CAPITOLO DICIANNOVESIMO

Il preside Brimlow fece l’annuncio la mattina dopo: «Allora, ragazzi, abbiamo le tre proposte fra cui scegliere la mascotte della scuola. L’ultimo anno propone… i Demoni! Il secondo anno… le Linci! Il primo anno… i Criceti! Le votazioni si svolgeranno giovedì prossimo e la mascotte vincitrice sarà annunciata il giorno seguente, durante l’assemblea inaugurale.»

Entro l’ora di pranzo, ogni singolo primino della Plumstead era riuscito, in un modo o nell’altro, a passare davanti alla casa del criceto per fargli un salutino. Un saluto che per lo più consisteva nel battere un’unghia sulla parete di vetro del terrario, col risultato di svegliarne l’occupante mentre tentava di fare un pisolino. Il risultato fu un centinaio di primini felici e un criceto di pessimo umore che avrebbe tanto desiderato avere a portata di denti una di quelle dita insistenti.

A un certo punto, chissà come, nel corso della giornata il criceto si conquistò un nome: Humphrey.

La settimana dopo, Sunny Wyler si scoprì a desiderare disperatamente i “bei vecchi tempi”, quando alla fine delle lezioni non c’erano che lei e il criceto. Ora, quando andava a dargli da mangiare, Humphrey era irritato per essere stato tenuto sveglio tutto il giorno, e non era affatto divertente avere a che fare con lui. «Sei un musone» brontolava Sunny.

A volte trovava il tavolo accanto al terrario cosparso di cibo lasciato da ragazzini volenterosi, di solito assolutamente inadatto ai criceti: M&M’s, biscotti al cioccolato, patatine al peperoncino, ravioli.

Ogni tanto c’era anche di peggio: gomme da masticare, avanzi di saponette, cancellini. Tutta roba, Sunny ne era sicura, lasciata dagli allievi di seconda e di terza che preferivano avere come mascotte un demonio o una lince. Una volta trovò addirittura un foglio appoggiato alla “casa” di Humphrey:

PIATTO DEL GIORNO PER GIOVEDÌ:

CRICETO-BURGER

Giovedì era il giorno delle votazioni. Sunny strappò il foglio a metà, e poi strappò di nuovo i pezzi, e continuò a stracciarli combattuta tra la frustrazione e la collera. Era furiosa col criceto perché era così carino. Furiosa con se stessa perché gli si era affezionata. Furiosa col preside perché non si decideva a espellerla. E furiosa con l’intera scuola per essersi messa fra lei e Hillary.

Gettò i frammenti, ormai ridotti a coriandoli, nel cestino della carta straccia. Era il momento di agire.