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Dopo il matrimonio ci ritrovammo ancora una volta, secondo i canoni di Esmond, ricchi. I regali di nozze e un anticipo dall’editore di Boadilla avevano riportato i nostri fondi a quote impensabili – più di cinquanta sterline.
Io volevo comprare vestiti nuovi e abbuffarci nei migliori ristoranti, ma Esmond aveva altre idee.
«Ultimamente ho pensato molto alla boule» annunciò. La boule era una specie di gioco d’azzardo tipico dei casinò francesi, praticato soprattutto da chi, come noi, aveva meno di ventun anni e quindi non poteva accedere alle sale della roulette.
Quando parlavamo della boule, la faccia di Esmond assumeva l’espressione assente di chi ha davanti una visione di felicità; quella di un bambino diretto per la prima volta al circo, o di una madre a cui mostrano il suo primogenito. Era un’espressione morbida e radiosa, piena di eccitazione e aspettativa per il futuro, e negli anni successivi avrei imparato a conoscerla molto bene.
In quell’occasione, Esmond aveva ideato un sistema per vincere assolutamente infallibile. Mentre me lo spiegava, e mi ripeteva come offrisse possibilità illimitate, me ne convinsi anch’io. Era così straordinariamente semplice, eppure così assolutamente sicuro! A boule si può scegliere tra sette numeri. Noi ne avremmo scelto uno, per esempio il 4, e ci avremmo puntato una piccola cifra – un franco, per iniziare. Ogni volta che il 4 non usciva, avremmo moltiplicato l’investimento per 7 – 49, 343, 2401 e così via. Il nostro potenziale patrimonio sarebbe aumentato proporzionalmente al ritardo del 4; perché alla fine, prima o poi, sarebbe uscito, e a quel punto la nostra puntata sarebbe stata di migliaia e migliaia di franchi. Sembrava incredibile che nessuno ci avesse pensato prima.
Scegliemmo Dieppe come posto ideale in cui vincere una fortuna al tavolo della boule. Era a parecchie centinaia di chilometri a nord di Bayonne ed era il perfetto punto di partenza da cui tornare in Inghilterra in grande stile. Decidemmo che dopo la prima grossa vincita avremmo ricominciato con un investimento di 2 franchi, da aumentare poi a 14 e a 98, e così via dopo ogni puntata sbagliata.
Il nostro amico giornalista era partito per Bilbao e ci aveva chiesto di tenere d’occhio la sua vecchia auto, che aveva lasciato in un garage di Bayonne.
«Non so se ci sia da fidarsi di questi garagisti francesi» aveva detto. «Quindi ogni tanto andate a darci un’occhiata, va bene?»
Esmond mi fece notare che se fossimo partiti senza l’auto non avremmo potuto mantenere la promessa, e che era meglio portarcela dietro a Dieppe.
Per il viaggio comprammo parecchia attrezzatura: una piccola tenda, due grossi sacchi di cotone da riempire di paglia e usare come materassi lungo la via, due padelle, due forchette e un fornello a petrolio portatile.
«A proposito, sai cucinare?» mi domandò.
«Be’, una volta sono stata a lezione al Cordon Bleu di Parigi, ma ci hanno insegnato solo a rompere le uova e a separare l’albume dal tuorlo. Non credo che serva, per un campeggio. E poi ho dimenticato che cosa farci, dopo averli separati. Chiederò alla signora Erramuzpe di insegnarmi.»
Dovevamo partire il giorno seguente e la signora disse che avrebbe avuto il tempo solo di insegnarmi a friggere una bistecca con l’uovo. Così per le due settimane di viaggio lungo la costa, fino a Dieppe, mangiammo solo uova e bistecca.
Il viaggio fu meraviglioso. Ogni sera montavamo la tenda vicino a un fiume, per poter sciacquare le nostre cose. Compravamo latte e uova dalle fattorie lungo la strada e carne e pane quando attraversavamo una città. Usavamo una padella per la carne e una per le uova. («Così» osservò Esmond, «non dovremo nemmeno preoccuparci di lavarle»).
Stavamo facendo grossi risparmi per il gran giorno a Dieppe. Esmond notò una fattoria con il cartello «olio di produzione propria». Chiese al contadino se l’olio era adatto per il motore dell’auto, che doveva essere lubrificata a ogni sosta. Il contadino rispose che era eccellente e visto che era straordinariamente economico ne facemmo una bella scorta. Dopo, l’auto diventò sempre più lenta. Prima ci superarono tutti gli altri mezzi motorizzati; poi i ciclisti; infine, nelle vicinanze di Dieppe, ci sfrecciarono accanto perfino le bambine facendo rotolare i loro cerchi.
Fuori Dieppe, parcheggiammo come al solito lungo un fiume, scaricammo le valigie e montammo la tenda. Poi, scoppiettando, entrammo in città. Ci sedemmo in un caffè per un brandy e aspettammo il tramonto, orario di apertura del casinò. Avevamo già scelto il costoso ristorante in cui avremmo festeggiato le nostre vincite con una cena.
Finalmente il casinò aprì e ci dirigemmo verso il tavolo della boule. Continuava a uscire il 4. La cosa irritò Esmond, perché secondo il suo sistema non poteva raddoppiare la puntata finché non avesse perso. Vinse sei franchi, uno dietro l’altro.
«Così non funziona. Credo che passerò al 3; non è ancora uscito. Di questo passo ci metteremo tutta la notte a incassare qualcosa.»
Sul 3 aveva ragione. Non era ancora uscito e non uscì più – non quella sera. Qualcosa era andato spaventosamente storto. In seguito ci rendemmo conto che aveva qualcosa a che fare con la moltiplicazione per 7. Se continui a farlo, arrivi presto a un numero astronomico – una quantità di franchi superiore a quelli che avevamo ricevuto in cambio delle nostre cinquanta sterline.
Non ci volle molto a ripulirci. Due ore di agonia e fu tutto finito. Incupiti, sotto la pioggia battente, salimmo in auto. Ci mettemmo più di un’ora a coprire i quindici chilometri per tornare alla tenda. Quando arrivammo scoprimmo che il fiume era salito a causa della marea serale e la tenda, i materassi e le valigie stavano galleggiando in trenta centimetri d’acqua. Recuperammo il possibile e tornammo a Dieppe ad aspettare il mattino.
«Dovremo discutere cosa fare adesso» disse Esmond.
Mi sembrò che la prendesse con molta filosofia.
Entrammo in un caffè aperto tutta la notte. Il proprietario venne a prendere le ordinazioni, ma non avevamo nemmeno i soldi per un bicchiere di vino. Dopo avere toccato con mano in moltissimi casi l’incredibile capacità di Esmond di tirarci fuori dalle situazioni più difficili, non potevo lasciarmi sconvolgere troppo dalla nuova crisi.
Esmond stava parlando della possibilità di scambiare l’auto con un peschereccio quando udimmo un grido di saluto. A un tratto, sulla soglia del caffè comparve un suo amico, ex corrispondente di «Out of Bounds», e la sua sagoma si stagliò contro la pioggia che fuori, cadeva fitta. Esmond ci presentò. Si chiamava Roger Roughton e stava tornando a casa dopo una vacanza in Francia.
Roger ci offrì da bere e restammo seduti a parlare dei mali del gioco d’azzardo e delle insidie dei sistemi.
Roger era del parere che per fare soldi al gioco bisognava stare dalla parte del «banco». Esmond era d’accordo e propose una partita settimanale di vingt-et-un, per cui non era necessario alcuno strumento particolare. Arrivammo al punto di compilare una lista di possibili «gonzi» come Giles, Robin e Idden, le gemelle Paget, Philip Toynbee, Peter Rodd e signora, Tuddemy e parecchi altri amici e parenti, quando Roger si lasciò sfuggire l’informazione di avere appena trovato una casa enorme e ammobiliata a Rotherhithe, proprio sul fiume – il luogo ideale per una bisca.
Esmond rizzò immediatamente le orecchie. «Non sapevo che avessi una casa! Quante stanze ha?» domandò, lanciandomi uno dei suoi sguardi complici sotto le fitte ciglia. La casa aveva quattro piani e sette stanze, completamente arredate con pianoforte a coda, letti, stufe, per un affitto complessivo di sole due sterline al mese.
Decidemmo a malincuore di lasciare l’auto parcheggiata in una strada di Dieppe. Non funzionava quasi più. «Questi giornalisti non sanno come prendersi cura delle loro cose» disse Esmond.
Vivere con lui era come passeggiare in una favola. Non sapevi mai se in agguato dietro l’angolo c’era uno gnomo sinistro travestito da console britannico o da croupier, o se la foresta di rovi si sarebbe magicamente spalancata per accoglierti nel palazzo incantato. Il giorno seguente, dopo aver chiesto in prestito a Roger i soldi per il traghetto, ci trasferimmo al 41 di Rotherhithe Street.