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Quella primavera le notizie in arrivo dall’Europa furono pessime su tutti i fronti. In marzo, la Germania invase la Cecoslovacchia, Franco ottenne la vittoria finale con la caduta di Madrid e gli inglesi iniziarono sul serio i preparativi per la guerra. Da quello che riuscimmo a ricavare da giornali e lettere di amici, erano preparativi caratterizzati da inefficienza, mancanza di entusiasmo e incertezza sull’identità del nemico.
«Il Governo nazionale, lungi dall’avere abbandonato la “moderazione”, sta lavorando per farla diventare una collaborazione aperta con la Germania nazista» scriveva un amico. «Hitler sarà veramente in grado di combattere contro l’Unione Sovietica se la Francia e l’Inghilterra lo appoggeranno apertamente; e io credo che siano pronti a farlo.»
Questa deprimente analisi della situazione era corroborata dagli articoli stampati sui giornali. L’Unione Sovietica rinnovò urgentemente le proprie richieste di riapertura delle discussioni con Inghilterra e Francia sulla sicurezza collettiva contro l’aggressione nazista. Il governo Chamberlain replicò spedendo a Mosca un inviato descritto sulla stampa come un «impiegato del Ministero degli esteri» senza alcun potere per negoziare alcunché.
In Inghilterra fu introdotta la leva obbligatoria. Stavano finendo nell’esercito le persone più improbabili. Ogni tanto ce ne arrivava notizia dalle lettere provenienti da casa.
Philip Toynbee ci scrisse di un comune amico, un ben noto omosessuale londinese. Come giovane ufficiale del «nuovo tipo» gli era stato richiesto di scrivere un rapporto sulla visita di un capitano al suo reggimento. «Il capitano... è un uomo straordinariamente affascinante» iniziava il rapporto.
Esmond era entusiasta all’idea di avere scampato la «cartolina». In tono sardonico scrisse a Philip:
Be’ signore, ho un messaggio per lei e i giovanotti inglesi come lei. Il messaggio è questo: Fate il vostro dovere. Non faccia l’imboscato. In questo momento critico ogni uomo abile può trovare il modo di servire il suo paese nell’Esercito territoriale, nella Riserva della marina o nella Guardia aerea. Meno chiacchiere su teorie e politica; rimboccatevi le maniche e niente domande...
Più o meno in quel periodo vendette un articolo al «Commentator», intitolato Fuga dall’Inghilterra in cui descriveva «l’atmosfera di cupa depressione e rassegnazione» del nostro paese nella primavera del 1939:
In Inghilterra la gente non è più entusiasta o isterica riguardo all’idea di una guerra imminente. Cerca di abituarsi a una specie di mezza vita – una vita in cui non è il caso di fare progetti, e neanche pensare al futuro... Non parla più nemmeno molto di politica. A che pro? Nessuno ha la sensazione di avere la minima capacità di controllo su ciò che sta accadendo. L’unico ruolo che le persone possono avere è fare ciò che gli viene chiesto...
Ricostruì le macchinazioni del Cliveden Set dal loro sostegno a Franco, «un gentiluomo che lotta per riconquistare parte della ricchezza e dei privilegi che la sua classe ha perduto» e dal loro incoraggiamento all’invasione dell’Abissinia ordinata da Mussolini fino al tradimento della Cecoslovacchia a Monaco. Citò le tipiche conversazioni che si sentivano alle cene dei conservatori ricchi: «Al nostro paese, Hitler potrebbe insegnare moltissimo... ce ne sarebbe bisogno, di uno come lui». Per contrasto, descrisse le riunioni di Rotherhithe Street per raccogliere denaro per Spagna e Cecoslovacchia e raccontò la lunga e perduta guerra combattuta da milioni di inglesi per una politica estera antifascista.
Alla fine scrisse: «Dopo essere fuggito dall’Inghilterra, cosa farò ora che è scoppiata la guerra? La risposta è: tornerò... a combattere per il grigio dell’imperialismo britannico alleato del fascismo polacco e romeno contro il nero del fascismo tedesco e italiano».
Prima che arrivasse il giorno inevitabile, però, eravamo determinati a fare indigestione di vita, nuove persone, nuovi luoghi.
I primi di aprile, un uomo che avevamo incrociato una o due volte alle feste chiamò Esmond per dirgli che aveva saputo di un possibile impiego in una nuova agenzia pubblicitaria, la Channing e Floyd.
«Mi ha chiesto quanto vorrei essere pagato e io ho risposto cinquanta dollari la settimana.»
«Oh, Esmond, come hai potuto. Adesso non ti assumeranno. Avresti dovuto chiederne venticinque.» Fino a quel momento era stata la cifra massima che aveva incassato quando si era offerto per qualche lavoro.
Ma la cosa incredibile fu che l’uomo gli aveva risposto che nessuno poteva vivere con cinquanta dollari al mese e che al colloquio Esmond avrebbe dovuto chiederne centoventicinque. Tuttavia, quando arrivò il momento, Esmond prese un respiro e disse che per cominciare andavano bene anche cento. Con nostro stupore e incredulità, il vicepresidente dell’agenzia accettò subito.
Molto dopo venimmo a sapere che l’attività era stata messa in piedi dai commercialisti di un giovane milionario playboy. Lo scopo dell’agenzia era perdere più soldi possibile per portare il reddito del milionario al di sotto di una certa soglia. Con un incredibile colpo di fortuna diventammo gli inconsapevoli beneficiari di questo nobile intento.
Esmond scrisse a Philip:
Dopo un gran selezionare, inciampare e grattare, alla fine mi sono imbattuto nel tesoro nascosto che siamo venuti a cercare fin qui. A dire la verità, si tratta di una storia così simile a quella del povero immigrante e del principe, uscita da un libro di favole, che potresti anche metterti a ridere. Ma la realtà è che ci erano rimasti solo ventisette dollari quando ho trovato un lavoro a cento la settimana. In altre parole, siamo ricchi. Non è incredibile? Sono sicuro che da qualche parte c’è una morale, anche se sembra tutto una vera e propria farsa.
Ah, Philip (tutto questo tra virgolette alla Toynbee, lo capisci), ah, Philip, ho conosciuto l’amarezza e il dolore e il fiele, ho conosciuto quei marciapiedi duri e crudeli, ho conosciuto quelle porte chiuse, quel «Oggi niente, oggi niente» ripetuto finché le parole sembravano entrate a far parte del sole rovente che mi fissava crudele, prendendosi gioco di me, urlandomi dal marciapiede, gridandomi quelle parole nelle orecchie finché avrei voluto fare altrettanto...
Insomma, ho cercato di farmi assumere qua e là e ho fallito. E adesso guadagno cento dollari la settimana, e la storia finisce qui.
Dal momento che l’agenzia aveva pochissimi clienti, Esmond trascorreva davvero poco tempo in ufficio. Il vice presidente aveva la piacevole abitudine di partire per il fine settimana il venerdì mattina o anche il giovedì pomeriggio, e di tornare il lunedì successivo dopo pranzo, ma con tutta calma. Esmond mi spiegò che sarebbe stato inappropriato da parte sua lavorare di più del vicepresidente, che aveva responsabilità ben più gravose.
La sera mi mostrava gli scarsi risultati delle poche ore trascorse al lavoro. «Guarda, che ne pensi di questo slogan: “È bello far cin-cin con Gilbey’s Gin”. Accattivante, non trovi? Altro che “buono come il brodo vero”!»
Ogni settimana mettevamo coscienziosamente in banca il salario di Esmond e continuavamo a vivere con i miei venti dollari. Ora il nostro scopo era accumulare una bella riserva in modo che di lì a pochi mesi avremmo potuto iniziare il nostro Grand Tour degli Stati Uniti.
A New York c’è un palazzo che dà sul fiume e si chiama «1 Beekman Place». Svetta su una periferia alquanto squallida e si dice che abbia ispirato il film Strada sbarrata. Pareva proprio che gli abitanti di Beekman Place numero 1 godessero davvero nel farsi largo tra la spazzatura che ricopriva i marciapiedi e le bande rumorose di ragazzini di strada per approdare nel raffinato silenzio dell’atrio arredato in maniera discreta della loro abitazione. Portieri rispettosi e ragazzi dell’ascensore in uniforme si inchinavano lungo il percorso che portava a quegli appartamenti arredati con lusso estremo.
Poco dopo che Esmond ebbe ottenuto il suo lavoro da cento dollari, io fui convocata in uno di quegli appartamenti. L’inquilina, una bionda autoritaria sui quarant’anni, la signorina Warren, si definiva una «celibe», il prototipo della donna americana in carriera e arrivista.
La signorina Warren coordinava una delle concessioni per la Fiera mondiale di New York del 1939 e mi propose un lavoro come commessa. Non perse tempo e, a mio beneficio, sostenne di appartenere a una famiglia di pura discendenza aristocratica inglese e fece del suo meglio per incoraggiarmi a parlarle delle mie conoscenze.
«È mai stata a Glamis Castle?» mi domandò con sguardo indagatore, nei primi cinque minuti di conversazione.
«Sì, ci siamo stati una volta d’inverno, quando i proprietari non c’erano e si poteva visitarlo tutto per uno scellino» risposi innocente.
«Oh, io intendevo dire quando c’era ancora la cara Lady Strathmore...»
Dopo avermi avvertito di fare attenzione a «far conoscenza con le persone giuste, a New York», e spiegato che una volta abituata agli accenti americani sarei stata rapidamente in grado di distinguere le Persone Giuste dal loro modo di parlare («proprio come in Inghilterra»), mi propose il lavoro. Io accettai subito.
La concessione della signorina Warren alla fiera era una bottega di tweed scozzese all’interno dell’Allegro Villaggio Inglese. L’Allegro Villaggio Inglese era situato in un angolo sporco di quello scenario sgargiante e polveroso di edifici da set cinematografico che costituiva la Fiera mondiale. I chioschi in stile Tudor, le casette e le bancarelle di hot dog sembravano autentici come la strada principale di Stratford-on-Avon, né più né meno. Un imbonitore vestito da guardiano della Torre di Londra ripeteva all’infinito in un megafono: «Autentico, gente! Autentico! Meglio dell’Aquacade di Billy Rose! Un angolo autentico di vecchia Inghilterra!». Due volte al giorno una banda di cornamuse arrivava strombettando fino in fondo al nostro corridoio emettendo spaventosi (ma «autentici») suoni disarmonici.
Il nostro personale era formato dalla signorina Warren, un paio di finte fanciulle scozzesi con accenti piuttosto incongrui, e me. Su richiesta della signorina indossavamo abiti di cotone scozzese comprati nel seminterrato dei grandi magazzini Ohrbach. La signorina Warren ci faceva ogni giorno dei discorsetti d’incoraggiamento, quasi tutti incentrati sul problema, da non sottovalutare, di selezionare tra la folla in aumento le Persone Migliori («gente che apprezza le Cose Belle»).
«Un buon modo di riconoscerli è dalle scarpe» ci spiegava paziente. «Non fatevi ingannare dalle pettinature. Scarpe e borse sono i segnali più eloquenti.» Ci disse anche che le donne che portavano scarpe e guanti bianchi erano in genere più ricche delle altre perché tenere puliti gli accessori bianchi costa molto.
Esmond faceva delle puntate sporadiche all’Allegro Villaggio Inglese. In queste occasioni, con grande irritazione della signorina Warren, si metteva a quattro zampe e faceva finta di aiutarmi a individuare le scarpe delle «Persone Migliori».
Mentre quell’estate calda e soffocante volgeva al termine, all’Allegro Villaggio Inglese la situazione cominciò a deteriorarsi parecchio. Le persone si accusavano l’un l’altra di «comportarsi in maniera non inglese» e quindi di rovinare quell’atmosfera autentica. Si diceva che l’Antica Bottega delle Conchiglie, in fondo al corridoio, fosse sull’orlo del fallimento. La voce dell’imbonitore prese uno stridulo accento di disperazione mentre il pubblico che andava scemando si accalcava risoluto nella direzione opposta, verso l’Aquacade di Billy Rose.
La signorina Warren si fidanzò con uno Scapolo di età incerta, soprannominato Dolce Coniglietto. Dolce Coniglietto veniva spesso al Villaggio e lui e la signorina Warren parlavano in maniera infantile e si leggevano a vicenda dei brani di Winnie the Pooh.
L’odore dello zucchero filato e degli hot dog e la voce e lo spettacolo offerto dalla signorina Warren e da Dolce Coniglietto mi stavano diventando insopportabili. Quando Esmond annunciò che era stato licenziato, ne fui sollevata. Pareva che il finanziatore milionario dell’agenzia fosse riuscito, con l’aiuto di Esmond, a perdere la sua quota di reddito, per quell’anno, e l’ufficio fu smantellato.
Ora che Esmond aveva perso il lavoro, non c’era nulla che ci trattenesse a New York. Avevamo risparmiato parecchie centinaia di dollari, io dissi addio alla signorina Warren e alle fanciulle scozzesi e iniziammo a pianificare seriamente il nostro Grand Tour degli Stati Uniti.