Jesse Rosenberg
Martedì 22 luglio 2014
4 giorni prima dell’inaugurazione del festival
Quella mattina, quando Derek e io la raggiungemmo nell’archivio del “Chronicle”, Anna ci accolse con un sorriso trionfante. La guardai divertito e le porsi il caffè che le avevo portato.
“Mi sa che hai trovato una pista,” dissi.
Anna annuì con aria misteriosa e ci mostrò un articolo dedicato alla libreria di Cody apparso sul “Chronicle” il 15 giugno del 1994.
“Guardate la foto,” disse. “In fondo a destra, sullo scaffale, si vede una copia di La Notte Buia. Quindi è molto probabile che il sindaco Gordon si sia procurato il testo di Harvey in libreria.”
“All’inizio di giugno,” disse Derek, “il sindaco Gordon straccia il copione di Harvey. Poi va a recuperare quello stesso testo in libreria. Perché?”
“Non ne ho idea,” rispose Anna. “Però ho trovato un collegamento tra Jeremiah Fold e lo spettacolo che Kirk Harvey sta preparando al Grand Theater. Ieri sera, tornando da una cena, mi sono fermata al comando e ho passato qualche ora a consultare il database. Jeremiah Fold ha avuto un figlio poco prima di morire. Sono riuscita a trovare il nome della madre, si chiama Virginia Parker.”
“E...?” chiese Derek. “Il nome dovrebbe dirci qualcosa?”
“No, però ho parlato con lei. E mi ha detto com’è morto Jeremiah.”
“Un incidente stradale,” disse Derek, che non capiva dove Anna volesse andare a parare. “Lo sappiamo già.”
“Incidente di moto,” precisò lei. “Si è schiantato con la moto contro un albero.”
“Come all’inizio dello spettacolo di Harvey?”
“Esatto,” rispose Anna.
“Dobbiamo assolutamente parlare con Harvey,” dissi. “Lo costringeremo a dirci quello che sa.”
“Il maggiore non ti consentirà di torchiarlo, Jesse,” disse Derek. “Se tocchi Harvey, ti sospenderanno dal servizio e ti revocheranno l’indagine. Imponiamoci di procedere con metodo. E cominciamo cercando di capire come mai la polizia di Ridgesport non fosse in possesso del fascicolo dell’incidente quando l’abbiamo contattata.”
“Non l’aveva perché è la polizia stradale dello stato di New York a occuparsi degli incidenti mortali,” disse Anna.
“Allora contattiamo subito il loro comando per farci dare una copia del fascicolo.”
Anna ci porse un incartamento.
“Già fatto, signori. Eccolo qua.”
Derek e io ci dedicammo subito alla lettura della pratica. L’incidente era avvenuto nella notte tra il 15 e il 16 luglio del 1994. Il verbale di polizia era molto sintetico: “Fold ha perso il controllo del motoveicolo. Guidava senza casco. Alcuni testimoni l’hanno visto lasciare il Ridge’s Club intorno alla mezzanotte. È stato trovato da un automobilista verso le 7 del mattino. Privo di sensi, ma ancora vivo. È morto in ospedale.”
Insieme al verbale c’erano alcune foto della moto, ridotta a un ammasso di ferraglia in fondo a un fosso. In un foglio a parte si precisava che una copia del fascicolo era stata inviata, su sua richiesta, all’agente speciale Grace dell’ATF.
“Grace è l’agente federale che ci ha permesso di risalire a Tennenbaum arrestando l’uomo che gli aveva fornito l’arma del delitto,” spiegò Derek ad Anna.
“Dobbiamo assolutamente contattarlo,” dissi. “All’epoca era sulla cinquantina, quindi sarà in pensione da un pezzo.”
“Nel frattempo potremmo parlare con quella Virginia Parker, l’ex compagna di Jeremiah Fold,” suggerì Derek. “Potrebbe dirci qualcosa di utile.”
“Ci sta aspettando a casa sua,” annunciò Anna, che evidentemente era sempre un passo avanti. “Andiamo.”
Virginia Parker abitava in una casetta malridotta all’ingresso di Ridgesport. Era una donna di cinquant’anni che doveva essere stata bella, ma non lo era più.
“Jeremiah era una carogna,” ci disse, dopo averci fatti sedere nel soggiorno. “In tutta la sua vita ha fatto solo una cosa di buono: il figlio che mi ha dato. È un bravo ragazzo, lavora in una ditta di giardinaggio ed è molto apprezzato.”
“Come ha conosciuto Jeremiah?” le chiesi.
Prima di rispondere, Virginia Parker accese una sigaretta e aspirò profondamente lungo. Aveva lunghe dita fini e unghie acuminate color rosso sangue. Dopo avere sbuffato una nube di fumo bianco, disse:
“Facevo la cantante al Ridge’s Club. Un night che a quei tempi era di moda e che adesso è solo un covo di sfigati. Il mio nome d’arte era ‘Miss Parker’. Ogni tanto vado ancora a cantare al Club. All’epoca ero una specie di star del locale. Avevo tutti gli uomini ai miei piedi. Jeremiah era uno dei proprietari. Decisamente belloccio, aveva un’aria da duro che all’inizio mi era piaciuta molto. Ero attratta dal suo lato inquietante. Ma dopo che mi ha messo incinta ho capito chi era davvero.”
* * *
Ridgesport, giugno 1993.
Tardo pomeriggio
Sfinita dalle nausee che si susseguivano da quando si era svegliata, Virginia era sdraiata sul divano quando sentì bussare alla porta. Pensò che fosse Jeremiah, preoccupato per le sue condizioni. Venti minuti prima gli aveva lasciato un messaggio al Club per dirgli che quella sera non se la sentiva di andare a cantare.
“Entra,” gridò Virginia. “La porta è aperta.”
Il visitatore obbedì. Non era Jeremiah, bensì Costico, il suo scagnozzo. Grosso come un armadio, con due mani che sembravano badili, Virginia lo odiava tanto quanto lo temeva.
“Che ci fai qui?” gli chiese. “Jeremiah non c’è?”
“Lo so, è stato lui a mandarmi. Devi venire al Club.”
“Non posso, ho vomitato tutto il giorno.”
“Alza le chiappe, Virginia. Non ho chiesto il tuo parere.”
“Guardami: non vedi che non sono nella condizione di cantare?”
“Muoviti, Virginia. I clienti vengono al Club per sentirti. Credi di avere diritto a un trattamento speciale solo perché ti fai sfondare la fica da Jeremiah?”
“Come puoi vedere dalla mia pancia,” rispose Virginia, “al momento mi prende solo da dietro.”
“Zitta, e sbrigati!” le ordinò Costico. “Ti aspetto in macchina.”
* * *
“E lei ha obbedito?” chiese Anna.
“Ovviamente. Non avevo scelta. La mia gravidanza è stata un inferno. Mi ha costretta a cantare al Club fino al giorno prima del parto.”
“Jeremiah la picchiava?”
“No, molto peggio. In questo c’era tutta la sua perversità. Jeremiah non si considerava un criminale, ma un ‘imprenditore’. Costico non era il suo scagnozzo, bensì il suo ‘socio’. La sala interna in cui faceva i suoi intrallazzi era ‘l’ufficio’. Jeremiah si credeva l’uomo più furbo del mondo. Diceva che per evitare noie con la giustizia non bisognava mai lasciare tracce. Non aveva libri contabili, non dava mai ordini scritti e la sua pistola era regolarmente registrata. Le estorsioni e i piccoli traffici di droga o di armi li affidava al ‘Servizio Assistenza Clienti’. Era così che chiamava un gruppo di galoppini che costringeva a lavorare per lui con il ricatto. Si trattava sostanzialmente di padri di famiglia sui quali Jeremiah aveva prove compromettenti che potevano rovinarli: per esempio, fotografie che li ritraevano in pose imbarazzanti con prostitute. In cambio del suo silenzio, i galoppini dovevano eseguire gli ordini. Li mandava a incassare i soldi dalle persone che taglieggiava o a consegnare droga agli spacciatori e, successivamente, a ritirare la sua parte degli incassi: tutti servizietti svolti da quei bravi uomini insospettabili. Jeremiah non era mai in prima linea. Poi i galoppini andavano al Club, come se fossero dei clienti, e lasciavano al barista una grossa busta, dicendogli che era per Jeremiah. Non c’erano mai contatti diretti con lui. Inoltre, il locale gli serviva per ripulire il denaro sporco. E anche quello lo faceva a regola d’arte: reinvestiva tutto nel night. I proventi dei suoi loschi traffici confluivano nella contabilità generale, e, visto che il posto andava alla grande, era impossibile risalire alla vera fonte di quei guadagni. Sui quali, tra l’altro, pagava fior di imposte. Era inattaccabile. Poteva scialacquare quanto voleva, perché tanto era tutto dichiarato al fisco. So che la polizia aveva cercato di indagare sul suo conto, ma non era mai riuscita a trovare niente. Gli unici che avrebbero potuto affossarlo erano i galoppini, ma sapevano a cosa sarebbero andati incontro se l’avessero denunciato: nel migliore dei casi, la loro vita sociale e professionale ne sarebbe uscita distrutta. Senza contare che avrebbero rischiato di finire anche loro in carcere in quanto complici dei suoi crimini. E i pochi che recalcitravano subivano un trattamento che li rimetteva sulla buona strada. Ancora una volta, senza lasciare tracce.”
* * *
Ridgesport, 1993
Sala interna del Ridge’s Club
Jeremiah aveva appena finito di riempire d’acqua un catino quando la porta dell’‘ufficio’ si aprì. Alzò gli occhi e vide Costico spingere nella stanza un tizio magrolino in giacca e cravatta.
“Oh, salve, Everett!” lo salutò cordialmente Jeremiah. “Che piacere vederti!”
“Salve, Jeremiah,” rispose l’uomo, che tremava come una foglia.
Everett era un padre modello che Costico aveva filmato in compagnia di una prostituta minorenne.
“Allora, Everett,” gli disse con garbo Jeremiah. “È vero che non vuoi più lavorare per la mia azienda?”
“Ascolta, Jeremiah, non posso più rischiare. È pura follia. Se mi beccano, finisco in prigione per chissà quanti anni.”
“Non più di quelli che ti darebbero per esserti scopato una ragazzina di quindici anni,” ribatté Jeremiah.
“Ero convinto che fosse maggiorenne,” si difese Everett.
“Apri bene le orecchie, Everett: tu sei un povero stronzo che si scopa le ragazzine. E lavorerai per me finché ti dirò di farlo, se non vuoi finire in prigione con gente che ti rifarebbe la punta al pisello a colpi di rasoio.”
Prima che Everett potesse rispondere, Costico l’afferrò con un gesto energico, lo fece piegare e gli ficcò il capo nel catino con l’acqua ghiacciata. Dopo averlo tenuto così per una ventina di secondi, gli tirò fuori la testa per farlo respirare. Everett prese un’enorme boccata d’aria.
“Tu lavori per me, Everett,” gli sussurrò Jeremiah. “Chiaro?”
Costico immerse di nuovo il capo dello sventurato, e la tortura durò finché Everett non promise di essere fedele.
* * *
“Fold annegava la gente?” chiesi a Virginia, ricordandomi com’era stata uccisa Stephanie.
“Sì, capitano Rosenberg,” confermò lei. “Jeremiah e Costico si erano specializzati in quelle simulazioni di annegamento. Se la prendevano solo con ometti da poco, impressionabili e facili da sottomettere. Ma al Club, quando vedevo un poveraccio uscire dall’‘ufficio’ in lacrime e con la testa bagnata, sapevo cos’era successo. Gliel’ho detto, Jeremiah massacrava le persone dall’interno, senza mai lasciare tracce visibili.”
“E ha ucciso qualcuno in quel modo?”
“Probabilmente sì. Era capace di tutto. So di persone scomparse senza lasciare tracce. Sono stati annegati? Bruciati o sepolti vivi? Dati in pasto ai maiali? Non lo so. So solo che Jeremiah non aveva paura di niente, tranne che di andare in prigione. È per questo che era così prudente.”
“E poi cos’è successo?”
“Nel gennaio del 1994 ho partorito. E questo non ha cambiato niente tra Jeremiah e me. Non abbiamo mai parlato di sposarci o di vivere insieme. Però mi dava i soldi per il bambino. Attenzione, mai volgari contanti: solo assegni o bonifici bancari. Tutto ufficiale e registrato. È andata avanti così fino a luglio. Fino alla sua morte.”
“Cos’è successo la sera della sua morte?”
“Credo che Jeremiah temesse la prigione perché era claustrofobico. Diceva che l’idea di ritrovarsi chiuso in un posto lo faceva impazzire. Quando poteva, per spostarsi usava un’enorme moto, invece della macchina, e non metteva mai il casco. Faceva ogni sera lo stesso percorso: partiva dal Club verso mezzanotte, raramente più tardi, e tornava a casa sulla Route 34, che in quel tratto è praticamente un unico rettilineo. Correva sempre come un pazzo. Si sentiva libero, invincibile. Spesso era ubriaco. Ho sempre pensato che con quella moto ci avrebbe rimesso la pelle, ma non avrei mai immaginato che potesse crepare così, solo come un cane sul ciglio della strada, dopo aver agonizzato per ore. All’ospedale i medici hanno detto che forse avrebbe potuto cavarsela se l’avessero trovato prima. Non mi sono mai sentita così sollevata come quando ho saputo che era morto.”
“Il nome di Joseph Gordon le dice qualcosa?” chiesi. “Era il sindaco di Orphea fino al luglio del 1994.”
“Joseph Gordon?” ripeté Virginia. “No, non mi dice niente, capitano. Perché?”
“Era un politico corrotto, e mi chiedo se avesse rapporti con Fold.”
“Non mettevo mai il naso nei suoi affari. Meno ne sapevo e meglio stavo.”
“E cos’ha fatto dopo la morte di Fold?”
“L’unica cosa che sapessi fare: ho continuato a cantare al Ridge’s Club. La paga era buona. Quell’idiota di Costico lavora ancora lì.”
“Ha continuato gli affari di Fold?”
“Ha rilevato il night. Gli affari di Jeremiah sono finiti con la sua morte. Costico è un tipo ottuso: il personale gli frega i soldi dalla cassa, e lui è l’unico a non accorgersene. È persino finito in prigione per traffici da quattro soldi.”
Dopo la visita a Virginia Parker andammo al Ridge’s Club. Il locale apriva solo nel tardo pomeriggio, ma dentro c’erano già alcuni addetti che facevano svogliatamente le pulizie. Era un night all’antica, in un seminterrato. Già dall’arredamento si capiva come potesse essere stato alla moda nel 1994, per poi diventare un locale da sfigati nel 2014. Accanto al bancone scorgemmo un tizio corpulento sulla sessantina, un fusto invecchiato male che stava inventariando cassette di alcolici.
“Chi vi ha lasciato entrare?” chiese stizzito, appena ci vide. “Fino alle 18 siamo chiusi.”
“Apertura speciale per gli sbirri,” ribatté Derek, mostrandogli il distintivo. “È lei Costico?”
Capimmo che era lui perché scappò via come un indemoniato. Attraversò la sala e s’infilò correndo in un corridoio che portava verso un’uscita di sicurezza. Anna e io ci lanciammo all’inseguimento, mentre Derek optò per la scala dell’ingresso principale. Dopo essere schizzato su per una rampa di scalini, Costico aprì una porta che dava sull’esterno e scomparve nella luce accecante del giorno.
Quando Anna e io uscimmo, Derek lo aveva già immobilizzato nel parcheggio e lo stava ammanettando.
“Complimenti, Derek,” dissi, “a quanto pare hai ritrovato i tuoi splendidi riflessi!”
Derek sorrise. All’improvviso mi sembrò felice.
“Fa bene essere di nuovo sul campo, Jesse.”
Il vero nome di Costico era Costa Suarez. Era stato in prigione per traffico di droga, e il motivo della sua fuga era proprio un sacchetto di cocaina nella tasca del giubbotto. A giudicare dalla quantità, continuava a spacciarla. Ma non era quello a interessarci. Volevamo approfittare dell’effetto sorpresa per interrogarlo, e per farlo lo portammo di nuovo nel night. C’era una saletta interna con la targhetta “UFFICIO” sulla porta. La stanza era come ce l’aveva descritta Virginia Parker: fredda e senza finestre. In un angolo, un lavandino con un vecchio catino di rame sotto.
Fu Derek a condurre l’interrogatorio.
“Non ce ne frega niente dei traffici che fai nel tuo night, Costico. Dobbiamo farti qualche domanda su Jeremiah Fold.”
Costico sembrò sorpreso.
“È da vent’anni che nessuno mi chiede di Fold,” disse.
“Però avrai qualche ricordo di lui,” ribatté Derek. “Era qui che facevate le vostre carognate?”
“Era Jeremiah che aveva la passione per quelle cazzate. Se fosse stato per me, avrei risolto tutto con qualche bel cazzotto.”
Costico ci mostrò le sue grosse dita infilate in pesanti anelli tempestati di borchie appuntite. In effetti, non sembrava traspirare intelligenza. Ma aveva abbastanza buon senso da capire che era meglio dirci quello che volevamo sapere, anziché farsi arrestare per possesso di droga. Nemmeno lui aveva mai sentito parlare del sindaco Gordon.
“Joseph Gordon? Questo nome non mi dice proprio niente,” disse.
Poi, visto che sosteneva di non avere una gran memoria per i nomi, gli mostrammo una foto del sindaco. Ma lui rimase della sua idea.
“Posso giurarvi che quel tizio non ha mai messo piede qui dentro. Non dimentico le facce. Credetemi, se l’avessi visto, me ne ricorderei.”
“Quindi non aveva nessun rapporto con Jeremiah Fold?”
“Nel modo più assoluto. All’epoca ero al corrente di tutto. Fold non faceva mai niente in prima persona. Lo so che tutti mi ridono dietro dicendo che sono un cretino, ma all’epoca Jeremiah si fidava solo di me.”
“È possibile che Joseph Gordon, se non ha trattato con te, l’abbia fatto con uno dei vostri galoppini?”
“No, impossibile. Mi ricorderei la sua faccia. Come vi ho detto, ho una memoria da elefante. È per questo che Jeremiah mi apprezzava: non voleva mai lasciare tracce scritte. Niente di niente. Ma io ricordavo tutto: le consegne, le facce, le cifre. E comunque, Orphea non faceva parte del nostro territorio.”
“Però taglieggiavate Ted Tennenbaum, il proprietario del Café Athena.”
Costico sembrò sorpreso sentendo riaffiorare quel nome.
“Tennenbaum era un duro. Non rientrava nella tipologia dei tizi con cui se la prendeva Jeremiah. Lui non correva mai rischi. Puntava solo su ometti che si cacavano sotto vedendomi arrivare. Ma con Tennenbaum era diverso: con lui era una questione personale. L’aveva preso a pugni davanti a una ragazza, e Fold voleva vendicarsi. Allora siamo andati a pestarlo a casa sua, ma per Jeremiah non era abbastanza e ha deciso di estorcergli dei soldi. Ma a parte quell’eccezione, Fold restava nel suo territorio. A Ridgesport aveva il controllo assoluto, conosceva tutti,” disse.
“Ricordi chi è stato a incendiare quello che sarebbe diventato il ristorante di Tennenbaum?”
“Mi sta chiedendo troppo. Di sicuro è stato uno dei nostri galoppini. Facevano tutto loro. Noi non intervenivamo mai direttamente. Tranne quando c’era un problema da risolvere. Ma le faccende spicce le sbrigavano loro. Ricevevano la droga, la smistavano agli spacciatori e portavano i soldi a Jeremiah. Noi ci limitavamo a dare gli ordini.”
“Come facevate a reclutare i galoppini?”
“Erano tutti frequentatori di puttane. Sulla Route 16 c’era un lurido motel che affittava metà delle stanze alle puttane. Nella regione lo sapevano tutti. Io conoscevo il proprietario e le puttane, e avevamo fatto un accordo. Noi li lasciavamo in pace, e in cambio potevamo utilizzare una stanza come ci pareva. Quando Jeremiah aveva bisogno di galoppini, mandava una minorenne a battere. Avevo trovato una ragazza bellissima. Sapeva esattamente che tipo di clienti scegliere. Padri di famiglia, di quelli che si spaventano facilmente. Ne accalappiava uno, se lo portava in camera e gli diceva: ‘Sono minorenne, vado ancora al liceo, ti eccita?’ Lui rispondeva di sì, e lei gli chiedeva di farle qualcosa di indecente. Io ero nascosto nella stanza – di solito dietro una tenda – con una videocamera. Al momento giusto, saltavo fuori gridando ‘Sorpresa!’ e puntandogli addosso la videocamera. Quei tizi avevano certe espressioni che non potete neanche immaginare! Mi divertivo da matti. Mi scompisciavo dalle risate. Poi facevo uscire la ragazza e guardavo il tizio, che era lì nudo e tremante. Per cominciare minacciavo di picchiarlo, poi gli dicevo che potevamo trovare una soluzione. Raccattavo da terra i suoi pantaloni e prendevo il portafogli. Esaminavo le carte di credito, la patente, le foto della moglie e dei figli. Confiscavo tutto e gli dicevo: ‘O lavori per noi, o recapito il video a tua moglie e al tuo principale.’ Gli davo appuntamento per l’indomani al Club. E nei giorni successivi mi facevo trovare appostato ogni mattina e ogni sera davanti a casa sua. Quei poveracci erano terrorizzati. E rigavano dritto.”
“Quindi avevate un elenco di tutti i tizi che ricattavate?”
“No. Io gli facevo credere che conservavo tutto, ma mi sbarazzavo quasi subito dei portafogli e dei documenti. E nella videocamera non c’era mai il nastro. Così non rischiavamo di farci incriminare per ricatto. Per Jeremiah la cosa più importante era non lasciare tracce. Perciò mi servivo della mia piccola rete di galoppini scegliendone ogni volta uno diverso, per non destare sospetti. In ogni caso, una cosa è certa: il vostro Gordon non ha mai avuto a che fare con Fold.”
* * *
Al Grand Theater, la prova stava andando piuttosto male. Alice aveva una faccia da funerale, Dakota un’aria da cadavere.
“Cosa sta succedendo?” urlò Kirk Harvey, esasperato. “Tra quattro giorni c’è la prima e mi sembrate dei molluschi lessi. Non vi state impegnando! Se continuate così, vi sostituisco tutti quanti!”
Provò a riprendere ancora una volta la prima scena, ma Dakota era distratta.
“Dakota, cos’hai?” le chiese Harvey.
“Non lo so, Kirk. Non ci riesco.”
Scoppiò a piangere. Sembrava sconvolta.
“Oh, al diavolo!” gridò ancora Harvey, sfogliando le pagine del testo. “D’accordo, allora passiamo alla seconda scena. Charlotte, è la tua scena madre. Spero che tu sia in forma.”
Charlotte Brown, che aspettava seduta in prima fila, raggiunse Harvey sul palcoscenico.
“Sono pronta,” disse. “In cosa consiste la scena?”
“Si svolge in un night,” spiegò Harvey. “Tu fai la cantante.”
Venne approntata una nuova scenografia: qualche sedia, un tendaggio rosso sul fondale. Jerry interpretava un cliente seduto a sorseggiare un cocktail. Samuel Padalin faceva il proprietario del night, che, in disparte, osservava la cantante. Si udì una musica da piano-bar.
“Ottimo,” approvò Harvey. “La scenografia va bene. Ma il cambio dev’essere più veloce. Allora, Charlotte: ci sarà un microfono ad asta, entri in scena e canti. Canti divinamente, i clienti del bar sono pazzi di te.”
“D’accordo,” disse Charlotte, annuendo. “Ma cosa devo cantare?”
“Eccoti il testo,” rispose Harvey, porgendole un foglio.
Charlotte lesse e, scoprendo le parole della canzone, sgranò gli occhi.
“Sono la puttana del vicesindaco? Sarebbe questa la canzone?” urlò.
“Esatto.”
“Io questa roba non la canto. Ti ha dato di volta il cervello?”
“Allora ti caccio, cretina!” ribatté Harvey.
“Ti proibisco di usare questo tono con me!” gli intimò Charlotte. “Ti stai vendicando di noi, è così? Quindi il tuo presunto spettacolo eccezionale sarebbe questo? Vendicarti di una vita passata a rimuginare i tuoi rancori nei confronti di Ostrovski, di Gulliver e di me?”
“Non capisco di cosa stai parlando, Charlotte!”
“La danza dell’allocco? La puttana del vicesindaco? Ti sembra roba seria?”
“Se non ti piace, togliti dai piedi!”
Fu Michael Bird a informarci della situazione, mentre Anna, Derek e io stavamo rientrando da Ridgesport. Lo raggiungemmo nell’archivio del “Chronicle”.
“Charlotte ha cercato di convincere l’intera compagnia a ritirarsi dallo spettacolo,” ci spiegò Bird. “Alla fine hanno messo la questione ai voti, e tutti gli altri attori hanno deciso di restare.”
“E Charlotte?” chiese Anna.
“Resta anche lei. Kirk ha accettato di togliere la frase ‘Sono la puttana del vicesindaco.’”
“È pazzesco,” disse Derek. “Tra quella canzone e la Danza dei Morti, si direbbe che Harvey abbia allestito lo spettacolo solo per vendicarsi di quelli che all’epoca l’hanno umiliato.”
Ma a quel punto Bird ci mostrò la seconda scena, che aveva filmato furtivamente qualche ora prima, nella quale Charlotte interpretava la cantante di cui si erano invaghiti tutti i clienti del night.
“Non può essere un caso!” esclamò Derek. “Quello è il Ridge’s Club!” “Cos’è il Ridge’s Club?” chiese Bird.
“Era il night di Jeremiah Fold.”
Prima l’incidente di moto, poi il Club. Harvey non si era inventato quella roba – e non era nemmeno una coincidenza. Per giunta, da ciò che potevamo vedere, l’attore che faceva il cadavere nella prima scena era lo stesso che interpretava il proprietario del night nella seconda.
“La seconda scena è un flash-back,” disse Derek. “Quel personaggio è Jeremiah Fold.”
“Allora la soluzione del mistero è davvero in quello spettacolo?” chiese Bird, con un sussurro.
“Michael,” dissi, “non ho idea di cosa stia succedendo, ma ti chiedo di non perdere mai di vista Harvey.”
Volevamo parlare con Cody del testo di La Notte Buia in vendita nella sua libreria nel 1994. Visto che Anna non riusciva a contattarlo telefonicamente, andammo a cercarlo in negozio. Ma il commesso ci disse che non lo vedeva dal giorno prima.
Era molto strano. Anna propose di andare a casa di Cody. Appena arrivammo, notammo subito la sua macchina parcheggiata nel vialetto. Quindi Cody doveva essere in casa. Eppure, nonostante avessimo suonato ripetutamente il campanello, non venne ad aprirci. Anna abbassò la maniglia: la porta non era chiusa a chiave. Ebbi una sensazione di déjà-vu.
Entrammo in casa. C’era un silenzio di tomba. Le luci erano accese nonostante fosse pieno giorno.
Lo scoprimmo nel salotto.
Accasciato contro un tavolino, immerso in una pozza di sangue.
Cody era stato assassinato.