CAPITOLO DODICESIMO
«La odio!» brontolò Sunny. «È perfino peggio di quanto avessi pensato.»
«La mia scuola invece non è male» replicò Hillary «però sarebbe meglio se ci fossi anche tu.»
Le due amiche erano chiuse in camera di Sunny, dopo cena.
«Ho fatto di tutto per mettermi nei guai» proseguì Sunny. «A lezione di matematica. A lettere. Poi ho ricevuto un biglietto: “Presentarsi in presidenza”.»
«Wow!» esclamò Hillary.
«Già, l’ho pensato anch’io: è fatta. Mi hanno espulsa. Sayonara, Plumstead. Sono tutta tua, Cedar Grove.»
«E poi…?» chiese l’amica col fiato sospeso, masticando l’orecchio del suo orsacchiotto di peluche. Hillary si fermava talmente spesso a dormire da Sunny che il suo orsacchiotto restava lì in pianta stabile.
«E poi… indovina di cosa si trattava?»
«Di cosa?»
«Del pranzo.»
«Del pranzo?»
«Già. Il preside mi aveva invitata a pranzo.»
«Il preside?»
«Già. In presidenza. È insulso quanto la sua scuola. Porta una cravatta a farfalla!»
Hillary passò a masticare l’altro orecchio dell’orsacchiotto. «Ma perché ti ha invitata? Conosce i tuoi genitori?»
«Non che io sappia. Non ho la minima idea del perché dell’invito. Però sapeva come mi chiamo. Compreso il secondo nome.»
«Sunny?»
«Sì. Ti pare possibile?»
«Avrà controllato il tuo fascicolo.»
«Sì, ma perché? Perché proprio il mio?»
Ci pensarono su, ma non riuscirono a trovare una risposta.
«E non è tutto» riprese Sunny. «Aveva invitato a pranzo altri tre studenti.»
«Altri tre…?»
«Sì, tre scemi integrali… oh… sai uno chi era?»
«Chi?»
«Pepe.»
«Pepe inteso come Peperoncino Johnson? Il ragazzo con lo skateboard?»
«Già. L’ha portato a scuola e quel fesso del preside ci è salito sopra, è schizzato in corridoio ed è piombato a capofitto in una classe.»
Hillary strabuzzò gli occhi. «Stai scherzando!»
«No. Ne parla tutta la scuola.»
«Senti…» Hillary le si fece più vicina. «È carino Pepe?»
«Carino?» sbuffò Sunny. «Esiste un ragazzo carino? E poi ha le scarpe verdi, suole comprese, come se le avesse dipinte… Come fa uno così a essere carino? È un deficiente.»
«Ho sentito dire che fa cose pazzesche» disse ancora Hillary. «Ha fatto qualcosa, durante il pranzo?»
Sunny scrollò le spalle. «Ha acchiappato un criceto.»
«Cosa?»
Così Sunny raccontò a Hillary della fuga e della cattura del criceto. «E sai la cosa peggiore? Quel citrullo del preside mi ha affibbiato il compito di occuparmi della bestia.»
Hillary scosse la testa. «Sai che la tua scuola mi sembra molto, molto più divertente della mia? Forse alla fine sarebbe meglio che ci provassi io, a farmi trasferire.»
«Sì, per ritrovarti un roditore nel pranzo.»
Il telefono nel corridoio squillò e Sunny corse a rispondere. Tornò borbottando qualcosa su citrulli e imbecilli.
«Chi era?» chiese Hillary.
«Una tipa che si chiama Salem. Che razza di nome! C’era anche lei, a pranzo. È completamente fuori di testa. Il preside l’ha nominata presidentessa di uno stupido comitato che dovrebbe scegliere la mascotte della scuola. Telefonava per invitarmi ad andare da lei sabato, insieme agli altri, per conoscerci meglio e fare un brainstorming. Pazzesco! Quella è convinta di avere trentott’anni.»
«Ci andrai?»
Sunny sogghignò. «Nemmeno per sogno. Le ho detto di sì, ma le faccio il bidone, garantito. Potrà conoscere meglio il citrullo, se vuole.»
«Quale citrullo?»
«Un piccolo demente che continua a guardarmi e a sorridere e a cercare di attaccare bottone. È convinto che gli abbia davvero tirato una caccola, figurati!»
Hillary abbracciò l’orsacchiotto. «Sunny… forse gli piaci!»
«Tu dici?» sbuffò Sunny. «Be’, chissà quanto potrebbe piacergli questo.» Si tolse le scarpe e sollevò i piedi verso la faccia di Hillary, che si ritrasse di scatto. «Vedi questi calzini? Continuerò a metterli ogni giorno, esattamente come la maglietta, finché non si decideranno a buttarmi fuori.»
«Non riesco a credere di avere accettato di non lavarmi i capelli finché non ti farai espellere» gemette Hillary.
Sunny batté le mani. «Puzzeremo insieme!»
«Potranno usarci per ingrassare i motori!»
S’inginocchiarono l’una di fronte all’altra, arruffandosi a vicenda i capelli.
«Possiamo coltivarci le verdure, quassù!»
«Pidocchi!»
«Un allevamento di pidocchi!»
«Puuuuuuahhhh!»
La mattina dopo, mentre suonava la prima campanella, Eddie Mott andò in presidenza e prese la bandiera. Quando tornò fuori, vide Pepe che lo aspettava accanto all’asta, stringendo in una mano un sacchetto di carta marrone. “Oh-oh” pensò Eddie “che ci sarà là dentro? Una nuova invenzione? Una bandiera ridicola?” Si augurò che Pepe non avesse intenzione di combinare guai. Per Eddie, l’alzabandiera era una cosa seria, una questione di patriottismo.
«Ciao» lo salutò Pepe. «Allora, che si fa?»
Eddie gli tese la bandiera. «Tieni.» Pepe mise per terra il sacchetto e prese la bandiera. «Guarda quello che faccio io» continuò Eddie, stupito di avere il coraggio di dare ordini a qualcuno.
Srotolò la corda dal gancio a due punte fissato sul palo e la fissò agli occhielli nei due angoli laterali della bandiera. «Adesso la mando su. Non trattenerla e fa’ attenzione che non tocchi terra.»
Pepe annuì. «Vai!»
Eddie cominciò a tirare la corda lentamente, come gli era stato insegnato. Poi, quando l’ultimo pezzo di stoffa a strisce rosse e bianche lasciò le mani di Pepe, lo vide chinarsi a recuperare il sacchetto di carta. Senza staccare gli occhi dalla bandiera, Eddie implorò in cuor suo: “Ti prego, Pepe, non rovinare tutto”. Sentì frusciare il sacchetto e poi – possibile? – nel silenzio risuonarono le note della “sveglia”, la musica sentita in tanti film di guerra.
Mantenendo il viso rivolto al cielo e alla bandiera che saliva, Eddie spostò lo sguardo verso il basso. Pepe stava suonando la tromba: una vecchia trombetta ammaccata e ossidata. E stava sull’attenti, di fronte alla scuola, le guance gonfie e tonde come palloncini.
Scosso da un brivido patriottico, Eddie riportò lo sguardo sulla bandiera, ormai quasi alla meta.
La bandiera arrivò in cima all’asta. La tromba smise di suonare. Eddie legò la fune al gancio. Si sentiva sollevato, felice. Pepe non aveva combinato guai, anzi! Aveva reso l’alzabandiera ancora più speciale. Stava per dirglielo quando vide un tizio uscire dalla scuola e correre verso di loro.
Più che correre, ballonzolava come una papera. Era anziano e piuttosto basso, anche se era difficile calcolare la sua altezza perché era chino in avanti. Quando fu più vicino, Eddie vide che aveva gli occhi fiammeggianti e poi notò le labbra… o, più precisamente, il labbro inferiore. Era enorme. Gli finiva praticamente sul mento, dandogli l’aspetto di un bambino imbronciato. Sembrava che glielo avessero arrotolato verso l’esterno. Più che un labbro, sembrava un corto, paffuto salsicciotto. Ed era lucido: umido e lucido. Tremolava mentre l’uomo si affrettava trottando verso di loro.