Jesse Rosenberg
Martedì 29 luglio 2014
3 giorni dopo l’inaugurazione del festival
Era la prima grande svolta nell’indagine.
L’arma del delitto del 1994, che all’epoca non era stata trovata, era riapparsa. La pistola utilizzata per assassinare i Gordon e Meghan Padalin adesso era stata usata per cercare di mettere a tacere Dakota. Questo significava che Stephanie aveva ragione sin dall’inizio: Ted Tennenbaum non aveva assassinato né i Gordon né Meghan Padalin.
Quella mattina, alla centrale regionale della polizia di stato, il maggiore convocò Derek e me nel suo ufficio, dove c’era anche il procuratore.
“Dovrò informare Sylvia Tennenbaum dei nuovi sviluppi,” ci disse McKenna. “La procura aprirà un fascicolo. Volevo che lo sapeste in anticipo.”
“Grazie, maggiore,” dissi. “D’altronde, in questi casi è la prassi.”
“Sylvia Tennenbaum potrebbe promuovere un’azione giudiziaria non solo contro la polizia,” spiegò il procuratore, “ma anche contro di voi.”
“Che fosse o no colpevole del quadruplice omicidio, Ted Tennenbaum aveva ignorato l’intimazione di fermarsi, provocando così l’inseguimento da parte dei nostri uomini. Se non si fosse dato alla fuga, si sarebbe evitata quella tragica conseguenza.”
“Ma Derek ha deliberatamente urtato il suo veicolo facendolo precipitare dal ponte,” puntualizzò il procuratore.
“Stavamo cercando di intercettarlo!” protestò Derek.
“C’erano altri sistemi per farlo,” obiettò il magistrato.
“Ah sì?” disse in tono beffardo Derek. “Quali? È un esperto di inseguimenti?”
“Non siamo qui per colpevolizzarvi,” intervenne il maggiore. “Ho riesaminato il fascicolo: tutto portava a Ted Tennenbaum. C’era il suo camioncino sul luogo del delitto qualche istante prima degli omicidi; c’era il movente del ricatto cui lo sottoponeva il sindaco, corroborato dalle transazioni bancarie; c’erano l’acquisto di una pistola dello stesso tipo di quella usata per gli omicidi e il fatto che fosse un tiratore di una certa esperienza. Non poteva che essere lui!”
“Eppure,” sospirai, “quelle prove sono state smontate una dopo l’altra.”
“Lo so bene, Jesse,” disse il maggiore, rammaricato. “Ma avrebbero tratto in inganno chiunque. Tu e Derek non siete colpevoli di niente. Temo tuttavia che Sylvia Tennenbaum non si accontenti di questa spiegazione e faccia tutti i passi necessari per ottenere un risarcimento.”
Per la nostra indagine, però, tutto questo significava che la morsa si stava stringendo. Nel 1994 l’assassino di Meghan Padalin aveva eliminato anche i Gordon, malcapitati testimoni dell’omicidio. Poiché Derek e io avevamo seguito la pista sbagliata dei Gordon, e una lunga serie di prove ci aveva convinto della colpevolezza di Ted Tennenbaum, per vent’anni il vero assassino aveva potuto dormire sonni tranquilli. Finché Stephanie non aveva ripreso l’indagine, spinta da Ostrovski, che dubitava sin dall’inizio perché aveva visto che al volante del camioncino non c’era Tennenbaum. Ora che le piste convergevano su di lui, l’assassino eliminava tutti quelli che potevano smascherarlo. Dopo avere cominciato con i Gordon, aveva eliminato Stephanie, poi Cody e adesso aveva cercato di mettere a tacere Dakota. L’assassino era sotto i nostri occhi, a portata di mano. Dovevamo agire presto e in modo furbo.
Finita la riunione con il maggiore McKenna, approfittammo per passare nell’ufficio del dottor Ranjit Singh, il medico legale, che era anche un esperto di profili criminali e aveva studiato il fascicolo d’indagine per aiutarci a delineare la personalità dell’assassino.
“Ho valutato minuziosamente tutti gli elementi,” disse Singh. “Per prima cosa, penso che abbiate a che fare con un individuo di sesso maschile. Innanzitutto per ragioni statistiche, poiché le probabilità di omicidio di una donna da parte di un’altra donna non superano il 2%. Ma nel nostro caso ci sono anche elementi più concreti: l’aspetto impulsivo, la porta dei Gordon sfondata a calci e l’intera famiglia trucidata senza scrupoli. Poi Stephanie Mailer annegata nel lago e l’estrema brutalità con cui è stato sfondato il cranio di Cody Illinois. Tutti esempi di una forma di violenza molto maschile. D’altronde, nel fascicolo ho visto che all’epoca anche i miei colleghi propendevano per un uomo.”
“Quindi non può trattarsi di una donna?” chiesi.
“Non posso escludere niente, capitano,” rispose Singh. “Ricordo alcuni casi in cui un profilo di tipo maschile nascondeva in realtà un colpevole femminile. Ma l’impressione complessiva che ho ricavato studiando questo fascicolo mi fa propendere per un uomo. Del resto, è un caso molto interessante. Non abbiamo a che fare con un profilo comune. In genere, a uccidere così sono gli psicopatici o i delinquenti incalliti. Ma se si trattasse di uno psicopatico, non ci sarebbero motivi razionali. In questo caso, invece, ha ucciso per una ragione precisa ed evidente: impedire la scoperta della verità. D’altra parte, non si tratta nemmeno di un delinquente incallito, visto che quando ha deciso di uccidere Meghan Padalin al primo tentativo l’ha mancata. Poi le ha sparato ripetutamente e l’ha finita con un ultimo proiettile alla testa. Apparentemente, non è riuscito a dominarsi e ha perso il controllo di sé. E quando ha capito che i Gordon potevano averlo visto, li ha sterminati. Ha sfondato la porta, che non era neanche chiusa a chiave, e ha sparato a bruciapelo.”
“Ma è un buon tiratore,” precisò Derek.
“Sì, è sicuramente un tiratore con una certa esperienza. Potrebbe essersi esercitato a sparare proprio per quell’occasione. È meticoloso. Ma al momento di passare all’azione va in tilt. Quindi non è un assassino freddo, ma piuttosto qualcuno che uccide suo malgrado.”
“Suo malgrado?” ripetei, stupito.
“Sì, qualcuno che non ha mai pensato di uccidere e che disapprova socialmente l’omicidio, ma che si è dovuto costringere a farlo, forse per proteggere la propria reputazione, il proprio status, o per evitare la prigione.”
“Anche in questo caso, comunque,” intervenne Derek, “occorre possedere una pistola o procurarsela, ed esercitarsi a sparare. C’è dietro tutta una preparazione.”
“Non ho detto che non ci fosse premeditazione,” precisò Singh. “Ho detto che l’assassino doveva uccidere Meghan a tutti i costi. Il suo non era un movente di lucro, come nel caso di una rapina. Forse sapeva qualcosa sul suo conto, e quindi doveva metterla a tacere. Quanto alla scelta dell’arma, la pistola è lo strumento d’eccellenza di chi non sa come uccidere. È una garanzia. Basta un colpo e finisce tutto. Un coltello non è altrettanto sicuro, tranne se sgozzi la vittima, ma il nostro assassino non ne sarebbe capace. Lo vediamo spesso nei casi di suicidio: molte persone trovano più facile servirsi di un’arma da fuoco che tagliarsi le vene, buttarsi dal tetto di un edificio o, a maggior ragione, ricorrere ai farmaci di cui non si conosce bene l’effetto.”
A quel punto Derek chiese:
“Se è stata la stessa persona a uccidere i Gordon, Meghan, Stephanie, Cody e a tentare di assassinare Dakota, come mai con Stephanie e Cody non ha utilizzato la pistola?”
“Perché con loro ha cercato di confondere le acque,” rispose il dottor Singh, che sembrava molto sicuro del fatto suo. “L’assassino voleva impedire che collegassimo quei due omicidi con i quattro del 1994. Era riuscito ad abbindolare tutti per vent’anni e non avrebbe esitato di fronte a nulla per continuare a farlo. Ve lo ripeto: secondo me, avete a che fare con qualcuno cui non piace uccidere. Ha ucciso sei volte perché è rimasto preso in un ingranaggio, ma non ammazza a sangue freddo, non è un omicida seriale. È qualcuno che cerca di salvarsi la pelle al prezzo di quella degli altri. Un assassino suo malgrado.”
“Ma se uccide suo malgrado, perché non è fuggito il più lontano possibile da Orphea?”
“È un’opportunità che prenderà in considerazione appena possibile. Ha vissuto vent’anni pensando che nessuno avrebbe scoperto il suo segreto. Ha abbassato la guardia. Probabilmente è per questo che adesso ha corso grossi rischi per proteggere la propria identità. Se scappasse da un giorno all’altro, si tradirebbe. Cercherà di guadagnare tempo e trovare una scusa per lasciare la regione senza destare sospetti. Un nuovo lavoro, o magari un parente malato. Dovete agire in fretta. Avete a che fare con un uomo intelligente e meticoloso. L’unica strada per risalire a lui è scoprire chi avesse un buon motivo per uccidere Meghan Padalin nel 1994.”
“Chi aveva un buon motivo per uccidere Meghan Padalin?” scrisse Derek su un grosso foglio che fissò alla lavagna magnetica nell’archivio dell’“Orphea Chronicle”, che ormai era l’unico posto dove ci sentivamo abbastanza tranquilli per proseguire la nostra caccia, e dove ci aveva raggiunto Anna. Insieme a noi c’erano Kirk Harvey – le sue deduzioni sul 1994 facevano pensare che fosse un piedipiatti dal fiuto implacabile – e Michael Bird, che non si faceva problemi di orario nell’aiutarci nelle ricerche e che era diventato un alleato prezioso.
Riprendemmo gli elementi dell’indagine.
“Quindi Tennenbaum non era l’assassino,” disse Anna, “ma se non sbaglio, avevate la prova che nel 1994 si era procurato una pistola, vero?”
“Quella pistola faceva parte di uno stock di armi rubate all’esercito e fu rivenduta da un militare corrotto in un bar di Ridgesport,” spiegò Derek. “In teoria, potremmo supporre che nello stesso lasso di tempo Tennenbaum e l’assassino si siano entrambi procurati una pistola nel medesimo posto. Si trattava indubbiamente di una filiera nota a chiunque cercasse di procurarsi un’arma impossibile da identificare.”
“Sarebbe una singolare coincidenza,” disse Anna. “Prima il camioncino di Tennenbaum sul luogo del delitto, ma non c’era lui al volante. Poi la pistola acquistata nello stesso posto dove se l’era procurata Ted. Non sentite anche voi puzza di bruciato?”
“Scusate la domanda,” intervenne Michael. “Ma perché Tennenbaum avrebbe comprato una pistola illegalmente, se non aveva intenzione di servirsene?”
“Tennenbaum era taglieggiato da un boss locale, Jeremiah Fold, che aveva incendiato il suo ristorante. È possibile che volesse un’arma per proteggersi.”
“È lo stesso Fold il cui nome compariva nel testo del mio spettacolo trovato a casa del sindaco Gordon?” chiese Harvey.
“Esatto,” risposi. “Ed è lo stesso Fold che siamo convinti che sia stato investito deliberatamente.”
“Concentriamoci su Meghan,” suggerì Derek, battendo con il palmo della mano sulla frase che aveva scritto sul figlio appiccicato alla lavagna: “Chi aveva un buon motivo per uccidere Meghan Padalin?”
“Possiamo ipotizzare che Meghan abbia investito Fold? E che qualcuno legato a quest’ultimo – forse Costico – abbia voluto vendicarsi?” dissi.
“Abbiamo già stabilito che tra Meghan e Fold non c’era alcun rapporto,” ricordò Derek. “E poi Meghan non avrebbe mai investito intenzionalmente qualcuno.”
“A che punto è l’esame dei reperti trovati da Grace, l’ex agente dell’ATF?” chiesi.
“È ancora in corso,” rispose Derek, rammaricato. “Spero di avere notizie domani.”
Anna, che stava sfogliando le pagine del fascicolo, si soffermò su un verbale di testimonianza.
“Credo di avere trovato qualcosa,” disse. “La settimana scorsa, quando l’abbiamo interrogato, il sindaco Brown ha detto che nel 1994 aveva ricevuto una telefonata anonima. ‘All’inizio del 1994 ho scoperto che Gordon era corrotto.’ ‘Come l’hai scoperto?’ ‘Ho ricevuto una telefonata anonima. Era la fine di febbraio. Una voce di donna...’”
“Una voce di donna,” ripeté Derek. “Avrebbe potuto essere Meghan Padalin?”
“Perché no?” dissi. “È un’ipotesi che potrebbe reggere.”
“Il sindaco Brown avrebbe ucciso Meghan e i Gordon?” chiese Michael.
“No,” risposi. “Al momento del quadruplice omicidio Brown stava stringendo mani nel foyer del Grand Theater. È fuori discussione.”
“Però è stata quella telefonata a convincere il sindaco Gordon ad andarsene da Orphea,” riprese Anna. “Ha cominciato a trasferire i suoi soldi nel Montana, e poi è andato a Bozeman per trovarsi una casa.”
“Quindi il sindaco Gordon avrebbe avuto un ottimo movente per uccidere Meghan Padalin, e il suo profilo corrisponde a quello di cui ci parlava prima il dottor Singh: un uomo che di per sé non ha impulsi omicidi ma che, sentendosi braccato o per proteggere il proprio onore, uccide suo malgrado. Mi sembra una descrizione calzante per Gordon.”
“Già, ma forse dimentichi che Gordon è una delle vittime,” ricordai a Derek. “È proprio questo il problema.”
A quel punto intervenne Kirk:
“Ricordo che all’epoca mi colpì molto la conoscenza che l’assassino aveva delle abitudini della Padalin. Sapeva che Meghan faceva jogging ogni giorno alla stessa ora e che si fermava a fare esercizi nel parchetto di Penfield Crescent. Si potrebbe pensare che l’avesse spiata a lungo. Ma c’è un particolare che l’omicida non poteva conoscere solo in base ai suoi appostamenti, ed è il fatto che Meghan non intendeva partecipare all’inaugurazione del festival. Quindi era qualcuno che sapeva che il quartiere sarebbe stato deserto e che la Padalin si sarebbe trovata sola nel parco. Senza testimoni. Era un’occasione unica.”
“Sarebbe quindi qualcuno della sua cerchia?” domandò Michael.
Come all’inizio ci eravamo chiesti chi poteva sapere che Gordon non avrebbe assistito all’inaugurazione del festival, così adesso ci chiedevamo chi poteva sapere che quella sera Meghan si sarebbe trovata nel parco.
Considerammo l’elenco degli indiziati scritto con il pennarello sul foglio che campeggiava sulla lavagna magnetica:
Meta Ostrovski
Ron Gulliver
Steven Bergdorf
Charlotte Brown
Samuel Padalin
“Procediamo per eliminazione,” suggerì Derek. “Partendo dall’idea che si tratti di un uomo, dobbiamo escludere Charlotte Brown. Tra l’altro, all’epoca Charlotte non viveva a Orphea, non aveva rapporti con Meghan Padalin, e quindi neanche la possibilità di spiarla per conoscere le sue abitudini.”
“Stando a quanto ha detto l’esperto di profili criminali,” aggiunse Anna, “l’assassino non avrebbe avuto alcun interesse a far sì che l’indagine del 1994 venisse rimessa in discussione. Possiamo quindi escludere anche Ostrovski. Che senso avrebbe avuto chiedere a Stephanie di fare luce su quei delitti per poi ucciderla? Inoltre, anche lui non viveva a Orphea e non aveva alcun rapporto con Meghan Padalin.”
“Allora restano Ron Gulliver, Steven Bergdorf e Samuel Padalin.”
“Non dimentichiamo che Gulliver si è appena dimesso dalla polizia, a poco più di due mesi dalla pensione,” disse Anna, per poi spiegare a Kirk e a Michael che il dottor Singh aveva accennato alla possibilità di una fuga dell’assassino camuffata da una partenza legittima. “Dobbiamo aspettarci che domani Gulliver annunci di voler andare a godersi la pensione in un paese che non prevede l’estradizione?”
“E Steven Bergdorf?” chiese Derek. “Nel 1994, subito dopo gli omicidi, si trasferisce a New York. Poi, dopo vent’anni, ricompare improvvisamente a Orphea e si fa ingaggiare come attore nello spettacolo che deve rivelare il nome dell’assassino.”
“E cosa sappiamo di Samuel Padalin?” chiesi. “All’epoca si comportava da vedovo afflitto, e non ho mai immaginato che potesse avere ucciso la moglie. Prima di escluderlo dall’elenco, però, dovremmo saperne di più sul suo conto e sui motivi che lo hanno spinto a proporsi come attore per lo spettacolo di Kirk. Perché se c’è qualcuno che conosceva bene le abitudini di Meghan e che sapeva che la sera dell’inaugurazione non sarebbe andata al festival, è proprio lui.”
Michael Bird aveva fatto qualche ricerca su Samuel Padalin, e ci disse cosa aveva trovato.
“I Padalin erano una coppia socievole, molto apprezzata. Ho parlato con alcuni dei loro vicini di allora e mi hanno detto tutti la stessa cosa: non li avevano mai visti litigare, non avevano mai sentito gridare in casa loro. Li descrivono come persone amabili e indiscutibilmente felici. A quanto pare, Samuel fu terribilmente colpito dalla morte della moglie. Uno dei vicini sostiene di avere temuto che finisse per suicidarsi. Poi però ha superato lo shock e si è risposato.”
“Queste testimonianze non fanno che confermare l’impressione che ne ho avuto all’epoca,” disse Kirk.
“In ogni caso, né Ron Gulliver né Steven Bergdorf né Samuel Padalin sembrano avere avuto motivi per uccidere Meghan. Torniamo quindi alla nostra domanda iniziale. Perché ucciderla? Rispondere a questa domanda significa scoprire il suo assassino,” conclusi.
Dovevamo saperne di più su Meghan. Decidemmo di andare a parlare con Samuel Padalin, sperando che potesse chiarirci le idee sul conto della sua prima moglie.
* * *
A New York, nel suo appartamento di Brooklyn, Steven Bergdorf stava sforzandosi di convincere la moglie circa l’opportunità del loro viaggio a Yellowstone.
“Che significa che non vuoi più andarci?” chiese, stizzito.
“Ma insomma, Steven,” rispose Tracy, “la polizia ti ha ordinato di restare nello stato di New York. Perché non ne approfittiamo per andare a casa dei miei sul Champlain Lake?
“Perché per una volta che abbiamo deciso di fare una vacanza in cui siamo solo tu, io e i bambini, non mi va di cambiare programma.”
“Devo ricordarti che tre settimane fa non volevi neanche sentire parlare di Yellowstone?”
“Appunto! Ho voglia di accontentare te e i bambini, Tracy. Scusami se rispetto i vostri desideri.”
“Andremo a Yellowstone l’anno prossimo, Steven. È meglio attenersi alle istruzioni della polizia e non lasciare lo stato.”
“Ma di cosa hai paura, Tracy? Credi che sia un assassino?”
“No, ovviamente.”
“Allora spiegami per quale motivo la polizia dovrebbe contattarmi di nuovo. Sei proprio insopportabile! Un giorno vuoi una cosa, e il giorno dopo non la vuoi più. Perciò va’ pure da tua sorella, io resto qui, visto che non hai più voglia di andare in vacanza insieme.”
Dopo una breve esitazione, Tracy finì per accettare. Sentiva il bisogno di condividere con il marito un periodo di tranquillità e di riavvicinarsi a lui.
“D’accordo, tesoro,” disse con dolcezza. “Facciamoci questo viaggetto.”
“Fantastico!” gridò Steven. “Su, allora, prepara le valigie. Io nel frattempo faccio un salto al giornale per lasciare il mio articolo e sistemare un paio di cosucce. Poi telefonerò a tua sorella per chiederle il camper. Domattina si parte per il Midwest!”
Tracy aggrottò la fronte.
“Perché vuoi complicarti la vita, Steven? Sarebbe più sensato caricare le nostre cose in macchina, per poi andare insieme da mia sorella domani e partire da lì.”
“Impossibile,” disse Steven. “Con i bambini sul sedile posteriore non ci sarebbe spazio per le valigie.”
“Ma le mettiamo nel bagagliaio! Quella macchina l’abbiamo comprata proprio per le dimensioni del bagagliaio.”
“Già, solo che è bloccato. Non si apre più.”
“Come mai?”
“Non ne ho idea. So solo che all’improvviso si è bloccato.”
“Vado a dargli un’occhiata.”
“Non ho tempo,” disse Steven, “devo andare subito al giornale.”
“In macchina? Da quando ci vai in macchina?”
“Voglio provarla: il motore fa un rumore strano.”
“Una ragione di più per lasciarla a me, Steven,” disse Tracy. “La porto in officina, così faccio controllare il motore e aggiustare la serratura del bagagliaio.”
“Niente officina!” tuonò Steven. “Porteremo la macchina con noi. La trainiamo con il camper.”
“Non essere ridicolo, Steven. Non possiamo portarci quella macchina fino a Yellowstone.”
“E invece sì! È molto più pratico. Così lasciamo il camper nel campeggio e visitiamo il parco e la regione in macchina. Non vorrai che ce ne andiamo in giro con quel mastodonte!”
“Ma, Steven...”
“Niente ‘Ma’. Lì fanno tutti così.”
“D’accordo, come vuoi,” cedette infine Tracy.
“E adesso scappo al giornale. Tu prepara le valigie e di’ a tua sorella che passerò da lei domattina alle 7:30. Così alle 9 siamo in viaggio per il Midwest.”
Steven uscì e raggiunse l’auto parcheggiata in strada. Ebbe la sensazione che la puzza del cadavere di Alice cominciasse già a filtrare dal bagagliaio. O era solo la sua immaginazione? Quando entrò nella redazione del “Magazine”, fu accolto come un eroe. Ma aveva la testa altrove. Non sentiva le persone che gli parlavano. Aveva l’impressione che intorno a lui girasse tutto. Aveva la nausea. Tornare in quella redazione faceva esplodere di nuovo tutte le sue emozioni. Era un assassino. Se ne rendeva conto soltanto adesso.
Dopo essersi sciacquato a lungo il viso in bagno, si chiuse nel suo ufficio con Skip Nalan, il vicedirettore.
“Ti senti bene, Steven?” gli chiese questi. “Sei pallido e tutto sudato. Che ti succede?”
“Solo un po’ di stanchezza. Ho bisogno di riposarmi. L’articolo sul festival te lo giro subito per e-mail. Poi dimmi cosa ne pensi.”
“Non torni?” chiese Skip.
“No, domani parto per qualche giorno con mia moglie e i bambini. Dopo quello che è successo, abbiamo bisogno di ritrovarci un po’.”
“Ti capisco,” disse Skip. “Alice viene oggi o domani?”
Bergdorf deglutì a fatica.
“È proprio quello di cui devo parlarti, Skip.”
Vedendo la sua espressione angosciata, Skip si preoccupò.
“Cos’è successo?”
“È stata Alice a rubarmi la carta di credito. È stata lei a fare tutti quegli intrallazzi. È scappata dopo avere confessato tutto.”
“Non riesco a crederci!” esclamò Skip. “Ma in effetti negli ultimi tempi era piuttosto strana. Mi occupo io della denuncia, così ti evito quest’altra seccatura.”
Bergdorf lo ringraziò, poi firmò qualche lettera in sospeso e spedì l’articolo via e-mail a Skip. Visto che era su Internet, ne approfittò per fare una rapida ricerca sulla decomposizione dei cadaveri. Aveva paura che l’odore lo tradisse. Doveva resistere per tre giorni. Stando ai suoi calcoli, partendo l’indomani, ossia mercoledì, sarebbe arrivato a Yellowstone sabato. Lì sarebbe riuscito a sbarazzarsi del cadavere in modo che nessuno potesse mai trovarlo. Sapeva esattamente come fare.
Cancellò la cronologia del browser, spense il computer e se ne andò. Arrivato in strada, tirò fuori dalla tasca il cellulare di Alice, che aveva portato con sé. Lo accese e, scorrendo la rubrica, spedì un messaggio ai genitori della ragazza e a qualche amico di cui sapeva il nome.
Ho bisogno di svuotarmi il cervello, vado via qualche giorno per prendere un po’ d’aria. Vi chiamo presto. Alice.
Nessuno l’avrebbe cercata per un bel po’. Bergdorf buttò il cellulare in un cassonetto. Gli restava ancora un ultimo particolare da sistemare. Andò a casa di Alice e recuperò tutti i gioielli e gli oggetti di valore che le aveva regalato. Poi andò in un banco dei pegni e rivendette tutto. Così avrebbe rimborsato una parte del suo debito.
* * *
A Southampton, Anna, Derek e io, nel soggiorno della casa di Samuel Padalin, avevamo appena rivelato a quest’ultimo che nel 1994 l’obiettivo dell’assassino era Meghan, e non i Gordon.
“Meghan?” ripeté lui, incredulo. “Ma cosa mi state raccontando?”
Cercammo di valutare la sua reazione, e fin lì sembrava sincera: Samuel era sconvolto.
“La verità, signor Padalin,” disse Derek, “è che all’epoca abbiamo sbagliato colpevole. L’obiettivo era sua moglie, i Gordon sono stati solo vittime collaterali.”
“Ma perché proprio Meghan?”
“È quello che vorremmo capire,” risposi.
“Non ha senso. Meghan era una persona dolcissima, una vicina premurosa e una libraia adorata dai clienti.”
“Eppure,” risposi, “qualcuno ce l’aveva con lei abbastanza da ucciderla.”
Samuel ammutolì per lo stupore.
“Signor Padalin,” riprese Derek, “questa domanda è molto importante: è mai stato minacciato? Ha avuto a che fare con brutta gente, persone che in seguito avrebbero potuto rifarsi su sua moglie?”
“Assolutamente no!” rispose Samuel, scandalizzato. “Pensare una cosa del genere significa non conoscermi affatto.”
“Il nome Jeremiah Fold le dice qualcosa?”
“No, niente. E questa domanda me l’ha già fatta ieri.”
“Nelle settimane precedenti la sua morte Meghan era inquieta? Le ha confidato qualche preoccupazione?”
“No, no. Faceva le solite cose che amava: leggere, scrivere e correre.”
“Signor Padalin,” disse Anna, “chi poteva sapere che lei e Meghan non avreste partecipato ai festeggiamenti per l’inaugurazione del festival? L’assassino sapeva che quella sera sua moglie sarebbe andata, come al solito, a fare jogging, mentre la maggior parte degli abitanti di Orphea si trovava nella strada principale.”
Samuel Padalin si prese qualche istante per riflettere.
“Tutti parlavano di quel festival,” disse, infine. “Ne sentivamo parlare dai vicini, dai clienti della libreria e quando andavamo a fare la spesa. Le conversazioni ruotavano intorno a un unico argomento: chi aveva i biglietti per l’inaugurazione e chi invece si sarebbe limitato a godersi l’evento passeggiando nella strada principale. A chiunque le chiedesse cosa avrebbe fatto quella sera, Meghan rispondeva che non eravamo riusciti a trovare i biglietti e che non intendeva mescolarsi con la folla dei curiosi in centro. Con il tono di chi non partecipa al veglione e ne approfitta per andare a letto presto, diceva: ‘Leggerò un buon libro in veranda e mi godrò una serata di calma dopo molti anni.’ Ironia della sorte...”
Samuel sembrava completamente smarrito.
“Poco fa ha detto che Meghan amava scrivere,” disse Anna. “Cosa scriveva?”
“Tutto e niente. Ha sempre sognato di scrivere un romanzo, ma diceva di non essere mai riuscita a trovare una bella trama. Però teneva un diario, e ogni giorno scriveva qualcosa.”
“L’ha conservato?” chiese Anna.
“Li ho conservati. Ci sono almeno quindici quaderni.”
Padalin si allontanò per qualche istante e tornò con uno scatolone polveroso che evidentemente aveva ripescato in cantina. Dentro c’erano almeno venti quaderni, tutti della medesima marca.
Anna ne aprì uno a caso: ogni pagina era coperta di una grafia fitta e minuta. C’era di che leggere per ore.
“Possiamo prenderli?” chiesi a Samuel.
“Se volete. Ma dubito che possiate trovarci qualcosa d’interessante.”
“Li ha letti?”
“Alcuni,” rispose Padalin. “In parte. Dopo la morte di Meghan, mi sembrava di ritrovare lì i suoi pensieri. Ma ben presto mi sono reso conto che si annoiava. Lo vedrete voi stessi. Descriveva le sue giornate e la sua vita, ed è come se tutto la annoiasse, me compreso. Parlava del lavoro in libreria, di quali clienti comprassero questo o quell’altro tipo di libri. Mi vergogno a dirvelo, ma c’era sempre un risvolto patetico. Dopo un po’ ho smesso di leggerli perché provavo una sensazione molto sgradevole.”
Questo spiegava come mai i quaderni fossero finiti in cantina.
Mentre stavamo per uscire portando con noi lo scatolone, notammo che nell’ingresso c’erano delle valigie.
“È in partenza?” chiese Derek a Padalin.
“Mia moglie. Porta i bambini a casa dei suoi, nel Connecticut. Quello che è successo ultimamente a Orphea l’ha spaventata. Li raggiungerò tra qualche giorno. O meglio, quando avrò il permesso di lasciare lo stato.”
Derek e io dovevamo tornare alla centrale per parlare con il maggiore, che voleva fare il punto della situazione. Anna propose di sobbarcarsi la lettura del diario di Meghan Padalin.
“Non vuoi che ci suddividiamo il compito?” le chiesi.
“No, preferisco farlo io: mi occuperà la mente. Ne ho bisogno.”
“Mi dispiace per l’incarico di comandante.”
“È andata così,” replicò Anna, sforzandosi di non crollare davanti a noi.
Derek e io ci avviammo verso la centrale regionale della polizia di stato.
Tornata a Orphea, Anna passò al comando di polizia. Tutti gli agenti erano riuniti nel salottino, dove Montagne stava improvvisando un discorsetto per l’entrata in carica come nuovo comandante. Anna non se la sentì di restare e decise di tornare a casa per dedicarsi alla lettura del diario di Meghan. Uscendo dal comando, s’imbatté nel sindaco Brown.
Lo guardò in silenzio per qualche istante, poi gli domandò:
“Perché mi hai fatto questo, Alan?”
“Guarda il casino nel quale ci troviamo, Anna. Un casino di cui sei in parte responsabile. Volevi davvero occuparti di questa indagine? Ecco, è arrivato il momento di subirne le conseguenze.”
“Mi hai punito perché faccio il mio lavoro? Sì, sono stata costretta a interrogare te e tua moglie, ma l’ho fatto perché lo esigeva l’indagine. Non hai avuto un trattamento di favore, Alan, e questo dimostra che sono una brava piedipiatti. Quanto allo spettacolo di Harvey, se ti riferisci a questo quando parli di ‘casino’, ti ricordo che sei stato tu a volerlo al festival. Non riconosci i tuoi sbagli, Alan. Non vali più di Gulliver e di Montagne. Credevi di essere un sovrano illuminato, ma sei solo un piccolo despota senza spessore.”
“Vattene a casa, Anna. Se non sei contenta, puoi sempre dimetterti.”
Anna tornò a casa schiumando di rabbia. Appena entrata nell’appartamento, si lasciò cadere sul pavimento in lacrime. Rimase a lungo a singhiozzare seduta con la schiena addossata al mobile dell’ingresso. Non sapeva più cosa fare. Né a chi telefonare. A Lauren? Le avrebbe detto di averla avvisata che la vita di Orphea non faceva per lei. A sua madre? Le avrebbe inflitto un’ennesima lezione di morale. Quando finalmente riuscì a calmarsi, il suo sguardo si posò sullo scatolone con i quaderni di Meghan. Decise di immergersi nella lettura. Si riempì un bicchiere di vino, si sedette in una poltrona e cominciò a leggere.
Iniziò direttamente dalla metà del 1993 e seguì il corso degli ultimi dodici mesi della vita di Meghan, fino al luglio del 1994.
La sua prima sensazione fu quella di una noia mortale. Anna capì cosa doveva avere provato Samuel leggendo quella lagnosa descrizione dell’esistenza della moglie.
Ma ecco che, alla data del 1° gennaio 1994, Meghan parlava del gala di capodanno all’hotel Northern Rose di Bridgehampton, dove aveva conosciuto “un forestiero” che l’aveva profondamente colpita. Poi Anna passò al febbraio del 1994, e quello che scoprì la lasciò sbigottita.