CAPITOLO QUATTORDICESIMO

Era l’ora di pranzo e Salem Brownmiller e Eddie Mott erano diretti verso la mensa.

«Non è incredibile quello che ha fatto Sunny?» esclamò Salem.

Eddie rabbrividì al ricordo. «Un incubo.»

«Credo che lo fosse anche per Hummelsdorf. Hai visto com’è rimasto là, impalato?»

«Sembrava sotto shock.»

«Probabilmente è ancora là, impalato.»

Scoppiarono a ridere.

«Sai una cosa?» chiese Salem.

«Cosa?»

«Sunny gli sta simpatica.»

Eddie si fermò di botto. «Dici sul serio

«Penso proprio di sì.» Salem lo afferrò per un braccio e se lo tirò dietro.

«Com’è possibile? Dopo quello che ha fatto?»

Salem scrollò le spalle. «Non lo so. È una sensazione.» Si batté sul petto. «Lo sento qua dentro. Mi sto allenando ad ascoltare il mio istinto. Non serve soltanto questa, per scrivere.» Si batté sulla fronte. «La roba migliore ti arriva dal subconscio. Neanche sembrano parole o idee. Io fingo che siano tanti pesciolini luminescenti, perché nel subconscio è così buio. E quando ne individuo uno… ops

Era così concentrata che andò a sbattere contro un insegnante fermo davanti alla sua aula. «Scusi, professore.» Gli girò attorno e, senza smettere un istante di parlare, si rimise in moto. «Sai cosa faccio, soprattutto quando scrivo poesie? Faccio finta che il mio cervello sia una spiaggia! Lancio la lenza nelle acque del subconscio e, se ho fortuna, dopo un po’ un pesciolino abbocca e io lo tiro fuori. E quando si asciuga, diventa una parola. “Le parole migliori sono le ossa di visitatori venuti dal profondo.” Non è incredibile? L’ho letto in uno dei miei manuali di scrittura creativa.»

“Anche tu sei proprio incredibile” pensò Eddie, che non era sicuro di afferrare il senso di tutto. «Però non capisco come faccia Hummelsdorf a trovare simpatica Sunny» insisté.

«Aspetta e vedrai» replicò Salem. «E sai una cosa? Ho una certa sensazione riguardo a qualcun altro e Sunny» aggiunse mentre scendevano le scale che portavano alla mensa. Guardò Eddie di sottecchi. «Ti interessa?»

Il suo sorrisetto malizioso fece arrossire Eddie e gli tolse il coraggio di rispondere “sì”. Mentre arrivavano in fondo alle scale, due ragazzi in attesa davanti all’ultimo gradino si voltarono bruscamente per bloccare loro il passaggio. Uno era magro, l’altro grasso. E tutt’e due avevano i capelli cortissimi, con cerchi grandi quanto una monetina rasati sulla testa. Il risultato era un taglio a pois.

Il ragazzo magro puntò il dito sul sacchetto di carta scura che Eddie aveva in mano e ringhiò: «Tassa sul pranzo.»

«Eh?» fece Eddie.

«Tassa sul pranzo. Apri il sacchetto.»

«Perché?» chiese Eddie. Dopo l’esperienza del giorno prima, si era augurato di non avere più a che fare con gli allievi di terza.

«Protezione» lo informò il magro. «Tu paghi, e noi ci assicuriamo che nessuno ti dia fastidio.»

«Come no» sogghignò Salem, che non aveva sacchetti. «E fino a quando?»

I due bulli si scambiarono un’occhiata e scoppiarono a ridere. «Fino a domani.»

«Vieni via, Eddie.» Salem fece qualche passo tirandoselo dietro, ma il sacchetto di carta scura rimase nella mano del bullo magro, che lo aprì, ne ispezionò il contenuto e alla fine tirò fuori un budino al cioccolato.

«Ora chiamo un insegnante» minacciò Salem, ma prima che facesse in tempo a muovere un passo, il sacchetto fu strappato dalle mani del bullo magro. Stavolta a impadronirsene era stato Pepe Johnson, che sembrava comparso dal nulla.

«Il pranzo di questo qui ve lo sconsiglio» intimò ai due prepotenti sbalorditi. «Vive in un porcile. Pieno di ratti. Scarafaggi. Bisce. Andavo lì per consegnare i giornali e una volta alla settimana mi toccava entrare in casa per farmi pagare. Mi sono licenziato per non doverci tornare mai più. I suoi genitori sono completamente fuori di testa.»

Mentre parlava, richiuse il sacchetto e lo restituì a Eddie. Poi, veloce come il lampo, tolse il budino dalla mano del bullo magro. «Secondo te questo è un budino? Ti piacerebbe. Probabilmente è purè di scarafaggi mischiato allo scolo della vasca da bagno. Guarda…» Strappò il coperchietto di alluminio e rovesciò la coppetta, versandone il contenuto sulle scarpe da ginnastica viola, rosse e bianche, con la linguetta dorata e le suole di plastica trasparente ammortizzata del bullo. «Ooops» fece Pepe. «Mi sa che era un budino.»

Lasciò cadere la coppetta vuota e, prima che atterrasse, era già lontano. E prima che i due teste-a-pois scattassero all’inseguimento, era già in cima alle scale.

Eddie fissò Salem. «Credo che mi abbia appena salvato la vita.»

Il preside Brimlow trasmise l’annuncio via interfono una volta giovedì e due volte venerdì: «È stato trovato un criceto. Chiunque lo abbia smarrito è pregato di venirlo a prendere in presidenza.»

Non si presentò nessuno.

Nemmeno la signorina Elizabeth Sunny Wyler, nonostante gli ordini ricevuti.

Gli insegnanti già parlavano di lei. Che problema aveva? Sembrava che fosse ansiosa di farsi espellere. In tal caso, perché non accontentarla? Che andasse pure alla Cedar Grove! Che se la vedessero loro, con lei.

Quando il signor Brimlow prese il contenitore del criceto dalla sommità dello schedario, la bestiola corse a rifugiarsi in un angolo. «Per il fine settimana vieni da me, piccolino.» Il criceto lo fissò: due occhietti neri in una palla di pelo color caramello.

Erano quasi le cinque. A scuola non c’era più nessuno. Due giorni. La Plumstead aveva compiuto due giorni. E un domani, con un pizzico di fortuna, avrebbe compiuto cinquant’anni. Un giorno, i ragazzi di ora vi sarebbero passati davanti con i loro ragazzi e avrebbero detto: “Vedi? Quella era la mia scuola”.

La Wyler sarebbe stata una di loro.

Il preside guardò il criceto. «Farò di tutto perché sia una di loro» gli promise.

E s’incamminò nel corridoio verso la biblioteca.