CAPITOLO DECIMO

Il signor Brimlow era ben lieto che due dei suoi ospiti si fossero presentati in anticipo. Specialmente Salem Brownmiller, che sembrava sapere meglio di lui come fosse necessario procedere. Così le affidò il comando e, in breve, sia lui sia Eddie Mott stavano eseguendo obbedienti i suoi ordini: trasportare un tavolo dall’ufficio dello psicologo della scuola, andare nella mensa per procurarsi tovaglioli e posate.

Fu proprio in mensa che Salem Brownmiller alzò lo sguardo su di lui e gli chiese: «Ha ordinato il catering, vero?»

Il preside la fissò a bocca aperta. «Catering?»

«Sicuro, da qui. Qualcuno porterà i nostri pasti in presidenza su un vassoio, o magari su un carrello con le ruote, con coprivassoi argentati sul cibo, per tenerlo caldo…» S’interruppe e scrutò inorridita l’espressione confusa del preside. «Signor Brimlow, non avrà mica pensato a un pranzo al sacco, vero?»

Il signor Brimlow deglutì a fatica. «Oh, no… certo che no.»

Fu così che il preside prese accordi con il direttore della mensa perché cinque pasti caldi fossero portati nel suo ufficio alle 11.50 in punto.

Il piatto del giorno era, scoprirono, fajitas e sloppy joe1. «Fantastico!» esclamò Salem mentre tornavano in presidenza. «Oggi cucina messicana. Per un’occasione del genere, è sempre meglio un pranzo a tema, non le pare?»

Il signor Brimlow si schiarì la voce e annuì. «Sicuro… assolutamente.»

Ebbero a stento il tempo di apparecchiare, e di sicuro non quello di decorare la tavola in stile messicano, che era già ora di pranzo.

Eddie Mott non riusciva a credere ai propri occhi. La ragazzina sulla soglia dell’ufficio era la Musona in carne e ossa. Si era chiesto chi fossero gli altri due invitati, ma non avrebbe mai creduto possibile che qualcuno potesse invitare a pranzo una come quella.

Sbalordito, vide il signor Brimlow andare tutto allegro verso di lei per stringerle la mano. «Bene arrivata, signorina Wyler. A quanto vedo, hai ricevuto il mio invito. Avanti, avanti.»

La Musona sembrò confusa. Fece un passo nella stanza e si bloccò. Il suo sguardo andò da Eddie alla tavola apparecchiata. E poi chiese: «Non è che sono nel posto sbagliato?»

«Non credo proprio» replicò il preside. «Dove pensi che dovresti essere?»

Lei lo guardò dritto negli occhi. «Alla Cedar Grove?»

Ora toccò al preside essere confuso. «La Cedar Grove? E perché mai?»

«Per tutto quello che ho combinato.»

Il signor Brimlow la fissò. Si raddrizzò la cravatta a farfalla e incrociò le braccia. «Capisco. E sarebbe?»

La Musona sollevò un dito dopo l’altro. «A lezione di matematica ho scritto le tabelline così piccole che probabilmente l’insegnante diventerà cieca tentando di leggerle. Nell’ora di lettere ho scritto un tema ridicolo a proposito della giornata più interessante delle mie vacanze estive. Erano tutte bugie. E…» puntò il dito verso Eddie «… ho tirato una caccola a quel citrullo.» Tutti si raggelarono e la guardarono inorriditi, quasi temessero di vederla sollevare una mano verso il naso. «E» concluse «sono stata detestabile dal momento in cui sono salita sullo scuolabus.»

Seguì un lungo silenzio, mentre il signor Brimlow annuiva lentamente. «Capisco» commentò infine. «Molto bene. Cosa pensi che dovremmo fare con te?»

«Espellermi» fu la pronta risposta. «Sono una mela marcia e, se resto qui, finirò per infettare l’intera scuola.»

Eddie lanciò un’occhiata a Salem: stava scrivendo a tutta velocità sul taccuino e la punta della lingua le spuntava all’angolo della bocca.

La Musona tornò a guardare la tavola apparecchiata e di nuovo sul suo viso comparve un’espressione confusa. «Sta per espellermi, vero? È per questo che sono qui?»

Il signor Brimlow scrollò le spalle con aria dispiaciuta. «Temo di no, Sunny. La triste verità è che sei invitata a pranzare insieme a noi.»

“Sunny” ripeté mentalmente Eddie. “Sunny?

Il signor Brimlow intanto stava facendo le presentazioni. «Sunny Wyler… il citrullo, qui, risponde al nome di Eddie Mott.» Eddie le strinse la mano, tentando di non incrociare il suo sguardo furente. «Sunny Wyler… Salem Brownmiller.» Gli occhi di Salem brillarono come se avesse appena aperto un fantastico regalo di compleanno. «Sono così contenta di conoscerti, Sunny» annunciò, stringendole vigorosamente la mano.

A quel punto il profumo dello sloppy joe li avvolse tutti. Una signora in grembiule bianco spinse nella stanza un carrello con due ripiani.

«Olé!» esultò Salem.

Il signor Brimlow batté le mani. «Benissimo! Si mangia. A tavola, gente.»

Salem, Sunny e Eddie presero posto. Il signor Brimlow fece per aiutare la signora in bianco, ma lei lo allontanò con un gesto deciso. «Oh, no, signor preside. Si metta seduto.» Era inamidata, efficiente e dignitosa, con i capelli raccolti in una crocchia chiusa da un fermacapelli a forma di farfalla, e ovviamente conosceva il suo mestiere. Forse un tempo aveva lavorato in un grande albergo o nella villa di un miliardario. Il signor Brimlow si sedette e la signora in bianco distribuì i piatti. «Aspettate ancora qualcuno?» chiese, accennando al posto vuoto.

«Mi auguro che arrivi» rispose il preside.

La donna sistemò un quinto piatto sul tavolo. Poi fu la volta del cibo. Prese tre recipienti coperti dal ripiano superiore del carrello e con un gesto teatrale non molto diverso da quello di un torero, sollevò i coperchi per esibire: un’insalata mista, una fumante teglia di sloppy joe e una pila di tortillas.

«Olé!» tornò a esclamare Salem.

«Olé!» le fece eco il signor Brimlow.

Sunny non aprì bocca ma la sua testa si voltò lentamente verso l’altra ragazzina.

Poi la signora della mensa mise davanti a ogni commensale un quarto di latte e due grossi biscotti con le gocce di cioccolato. Fece un passo indietro per controllare la sua opera e sollevò un dito. «Ah… le cannucce!» Infilò un braccio, fin quasi al gomito, nel tascone del grembiule e la mano riemerse così di scatto che finì a sbatterle contro il mento. L’inserviente aveva gli occhi sbarrati.

Davanti allo sguardo sbalordito del preside e dei tre allievi, il tascone cominciò a muoversi – a sinistra, a destra – poi l’impeccabile signora della mensa si strappò il grembiule di dosso e lo scaraventò per aria. Atterrò sulla pila di tortillas e scivolò sul tavolo, abbattendo forchette e piatti, per drappeggiarsi infine sulla ciotola dell’insalata. Soltanto allora si sentì un fruscio provenire da sotto il grembiule stregato, seguito da un altro suono, come di denti che masticano.

«Niente paura» intervenne Salem. «È solo un criceto.» Sollevò il grembiule…

«È davvero un criceto!» esclamò il preside mentre l’impeccabile signora se la dava a gambe.

Salem tese la mano per afferrarlo, il preside fece altrettanto, il criceto imboccò l’unica via di fuga possibile… dentro e fuori dalla teglia colma di sloppy joe. Atterrò sulla maglietta di Sunny e poi sul pavimento. Dopodiché, lasciandosi dietro una scia di sugo, sfrecciò in preda al panico qua e là nella stanza, inseguito da Brimlow, Brownmiller e Mott.

«La porta!» gridò il preside. Troppo tardi. Il roditore coperto di sugo aveva già il naso nell’anticamera quando – miracolosamente – si ritrovò per aria, stretto da una mano che sembrava comparsa dal nulla. L’istante successivo apparve anche il resto del corpo: un ragazzino con scarpe da ginnastica verdi.

«Benvenuto!» lo salutò il signor Brimlow, stringendogli con entusiasmo la mano libera. «Davvero una gran presa!» Si voltò verso gli altri studenti. «Amici miei, vi presento il mio ultimo ospite, il signor Dennis Johnson.»

1. Lo sloppy joe si mangia anche in Italia, nei ristoranti che servono cibo messicano o americano. È carne macinata speziata, con peperoni e cipolle. Le fajitas, invece, sono tortillas di farina di frumento o mais, che vengono farcite con la carne macinata e arrotolate. [NdR]