Jesse Rosenberg
Giovedì 24 luglio 2014
2 giorni prima dell’inaugurazione del festival
L’ex agente speciale dell’ATF Grace, che aveva ormai settantadue anni, conduceva una tranquilla vita da pensionato a Portland, nel Maine. Quando l’avevo contattato telefonicamente, si era mostrato subito interessato al mio caso. “Perché non ci vediamo?” mi aveva chiesto. “Devo assolutamente mostrarvi una cosa.”
Per evitarci di andare nel Maine, concordammo di incontrarci a metà strada, a Worcester, nel Massachusetts. Grace ci diede l’indirizzo di un piccolo ristorante di cui era cliente e dove nessuno ci avrebbe disturbato. Quando arrivammo, era già seduto davanti a una pila di pancake. Appariva dimagrito e invecchiato, aveva il volto disseminato di rughe, ma non era cambiato molto.
“Rosenberg e Scott, i poliziotti terribili del 1994!” esclamò sorridendo, appena ci vide. “Ho sempre pensato che le nostre strade si sarebbero incrociate di nuovo.”
Ci sedemmo di fronte a lui. Rivedendolo, ebbi la sensazione di ritrovarmi nel passato.
“E così vi interessate a Jeremiah Fold?” chiese.
Gli feci un riassunto particolareggiato della situazione, e lui disse: “Come le ho detto ieri al telefono, capitano Rosenberg, Jeremiah era un’anguilla. Sgusciante, imprevedibile, fulmineo, elettrico. Tutto quello che un piedipiatti può odiare.”
“Come mai l’ATF si interessava a lui?”
“A dire il vero, ci interessava solo indirettamente. La cosa che ci premeva di più erano le armi rubate all’esercito e rivendute nella regione di Ridgesport. Ci sono voluti mesi d’indagine prima di capire che il centro del traffico era quel bar. Una delle piste che seguivamo era Fold, per l’appunto. Alcuni informatori ci avevano detto che aveva vari intrallazzi. Poi ho capito che non era il nostro uomo, ma nelle settimane in cui l’avevamo tenuto d’occhio mi aveva lasciato di sasso: era un vero maniaco, organizzato in maniera incredibile. Alla fine ci siamo disinteressati completamente di lui. E una mattina di luglio del 1994 il suo nome è ricomparso all’improvviso.”
* * *
Posto d’osservazione dell’ATF, Ridgesport
Mattina del 16 luglio 1994
Erano le sette di mattina quando l’agente Riggs arrivò al posto d’osservazione dell’ATF per dare il cambio a Grace, che aveva fatto la notte.
“Per venire qui ho preso la Route 16,” disse Riggs. “C’è stato un brutto incidente. Si è schiantato un motociclista. Non immagineresti mai di chi si tratta.”
“Il motociclista? Non ne ho idea,” disse Grace, che non era in vena di giocare agli indovinelli.
“Jeremiah Fold.”
Grace lo guardò sbalordito.
“Jeremiah Fold è morto?”
“Quasi. Stando ai poliziotti, ne ha ancora per poco. È conciato malissimo. A quanto pare, quell’idiota guidava senza casco.”
Grace era perplesso. Fold era prudente e meticoloso. Non era certo il tipo da ammazzarsi come un cretino. C’era qualcosa che non quadrava. Quando uscì dal posto d’osservazione, Grace decise di fare un salto sulla Route 16. Sul luogo dell’incidente c’erano ancora due autopattuglie della stradale e un carro-attrezzi.
“Ha perso il controllo della moto,” gli spiegò uno degli agenti della stradale. “È finito fuori strada e ha sbattuto contro un albero. È rimasto per ore ad agonizzare in un fosso. Quelli dell’ambulanza hanno detto che era spacciato.”
“E, secondo voi, ha davvero perso il controllo della moto?” chiese Grace.
“Sì. In quel tratto non ci sono tracce di frenata. Come mai interessa all’ATF?”
“Quel tizio era un boss locale. Un tipo meticoloso. Non ce lo vedo ad andare a sbattere da solo.”
“In ogni caso, non abbastanza meticoloso da usare il casco,” commentò il poliziotto, pragmatico. “Pensa a un regolamento di conti?”
“Non ne ho idea,” rispose Grace. “C’è qualcosa che non mi quadra, ma non so cosa.”
“Se qualcuno avesse voluto ucciderlo, l’avrebbe fatto. Nel senso che gli avrebbe sparato o l’avrebbe investito con la macchina. Ma quel tizio è rimasto per ore ad agonizzare nel fosso: se l’avessero trovato prima, forse si sarebbe salvato. Siamo ben lontani dal delitto perfetto.”
Grace annuì e porse un biglietto da visita al poliziotto.
“Mi mandi una copia del verbale, per favore.”
“Senz’altro, agente Grace. Conti su di me.”
Grace si fermò ancora a lungo per esaminare il ciglio della strada. Gli agenti della stradale se n’erano già andati quando la sua attenzione fu attratta da un frammento di plastica scura e da qualche scheggia trasparente seminascosti nell’erba. Li raccolse: erano un pezzo di paraurti d’automobile e alcune schegge di un faro.
* * *
“C’erano solo quei quattro frammenti,” ci spiegò tra un boccone di pancake e l’altro. “Nient’altro. Il che significava o che erano lì da poco, o che qualcuno aveva ripulito quel tratto di strada durante la notte.”
“Qualcuno che avrebbe investito intenzionalmente Fold?” chiese Derek.
“Già. Il che spiegherebbe come mai non c’erano tracce di frenata. Dev’essere stato un urto violentissimo. Poi chi guidava l’auto ha raccolto i frammenti più grossi per non lasciare tracce e se l’è squagliata con una macchina dal cofano completamente sfondato, ma in grado di muoversi. Dopodiché avrà detto al carrozziere di avere investito un cervo, e nessuno gli ha chiesto nulla.”
“Ha approfondito quella pista?” domandai.
“No, capitano Rosenberg,” rispose Grace. “In seguito ho saputo che Fold non metteva mai il casco perché era claustrofobico. Quindi la sua estrema prudenza prevedeva qualche eccezione. E comunque quella faccenda non era di competenza dell’ATF. Con il carico di lavoro che avevo, ci mancava solo che mi occupassi di incidenti stradali. Ma il dubbio mi è rimasto sempre.”
“Quindi ha lasciato perdere?”
“Sì. Ma tre mesi dopo, verso la fine di ottobre del 1994, sono stato contattato dal comandante della polizia di Orphea, che aveva il mio stesso dubbio.”
“Sta parlando di Kirk Harvey?” chiesi, stupito.
“Sì, si chiamava proprio Kirk Harvey. Abbiamo fatto quattro chiacchiere su quella faccenda. Mi ha detto che mi avrebbe ricontattato, ma non l’ho più sentito. Ne ho dedotto che avesse lasciato perdere. Poi non ci ho pensato più neanch’io.”
“Quindi non ha mai fatto analizzare quei frammenti?” dedusse Derek.
“No, ma potete farli esaminare voi. Li ho conservati.”
Nello sguardo di Grace si era accesa una luce maliziosa. Dopo essersi asciugato la bocca con un fazzoletto di carta, ci porse un sacchetto di plastica. Dentro c’era un pezzo di paraurti nero e qualche scheggia di un faro. Grace sorrise e disse:
“Ora tocca a voi, signori.”
La giornata di viaggio per andare e tornare dal Massachusetts poteva essere definita un ottimo investimento: se Jeremiah Fold era stato assassinato, forse avevamo trovato il collegamento che cercavamo con la morte del sindaco Gordon.
* * *
Nel segreto del Grand Theater, assediato dalla folla e sorvegliato come un fortino, le prove continuavano, ma senza veri progressi.
“Per evidenti motivi di sicurezza, non posso dirvi altro sul testo,” spiegò Harvey ai suoi attori. “Vi darò le vostre parti la sera della prima, scena dopo scena.”
“La Danza dei Morti resterà?” chiese Gulliver, preoccupato.
“Ovviamente,” rispose Harvey. “E uno dei perni dello spettacolo.”
Mentre Kirk rispondeva alle domande della compagnia, Alice uscì furtivamente dalla sala. Aveva voglia di fumare una sigaretta. Raggiunse l’ingresso degli artisti, che dava su un vicolo cieco al quale era vietato l’accesso a giornalisti e curiosi. Lì nessuno l’avrebbe disturbata.
Si accese una sigaretta e si sedette sul ciglio del marciapiede. In quell’istante vide apparire un uomo con il pass della stampa al collo.
“Sono Frank Vannan, del ‘New York Times’,” si presentò.
“Come ha fatto ad arrivare fin qui?” chiese Alice.
“L’arte del giornalismo presuppone il fatto di infilarsi dove non è consentito. Recita nello spettacolo?”
“Sì, sono una delle attrici. Mi chiamo Alice Filmore.”
“Che ruolo interpreta?”
“Non è chiaro. Harvey, il regista, è stato molto vago sul contenuto dello spettacolo per evitare fughe di notizie.”
Il giornalista estrasse dalla tasca un taccuino e prese qualche appunto.
“Scriva quello che vuole,” gli disse Alice, “ma non citi il mio nome, per favore.”
“Non si preoccupi, Alice. Quindi neanche voi attori sapete cosa rivelerà questo spettacolo?”
“Ruota tutto intorno a un segreto. E l’importanza di un segreto, in fondo, è più in ciò che nasconde che in quello che rivela.”
“Cosa intende dire?”
“Consideri i componenti della compagnia: ognuno di loro nasconde qualcosa. Harvey, regista isterico dalla vita sentimentale fallimentare. Dakota Eden, consumata da un male di vivere distruttivo. Charlotte Brown, coinvolta non si sa bene fino a che punto in questa storia, che viene arrestata e poi rilasciata, e che – costi quel che costi – insiste per recitare in questo spettacolo. Perché? E poi ci sono Ostrovski e Gulliver, disposti a farsi umiliare pur di sfiorare con la punta di un dito una gloria fantasticata per un’intera vita. Per non parlare del direttore di una prestigiosa rivista letteraria newyorkese, che va a letto con una delle sue impiegate e si nasconde dalla moglie venendo qui. Se vuole il mio parere, Frank, la questione non è tanto scoprire cosa rivelerà questo spettacolo, quanto sapere cosa nasconde.”
Alice si voltò per raggiungere la porta, che aveva tenuto aperta con un mattone trovato lì vicino.
“Entri, se vuole,” disse al giornalista. “Troverà di che scrivere. Ma la prego di non dire a nessuno che sono stata io ad aprirle.”
“Stia tranquilla, Alice, nessuno risalirà a lei. È solo la porta di un teatro: potrebbe avermela aperta chiunque.”
Alice si affrettò a correggerlo:
“Questa è la porta dell’Inferno.”
* * *
Quel giorno, mentre Derek e io andavamo e tornavamo dal Massachusetts, Anna fece visita a Miranda Bird, la moglie di Michael Bird, l’ex Miranda Davis che aveva fatto da esca per Fold e Costico.
Miranda gestiva una boutique che si chiamava Keith & Danee e che si trovava sulla strada principale di Bridgehampton, accanto al bar Golden Pear. Quando Anna entrò, Miranda era sola nel negozio. La riconobbe subito e le sorrise, benché incuriosita dalla sua visita.
“Buongiorno, Anna, cerca Michael?”
Anna ricambiò con dolcezza il sorriso.
“In realtà sto cercando lei, Miranda.”
Quando le mostrò l’avviso di ricerca di persona scomparsa, il viso di Miranda si contrasse in una smorfia di sgomento.
“Non si preoccupi,” disse in tono rassicurante Anna. “Devo solo farle qualche domanda.”
Ma Miranda era sbiancata.
“Usciamo da qui,” disse, “andiamo a fare quattro passi: non voglio che qualche cliente mi veda in queste condizioni.”
Chiuse la boutique e salì in macchina con Anna. Proseguirono sulla strada principale verso East Hampton, poi imboccarono un viottolo sterrato fino a ritrovarsi sul limitare della foresta, accanto a un campo fiorito. Miranda scese dall’auto come se avesse la nausea, si inginocchiò sull’erba e scoppiò a piangere. Anna si accoccolò accanto a lei e cercò di calmarla. Passarono diversi minuti prima che Miranda riuscisse a parlare.
“Mio marito, i miei figli... Non sanno niente. Non mi rovini, Anna. La prego, non mi rovini.”
Al pensiero che il suo segreto potesse essere scoperto dalla famiglia, Miranda ricominciò a singhiozzare.
“Non si preoccupi, Miranda, nessuno saprà niente. Ma ho assolutamente bisogno che mi parli di Jeremiah Fold.”
“Jeremiah Fold? Oh, mio Dio, speravo di non sentire mai più quel nome. Perché vuole che le parli di lui?”
“Perché pare che fosse coinvolto in qualche modo nel quadruplice omicidio del 1994.”
“Jeremiah?”
“Sì, so che può sembrare strano, visto che è morto prima del massacro, ma il suo nome è emerso durante l’indagine.”
“Cosa vuole sapere?” chiese Miranda.
“Innanzitutto, come mai si è ritrovata alla mercé di Fold?”
Miranda guardò Anna con aria triste. Dopo un lungo silenzio, le confidò:
“Sono nata il 3 gennaio 1975. Ma ho cominciato a vivere il 16 luglio 1994, il giorno in cui ho saputo che Jeremiah Fold era morto. Jeremiah era al tempo stesso l’uomo più carismatico e il più crudele che abbia mai conosciuto. Di una perversità rara. Niente a che vedere con l’idea che ci facciamo del delinquente freddo e brutale: lui era molto peggio. Un’autentica forza del male. L’ho conosciuto nel 1992, dopo essere scappata di casa. All’epoca avevo diciassette anni e odiavo il mondo intero per motivi che oggi non so più spiegarmi. Ero in guerra con i miei genitori, e una sera me la sono svignata. Era estate, faceva caldo. Per qualche notte ho dormito in strada, poi due tizi che avevo conosciuto per caso mi hanno convinta ad andare a stare in una casa occupata: un vecchio edificio abbandonato che era diventato una specie di comunità hippy. Mi piaceva quella vita spensierata. Avevo con me qualche dollaro, quanto bastava per mangiare e vivere decentemente. Fino alla sera in cui tre ragazzi della comunità mi hanno derubata e picchiata. Sono scappata in strada, e c’è mancato poco che m’investisse un tizio che passava con la moto. Non aveva il casco: era giovanissimo, molto bello, con un abito di ottima fattura e scarpe eleganti. Ha visto la mia espressione terrorizzata e mi ha chiesto cos’avessi. E poi ha pestato i tre che mi stavano inseguendo. Per me è stato come se avessi incontrato il mio angelo custode. Quel ragazzo mi ha fatta salire sulla moto e mi ha detto che mi avrebbe portata a casa. Andava piano. Mi ha detto: ‘Non hai il casco ed è pericoloso.’ Era un tipo molto prudente.”
* * *
Agosto 1992
“Dove ti porto?” chiese Jeremiah a Miranda.
“Non ho un posto dove andare,” rispose lei. “Puoi ospitarmi per qualche giorno?”
Jeremiah la portò a casa sua e le disse che poteva stare nella stanza degli ospiti. Era da settimane che Miranda non dormiva in un vero letto. La mattina dopo parlarono a lungo.
“Miranda,” le disse Jeremiah, “hai solo diciassette anni. Devo riportarti a casa dei tuoi.”
“Ti prego, lasciami restare ancora qualche giorno. Giuro che mi farò piccola piccola.”
Alla fine Jeremiah accettò. Le concesse due giorni, che poi diventarono un numero indefinito. Permise a Miranda di accompagnarlo nel suo night-club, ma proibì che le servissero alcolici. E visto che voleva lavorare per lui, la assunse come addetta all’accoglienza. Miranda avrebbe preferito lavorare in sala come cameriera, ma Jeremiah non voleva: “Per la legge non puoi servire alcolici.” Quell’uomo la affascinava. Una sera cercò di baciarlo, ma lui la respinse. “Miranda, hai diciassette anni. Potrei avere grane,” le disse.
Poi, stranamente, cominciò a chiamarla Mylla. Lei non sapeva perché lo facesse, però le piaceva che le avesse dato un nomignolo. Le sembrava che così avesse un rapporto più privilegiato con lui. Dopo qualche tempo Jeremiah le chiese di fargli alcune commissioni. Doveva portare dei pacchetti a persone che non conosceva e andare in certi ristoranti a ritirare grosse buste, per poi consegnargliele. Un giorno Miranda si rese conto che in quei pacchetti c’era droga e in quelle buste denaro, e capì qual era la vera attività di Jeremiah. Amareggiata da quella scoperta, andò subito a parlargli.
“Pensavo che tu fossi una persona perbene, Jeremiah.”
“Infatti lo sono!”
“La gente dice che sei un trafficante di droga. Ho aperto uno di quei pacchetti...”
“Non avresti dovuto farlo, Mylla.”
“Io non mi chiamo Mylla!”
Sul momento, Jeremiah le fece credere che non le avrebbe più affidato quelle commissioni. Ma già l’indomani ricominciò a darle ordini: “Mylla, va’ a portare questo pacchetto a Tizio!” Miranda ebbe paura. Decise di scappare. Prese il pacchetto come se volesse obbedire, ma, anziché portarlo all’indirizzo indicato, lo buttò in un cassonetto. Poi salì su un treno. Voleva tornare dai suoi, a New York. Voleva ritrovare la dolcezza di una casa. Arrivata a New York, con i soldi che le restavano prese un taxi e si fece lasciare davanti alla sua vecchia casa. Appena la vide, si sentì pervadere da una profonda felicità. Era mezzanotte. La strada appariva tranquilla, deserta e addormentata in quella bella notte d’autunno. All’improvviso, lo vide. Seduto sui gradini della veranda. Jeremiah la guardava come se volesse incenerirla. Miranda fece per chiamare aiuto e tentò di scappare, ma alle sue spalle apparve Costico, lo scagnozzo di Jeremiah. I due le tapparono la bocca, la caricarono in macchina e la portarono al Ridge’s Club. Per la prima volta la fecero entrare nella stanza che chiamavano “l’ufficio”. Jeremiah voleva sapere dove fosse il pacchetto che le aveva dato. Miranda piangeva. Gli confessò che l’aveva buttato. Riconobbe di avere sbagliato e promise di non farlo più. Jeremiah continuava a ripeterle: “Tu non mi lasci, Mylla, chiaro? Tu mi appartieni!” Lei, piangendo, si mise in ginocchio, atterrita e confusa. Alla fine Jeremiah le disse: “Ti punirò, ma senza sfigurarti.” Dapprima Miranda non capì. Poi Jeremiah l’afferrò per i capelli e la trascinò verso un catino pieno d’acqua. Le immerse la testa nel catino e gliela tenne a mollo per alcuni secondi. Miranda credette di morire. Quando la punizione finì, mentre lei piangeva e tremava sdraiata sul pavimento, Costico le scagliò in faccia una manciata di foto dei suoi genitori. “Se fai anche un solo passo falso, giuro che li ammazzo,” le disse.
* * *
Miranda interruppe il suo racconto, come se non riuscisse più ad andare avanti.
“Mi dispiace farle rivivere quei momenti,” le disse Anna, posando una mano sulle sue. “Poi cos’è successo?”
“È cominciata una nuova vita al servizio di Jeremiah. Mi ha piazzata in una stanza di un lurido motel sulla Route 16. Un posto che in pratica era una specie di bordello.”
* * *
Settembre 1992
“Ecco la tua nuova casa,” disse Jeremiah a Miranda, entrando nella stanza del motel. “Qui starai meglio, potrai entrare e uscire quando ti pare.”
Miranda si sedette sul letto.
“Voglio tornare a casa mia, Jeremiah.”
“Non ti trovi bene, qui?”
Le aveva parlato con dolcezza. Era tipico della crudeltà di Jeremiah: un giorno la maltrattava e il giorno dopo la portava a fare acquisti ed era gentile come quando si erano conosciuti.
“Vorrei andarmene,” ripeté Miranda.
“Sei libera di farlo. La porta è aperta. Ma non vorrei che succedesse qualcosa ai tuoi genitori” disse Jeremiah, uscendo.
Miranda guardò a lungo la porta della stanza. Doveva semplicemente aprirla e andare a prendere il pullman per tornare a New York. Ma era impossibile. Si sentiva totalmente prigioniera di quell’uomo.
Jeremiah la costrinse a riprendere le consegne dei pacchetti. Poi, avendola ormai in pugno, decise di coinvolgerla nel reclutamento dei galoppini. Un giorno la chiamò nell’“ufficio”. Miranda entrò tremando, convinta che le toccasse il catino. Ma Jeremiah sembrava di buon umore.
“Ho bisogno di una nuova direttrice delle risorse umane,” le disse. “L’ultima è appena morta di overdose.”
Il cuore di Miranda batteva all’impazzata. Che altro voleva da lei Jeremiah?
“Dobbiamo incastrare i pervertiti che vogliono scoparsi una minorenne,” le spiegò. “E la minorenne sarai tu. Non preoccuparti, nessuno ti farà niente.”
Il piano era semplice: Miranda doveva mettersi a battere nel parcheggio del motel e, appena si avvicinava un cliente, portarselo in camera. Lì gli avrebbe chiesto di spogliarsi, mentre lei faceva altrettanto, per poi confessargli di essere minorenne. Il cliente le avrebbe sicuramente risposto che per lui non era un problema, anzi, e a quel punto Costico sarebbe saltato fuori dal suo nascondiglio e si sarebbe occupato del resto.
E fu quello che fecero. Miranda accettò perché non aveva scelta, ma anche perché Jeremiah le promise che dopo avere accalappiato tre galoppini sarebbe stata libera di andarsene.
Adempiuta la sua parte dell’accordo, Miranda andò da Jeremiah e pretese che le consentisse di tornare a casa, ma si ritrovò di nuovo con la testa nel catino d’acqua ghiacciata. “Tu sei una delinquente, Mylla,” le disse Jeremiah, mentre lei cercava di riprendere fiato. “Incastri dei poveracci e li ricatti! Quelli ti hanno vista, e magari sanno pure il tuo vero nome. Tu non vai da nessuna parte! Resti qui con me.”
La vita di Miranda diventò un inferno. Quando non era impegnata a consegnare pacchetti, faceva da esca nel parcheggio del motel, e ogni sera si ritrovava all’ingresso del Ridge’s Club, dove i clienti l’apprezzavano moltissimo.
* * *
“Quante persone avete incastrato in quella maniera?” domandò Anna.
“Di preciso non lo so. Ma nei due anni in cui è andata avanti quella storia, saranno state decine. Jeremiah rinnovava spesso la sua batteria di galoppini. Non voleva servirsene troppo a lungo, perché temeva che venissero identificati dalla polizia. Faceva di tutto per confondere le acque. Quanto a me, avevo paura, ero depressa e infelice. Non sapevo cosa mi sarebbe successo. Le ragazze del parcheggio dicevano che quelle che avevano fatto da esca prima di me erano tutte morte di overdose o si erano suicidate.”
“Una tizia del motel ci ha parlato di una lite tra Costico e un potenziale galoppino nel gennaio del 1994. Uno che non voleva farsi incastrare.”
“Sì, ricordo qualcosa,” disse Miranda.
“Vorremmo risalire a quel tizio.”
Miranda spalancò gli occhi.
“È successo vent’anni fa, non ho ricordi precisi. Che c’entra con la vostra indagine?”
“Pare che quell’uomo avesse spruzzato verso Costico uno spray urticante. Anche il tizio che stiamo cercando è un estimatore dello spray urticante. A questo punto non credo che si tratti di una coincidenza. Devo ritrovare quell’uomo.”
“Purtroppo non mi ha detto il suo nome e temo di non ricordare più la sua faccia. Ripeto: sono passati vent’anni.”
“Stando alle mie informazioni, quell’uomo sarebbe scappato dal motel nudo. Ricorda di avere notato qualche segno particolare sul suo corpo? Qualcosa che le sia rimasto impresso?”
Miranda chiuse gli occhi come per frugare meglio nella memoria. A un tratto ricordò qualcosa.
“Aveva un grande tatuaggio tra le scapole. Un’aquila in volo.”
Anna lo scrisse subito sul taccuino.
“Grazie, Miranda. È un’informazione che potrebbe rivelarsi preziosissima. Ho un’ultima domanda.”
Mostrò a Miranda alcune foto del sindaco Gordon, di Ted Tennenbaum e di Cody Illinois; poi le chiese:
“Qualcuno di questi tre uomini era un galoppino di Jeremiah?”
“No,” rispose risolutamente Miranda. “E a maggior ragione non lo era Cody. Che uomo delizioso!”
“Che cosa ha fatto dopo la morte di Jeremiah?” le chiese Anna.
“Sono tornata a casa dei miei a New York. Ho finito il liceo e sono andata all’università. A poco a poco mi sono ricostruita. Poi, dopo qualche anno, ho conosciuto Michael. È stato merito suo se ho ritrovato la forza di vivere. È un uomo fuori dal comune.”
“È vero,” disse Anna. “Lo apprezzo molto.”
Le due donne tornarono a Bridgehampton, e mentre Miranda stava per scendere dalla macchina, Anna le chiese:
“È sicura di farcela?”
“Sì, grazie.”
“Miranda, un giorno dovrà raccontare tutto a suo marito. I segreti finiscono sempre per essere scoperti.”
“Lo so,” disse mestamente Miranda.