azionando un immaginario cambio e roboando con la voce. — Brrrrrmmmmrmmm.

— Io prenderò una Jag — disse Mangusta.

— Una Jag? Che cafonata.

Mangusta alzò le spalle. — Non credo. — Desiderava una Jaguar bianca fin da quando ne aveva vista una parcheggiata in centro. Da quel momento non aveva fatto che pensare all’ornamento sul cofano: il felino argenteo e snello che si contraeva, pronto al balzo. — Bianca — precisò.

— Bianca! — strepitò Donnola. — Questa è una cafonata anche peggiore.

Mangusta azzannò una stecca di cioccolato. Sorrise. — Meglio della tua Firebird.

Per i cinque minuti successivi discussero su chi avrebbe battuto chi in una gara di velocità.

— E dopo che ti avrò dato la polvere — disse Donnola — sai dove andrò?

— Dove?

— Andrò di nuovo a scuola. E parcheggerò proprio là davanti…

— Accanto alla rastrelliera delle bici! — uggiolò Mangusta.

— Sì!

Questo fece ululare entrambi.

— E resterò lì seduto con un gran sorriso sulla faccia, e tutti quegli studentelli verranno a supplicarmi per farci un giro. E la vecchia Pocopson arriverà sul suo orribile macinino e io riderò… riderò… — Cominciò subito, per avvantaggiarsi. Poi si voltò verso Mangusta: — E tu dove andrai, dopo che ti avrò dato la polvere?

A questo, Mangusta non aveva pensato. In effetti, non si era mai immaginato alla guida della sua Jag bianca. Si era soltanto limitato a immaginare l’auto davanti a casa sua, come una mucca al pascolo, che lo aspettava.

— Non lo so — disse.