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Dopo la crociera ci fermammo parecchi mesi a Londra perché Swinbrook era stata affittata per buona parte dell’anno.
Dopo cena, intorno al piano, dove spesso ci riunivamo a cantare accompagnate da mia madre, non si sentivano più i vecchi successi come Grace Darling, The Last Rose of Summer, I’ll Sing Thee Songs of Araby e I Dreamt I Dwelt in Marble Halls. Ora in soggiorno echeggiavano i ritornelli di Horst Wessel Lied, Deutschland über Alles e Die Wacht am Rhein. Io e Boud avevamo imparato i testi opposti a molte delle stesse melodie e mentre la sua voce stentorea proclamava l’ultimo inno in lode del Führer – «Und jeder S.A. Mann ruft mutig: Heil Hitler! Wir stürzen den jüdischen Thron!» io rispondevo cercando inutilmente di sovrastarla: «And every propeller is roaring Red Front! Defending the U.S.S.R.»1
La politica ci preoccupava. Le battaglie quotidiane per il possesso delle ultime edizioni dei giornali erano frequenti. Il rituale ascolto del notiziario della BBC, alle sei del pomeriggio, spesso segnava il rinnovarsi delle ostilità con Boud, se era a casa, oppure con i miei genitori.
Era sicuramente l’anno giusto per le notizie. Un anno infausto come i primi minacciosi tremiti che annunciano uno spaventoso terremoto, come le prime gocce innaturalmente pesanti che anticipano un violento temporale, gli eventi del 1936 presagivano ciò che sarebbe accaduto il decennio successivo. Il fascismo era sul piede di guerra ovunque. In primavera l’Etiopia era caduta in mano italiana e Hitler aveva marciato sulla Renania. I tory inglesi erano stati a guardare, nervosi, chi era al potere si pronunciava il meno possibile. Stanley Baldwin, il primo ministro, il più silenzioso di tutti, si guadagnò il soprannome di «Labbra Sigillate». Altri che occupavano posizioni meno importanti esprimevano ad alta voce la speranza di mettere Hitler alle calcagna della Russia prima che scatenasse altre imbarazzanti aggressioni a danno dell’Europa occidentale. Lloyd George ammoniva che il rovesciamento del regime nazista avrebbe potuto dare origine a una minaccia ancora più grave, quella di una Germania comunista. Il «Daily Mail», fino ad allora disprezzato dai miei genitori come uno dei più orridi esempi di stampa scandalistica, a un tratto iniziò a rispecchiare le loro opinioni:
I giovani e forti nazisti di Germania sono i guardiani d’Europa contro il pericolo comunista. Una volta che la Germania avrà conquistato i territori supplementari di cui ha bisogno in Russia occidentale, il problema del corridoio di Danzica potrà essere risolto senza difficoltà.
Winston Churchill, che era da anni fuori dal governo e una spina nel fianco del suo stesso partito, tuonò: «Siamo forse una plebaglia che fugge di fronte a un nemico a cui non sa opporsi?».
Mia madre disse che Winston era un uomo pericoloso e per fortuna aveva così poco seguito tra i conservatori. I comunisti, spesso affiancati da portavoce dei laburisti e dai liberali di tutti i partiti, fecero una propaganda smaccata per la sicurezza collettiva per sostenere l’Unione sovietica contro la minaccia hitleriana.
In luglio Franco lanciò il suo attacco contro il governo del Fronte popolare spagnolo. Ora i notiziari erano pieni dei nomi melodiosi e poco familiari di città spagnole (pronunciati, tuttavia, nella miglior tradizione della BBC, come se fossero nomi inglesi): Malaga, Cueva, Badajoz, Casablanca; e con ogni nome si registrava una nuova offensiva fascista. La guerra civile, all’inizio ritenuta un’insignificante ribellione scatenata da pochi generali dell’esercito insoddisfatti, assunse proporzioni sinistre. «Il terreno di prova per la Seconda guerra mondiale» scrissero alcuni dei commentatori politici più lungimiranti. Girava la voce, poi confermata, che in Spagna si stavano riversando truppe e aerei italiani e tedeschi.
In famiglia ognuno si schierò. Nancy e Peter Rodd erano fortemente a favore dei lealisti; Peter addirittura propose in modo sconclusionato di entrare a far parte della Brigata internazionale, appena formatasi. Gli piaceva pensarsi nel ruolo del soldato di fortuna e sosteneva di avere trascorso gran parte della giovinezza a organizzare rivoluzioni in diversi paesi del Sudamerica. Zie e zii erano tiepidamente franchisti, i Riveriti decisamente e Diana e Boud violentemente. Annunciarono che il Führer aveva proclamato Franco «ariano onorario», titolo già conferito a Mussolini e all’imperatore del Giappone. «Allora immagino che i mercenari moreschi siano ariani onorari onorari onorari?»
La guerra di Spagna diventò la mia principale preoccupazione. I miei pensieri giravano ossessivamente intorno al modo di arrivarci; continuavo a rimuginarci su e scartai innumerevoli piani. Però doveva essere possibile. L’idea del mostro di Loch Ness ora mi sembrava incredibilmente infantile e inutile. Capivo bene che era destinata al fallimento. Ma adesso ero più grande e il mio conto Fuga da Casa era diventato consistente – avevo quasi cinquanta sterline. Ritagliavo dai giornali foto di partigiane, donne determinate e dall’aria sicura, magre, occhi brillanti, visi emaciati, alcune di mezza età, altre quasi adolescenti. Come potevo trovare posto al loro fianco? Fui sul punto di chiedere consiglio a Peter Rodd. Ma no, probabilmente ci avrebbe riso su e i Riveriti l’avrebbero scoperto presto. Provai una fitta d’invidia, ormai consueta, quando una cugina disse a mia madre:
«Povera Nelly, quei ragazzi le danno davvero mille pensieri. Naturalmente Esmond è sempre stato il più difficile. L’altro giorno mi diceva che a volte teme per la sua salute mentale. Adesso è partito per andare a combattere in Spagna; si è unito ai rossi...».
Rispetto a quei disordini all’estero, qualcosa di più vicino e apparentemente foriero di minacce all’ordine costituito dominava i pensieri e le conversazioni della società londinese. La stessa monarchia britannica era in pericolo – e proprio a causa di un’americana dal nome improbabile e straordinariamente poco accattivante: Wallis Simpson.
«Non può chiamarsi davvero Wallis. I giornali si devono essere sbagliati. Si sa che sono imprecisi su tutto.»
«Bambine! Vi proibisco di nominare quella donna orribile di fronte alla servitù. E non voglio veder girare per casa quelle riviste americane.»
In effetti, le copie non censurate della rivista «Time», la prima a dare notizia dello scandalo, erano difficili da reperire. Solo chi possedeva un abbonamento che arrivava direttamente dall’America, o i relativi amici, aveva la fortuna di poter seguire, una settimana dopo l’altra, i progressi di quella storia sconvolgente. Ogni riferimento era stato accuratamente ritagliato da tutte le copie presenti nelle edicole.
Peter Nevile, una mia recente conoscenza, mi riforniva delle ultime copie non censurate. Peter era un giovanotto alto e allampanato con un accento americano attentamente coltivato; una volta era stato in America per qualche settimana e ora si appassionava a tutto ciò che veniva da oltre oceano. Per me il suo grande fascino non stava tanto nel suo aspetto alquanto sconveniente e nel suo strano modo di parlare, quanto nel fatto che era amico dei fratelli Romilly, fervente lealista e grande ammiratore di Esmond. Ora che il suo mentore politico non era disponibile per dare consigli, Peter cercava di congetturare come avrebbe agito nella crisi riguardante il re e la signora Simpson in cui era piombata l’Inghilterra. Si stava avvicinando il momento della resa dei conti; la signora Simpson ottenne il divorzio e al tempo stesso si diceva che Baldwin e l’arcivescovo di Canterbury stessero facendo enormi pressioni sul re perché scegliesse tra Wallis e il trono. Non me ne importava molto di come sarebbe andata a finire. Gli aspetti romantici mi sembravano alquanto noiosi; due persone di mezza età prive di fascino, molto meno interessanti di un qualsiasi divo del cinema – e poi di recente Edoardo aveva dimostrato un certo interesse per il regime hitleriano.
Ma Peter insisteva: «Adesso è il momento di agire! Una dimostrazione davanti a Buckingham Palace. Sarebbe perfetta».
«E come facciamo a organizzarla?»
«Si parte da Hyde Park, domenica pomeriggio. Non avremo bisogno di moltissima gente, perché quando inizieremo a marciare si uniranno a migliaia. Non riesci a immaginare la scena? Il nostro slogan sarà “Abbasso Baldwin!”. Domani i giornali saranno pieni di fotografie e articoli su questa grande folla. Come un incendio, la notizia della manifestazione si propagherà anche nelle province. Il giorno dopo cadrà il governo tory...»
L’entusiasmo di Peter era contagioso. Era davvero possibile che io e lui saremmo riusciti a causare così, semplicemente, la caduta dei conservatori? E perché no? Mi piaceva soprattutto l’idea della notizia «che come un incendio si propagava nelle province», un modo di riferirsi alla campagna inglese che non mi sarebbe mai venuto in mente, ma che suonava ideale in quel contesto – come se fosse tratta da un libro di storia.
La domenica seguente andai all’appuntamento con Peter in un certo punto di Hyde Park. Aveva convinto alcune persone a partecipare alla manifestazione e reggevamo degli striscioni fatti a mano che riportavano slogan come «Edoardo ha ragione, Baldwin ha torto», «Baldwin dimettiti!» e «Lunga vita a Edoardo!». Avevo la sgradevole sensazione che in qualche modo fosse una dimostrazione di sentimenti monarchici e quella ancora più sgradevole che i miei genitori potessero scoprirmi.
Eravamo un gruppetto davvero male assortito. Peter aveva messo insieme alcuni giovanotti in maglione con il colletto a polo, qualche ragazza dell’alta società e un paio di poeti mai pubblicati. Dopo avere aspettato circa un’ora che venisse qualcun altro, pestando i piedi per tenerci al caldo nella gelida aria invernale, marciammo verso Buckingham Palace. Con mia grande sorpresa attirammo non le migliaia di persone che Peter si era aspettato, ma una cinquantina di curiosi, che si misero a seguirci. Ci fermammo fuori dal palazzo a urlare «Vogliamo Edoardo!». Alcuni passanti si unirono a noi e ci guardavano a bocca aperta.
«Vedi, sta prendendo piede» sussurrò Peter tutto eccitato. Ma dopo una mezz’ora, quando fu chiaro che Edoardo non sarebbe mai apparso e alcuni di noi cominciarono a sentire freddo, suggerii di spostare la manifestazione al numero 10 di Downing Street.
«Così sembrerà politicamente solida; e poi la camminata ci riscalderà» insistei.
Peter trovò il mio suggerimento eccellente e si girò verso i suoi seguaci. «A Downing Street!» gridò, con un gesto autoritario, e fece per tornare indietro verso Constitution Hill. Tra i dimostranti iniziarono a serpeggiare mormorii dubbiosi: «Non credo che sia questa la strada per Downing Street, no?».
Alla fine ci toccò fermare un poliziotto a cavallo.
«Per favore, signore, può indicarci la strada per Downing Street?» domandò Peter, nella maniera più informale che riuscì a trovare. Il poliziotto frenò il cavallo e salutò rispettosamente.
«Certo. Sì, temo che abbiate preso la via sbagliata.» Con la mano guantata ci indicò la strada corretta. Senza lasciarsi scoraggiare, Peter si girò nella direzione opposta e rifece quel gesto. «A Downing Street!» gridò ancora, e noi lo seguimmo nuovamente, obbedienti. Ma quando arrivammo, Downing Street era bloccata. «Trucco tipico della classe dirigente!» esclamò Peter, anche se a dire la verità secondo me c’erano dei lavori in corso. I manifestanti, borbottando che era l’ora del tè, si dispersero gradualmente.
Quell’esperienza mi fece perdere fiducia in Peter come leader politico; avrebbe almeno potuto prendersi la briga di individuare la strada per Downing Street prima, in modo che poi non ci toccasse interpellare un poliziotto, tradizionale Nemico della Classe Lavoratrice. E poi le nostre fatiche avevano lasciato le province stranamente indifferenti e imperturbate, e il governo tory non solo non era caduto, ma poco dopo la ebbe vinta quando Edoardo abdicò per rispettare la sua volontà.
Tuttavia Peter restò il mio unico contatto con i lealisti e feci di tutto per tenermelo stretto. Lo consultavo sui metodi e le strade per arrivare in Spagna e lui subito mi fece conoscere Giles Romilly.
Ci incontrammo alla Lyons Corner House vicino a Marble Arch, una sala da tè gigantesca e anonima dove è molto improbabile incontrare qualche faccia familiare. Avrei potuto riconoscerlo ovunque. Sedeva lievemente ingobbito sul suo tè e si guardava intorno con quell’espressione interrogativa e criticamente divertita del mondo che avevo riguardato così spesso sulla copertina di Out of Bounds. Mi disse che stava pensando di recarsi presto in Spagna per entrare nella Brigata internazionale.
«Vorrei venire anch’io, non potresti aiutarmi?» dissi, un po’ imbarazzata per paura che dentro di sé stesse ridendo di me. (Non gli dissi che solo qualche giorno prima avevo telefonato al quartier generale del partito comunista per propormi come volontaria partigiana. «Qui non ne sappiamo niente!» mi aveva risposto seccamente una voce dall’accento cockney).
Giles mi disse che avrebbe cercato di aiutarmi. Mi disse anche che aveva un amico, un traduttore di poesia francese, che aveva dei contatti con dei lealisti a Parigi. Lo implorai di scrivere all’amico, per chiedergli una lettera di presentazione.
«Cosa devo dire che vuoi fare, in Spagna?» mi domandò.
«Potrei fare l’infermiera» dissi poco convinta, pensando che una volta là non mi sarebbe stato difficile unirmi ai partigiani. Giles acconsentì e qualche giorno dopo ci incontrammo di nuovo e mi diede la lettera. Ebbi un tuffo al cuore quando lessi «M.lle Mitford est une nourrice expériencée».
«Il tuo amico non può essere un buon traduttore» dissi, irritata. «Nourrice vuol dire balia. Avrebbe dovuto scrivere infirmière. Come faccio ad arrivare in Spagna e a spacciarmi per una balia dotata di esperienza?» Tuttavia tenni la lettera, nel caso che fosse servita. Giles mi disse che probabilmente avrei dovuto trascorrere almeno due settimane a Parigi e che anche così non avrei avuto alcuna garanzia di arrivare in Spagna.
Intanto il nostro soggiorno a Londra stava giungendo alla fine e presto saremmo partiti per la Scozia. Ero preda di un’indecisione atroce, e non sapevo se usare o meno la lettera della nourrice. La principale difficoltà erano le due settimane a Parigi. C’era perfino la possibilità che, una volta partita e scoppiato lo scandalo, sarei stata trascinata di nuovo a casa, pensiero insopportabile.
Alla fine accompagnai i miei in Scozia.
Una volta arrivata là, i miei problemi crebbero. Era un posto perfino più noioso di Swinbrook, perché non c’era nulla da leggere. Le cugine scozzesi mi sembravano campagnole in modo insopportabile e non apprezzavano nemmeno il nostro passatempo preferito, «scioccare gli Adulti»; anzi, erano ragazze molto carine e bene educate. I cugini Joe e Bridget Airlie, i genitori di queste deliziose ragazze, venivano spesso a trovarci. In generale, politicamente gli Airlie condividevano le posizioni dei miei genitori, o forse erano lievemente più a sinistra, perché non avevano una grande opinione di «quell’Hitler». Disapprovavano Boud e la notorietà che aveva inflitto alla famiglia con le sue numerose iniziative fasciste.
La cugina Bridget e mia madre trascorrevano lunghe ore a parlare di me e del fatto che stavo diventando un problema, ne ero certa. Forse proprio in seguito a quelle discussioni, mia madre decise di portare me e Debo a fare una crociera intorno al mondo, con una ragazza della mia età di nome Dora Stanley. Perfino l’entusiasmo per la preparazione al viaggio fu guastato dal mio cattivo umore. Ricordo che trascorremmo una serata a litigare sull’eventualità di sbarcare o meno a Porto Said. Mia madre sosteneva che sarebbe stato «inappropriato» per noi, ma io insistei per vedere i mercanti di schiavi nel loro ambiente naturale (eravamo sicuri che costituissero la maggioranza degli abitanti della città) e borbottai che essere una schiava sarebbe stato molto più divertente che restare in Scozia – il che in effetti rovinò la serata.
«Sei proprio una sciocchina, piccola D.» esclamò mia madre e salì con passo pesante in camera sua.
Dopo quelle liti mi arrabbiavo con me stessa perché mi rendevo vagamente conto che mia madre stava facendo del suo meglio per «tirarmi fuori» dall’umore nero in cui ero precipitata. In realtà quella crociera era stata organizzata più o meno per me, perché sarebbero passati almeno altri due anni prima che qualcuno iniziasse a preoccuparsi per Debo, che ne aveva solo sedici. Aveva rinunciato alle lezioni molto tempo prima perché diceva che le facevano venire mal di testa, ma in campagna era sempre splendidamente felice e fino a quel momento non aveva dato alcun segnale di diventare «preoccupante».
Leggere e ascoltare le spaventose notizie provenienti dal fronte di Madrid, quella farsa della politica di «non intervento» dell’Inghilterra e la barbara crudeltà degli eserciti nazista e fascista in Spagna mi facevano sentire una traditrice verso tutto ciò che di buono c’era al mondo. Mi disprezzavo perché vivevo in mezzo al lusso, mantenuta e coccolata proprio da coloro che sostenevano quella politica di «non intervento».
Poco prima di Natale i giornali pubblicarono un altro lungo articolo su Esmond, stavolta sotto forma di dispaccio nella pagina della cronaca:
12 GIORNI FA ERAVAMO 120 – ORA 37 [diceva il titolo]. IL NIPOTE DI WINSTON CHURCHILL INVIA UN MESSAGGIO TERRIBILE.
L’intestazione dell’articolo riportava il nome della città di Albacete.
Esmond Romilly, nipote diciottenne di Winston Churchill, ed esponente di una delle più antiche famiglie inglesi, sta riscuotendo allori per il suo coraggio sotto il fuoco nemico al servizio della Brigata internazionale, che combatte a sostegno del governo spagnolo in difesa di Madrid.
La storia continuava con le parole dello stesso Esmond:
Siamo appena tornati dopo dodici giorni sul fronte madrileno. Esperienze vissute finora:
Bombardamenti aerei delle nostre posizioni.
Attraversamento di campi arati sotto il fuoco delle mitragliatrici e dei fucili.
Lancio di granate dai nostri stessi carri armati.
Troppa morte ovunque...
La nostra compagnia è stata messa insieme 12 giorni fa ed era composta da 120 uomini. Numero attuale 37.
Questa conversazione riassume il modo in cui la guerra viene combattuta:
«Mi fai accendere la granata?»
«Mi dispiace, vecchio mio, niente fiammiferi...»
Questo è il paese del mañana. A volte arrivi al fronte sbagliato e poi torni indietro. Madrid, naturalmente, non ha un aspetto troppo invitante – con le continue incursioni aeree e i pesanti bombardamenti. Tre dei nostri sono stati uccisi da proiettili dum-dum.
Ieri a Madrid abbiamo visto la delegazione di un parlamentare inglese. Sembravano tutti incredibilmente fuori posto – tory e liberali che si informavano sulla possibilità di procurarsi un caffè caldo.
Noi ci troviamo nel settore tedesco. Alcuni di loro sono disperatamente coraggiosi. La loro idea è affrontare i carri armati a piedi come gli uomini armati di bandiere rosse davanti ai treni nel 1840.
La peggiore esperienza finora: scavare dietro alcuni alberi in un campo coltivato sotto il fuoco delle mitragliatrici.
Poi abbiamo ricevuto l’ordine di arretrare e metterci al riparo. Sono scivolato nel cratere di una granata e sono caduto – un boato spaventoso mi ha quasi mandato in pezzi i timpani. Era uno dei nostri carri armati che sparava a meno di cinque metri da me.
Quasi tutti qui hanno ormai rinunciato all’idea di tornare in Gran Bretagna. Le cifre della nostra compagnia sono una spiegazione sufficiente.
Naturalmente prendiamo prigionieri, ma chiunque stia dalla nostra parte preferirebbe spararsi piuttosto che fare quella fine.
Quando siamo arrivati qui credevo che saremmo finiti nelle trincee, ma nel nostro settore non ce ne sono affatto...
La milizia non esiste più, ufficialmente, e quindi ora sono diventato un membro dell’esercito repubblicano spagnolo.
Sono sicuro che vinceremo, comunque... Ma che vittoria sarà?
Ritagliai l’articolo e lo chiusi nella mia copia di Out of Bounds. Qualche sera dopo, per Natale, gli Airlie organizzarono un «ballo della servitù» a Cortachy. Parecchi guardacaccia, stallieri, valletti, cuochi, cameriere e i loro familiari si riunirono al castello per l’evento. Gli uomini indossavano il kilt e le donne i loro vestiti migliori. Al momento prefissato, noi e la famiglia Ogilvy entrammo in sala. Ricacciai indietro le lacrime mentre guardavo mio cugino Joe Airlie, in qualità di «capofamiglia», aprire le danze con la governante e la cugina Bridget con il maggiordomo. Sembrava tutto così disgustosamente allegro e fuori posto, così compiaciuto del contrasto con le notizie quotidiane. Mentre le cornamuse stridevano rumorose, io restai seduta impietrita, annoiata e muta.
Quella sera si discusse dell’articolo comparso sul «News Chronicle»: «Povera Nelly, dev’essere preoccupata; quei due sono davvero terribili, due mele marce, ecco cosa sono. Peccato che il padre non li abbia raddrizzati quand’erano piccoli». Come al solito, la discussione si concludeva con la proposta di una bella serie di frustate.
Poco dopo, i giornali riferirono che Esmond Romilly era stato «congedato per infermità» dalla guerra di Spagna e sarebbe tornato in Inghilterra per farsi ricoverare in ospedale.
Il nostro soggiorno in Scozia era quasi alla fine e i due mesi successivi avrebbero dovuto essere dedicati agli intensi preparativi per la crociera intorno al mondo. Avevamo bisogno di abiti nuovi, per tutti i tipi di clima, da quello tropicale al più rigido e freddo. Mia madre, io e Debo saremmo tornate alla casa di Rutland Gate per organizzare la nostra partenza, a marzo.
Poco prima che ce ne andassimo, mi arrivò un invito a trascorrere un fine settimana a Havering House, vicino a Marlborough, dalla cugina Dorothy Allhusen. Quando mia madre mi disse dell’invito, ebbi un’idea entusiasmante. Forse ci sarebbe stato anche Esmond. La cugina Dorothy si era offerta di diventare sua tutrice quand’era stato rilasciato dal riformatorio. Sapevo che aveva vissuto a casa sua per lunghi periodi e in effetti aveva scritto Out of Bounds proprio mentre stava da lei. Quindi, ragionai, doveva essere uno dei pochi Adulti con cui era ancora in buoni rapporti. L’avrei finalmente incontrato? Per scaramanzia, cercai di eliminare quel pensiero dalla mente: temevo che se mi ci fossi soffermata avrei patito una delusione amara.
1. «E ogni singolo milite delle S.A. esclama coraggioso: Heil Hitler! Rovesciamo il trono giudeo!», «E ogni elica ruggisce Fronte Rosso! Per difendere l’U.R.S.S».