Derek Scott

12 novembre 1994. Un mese dopo il nostro terribile incidente d’auto ricevetti la medaglia al valore. Nella palestra della centrale regionale, davanti a un pubblico di agenti, ufficiali, giornalisti e invitati, fui decorato dal comandante della polizia di stato in persona, venuto apposta per l’occasione.

In piedi sul palco, con un braccio al collo, stavo a capo chino. Non volevo né quella medaglia né quella cerimonia, ma il maggiore McKenna aveva insistito dicendo che i superiori avrebbero preso molto male un mio rifiuto.

Jesse era in fondo alla sala, in disparte. Non aveva voluto occupare il posto che gli era stato riservato in prima fila. Era sconvolto. Non riuscivo neanche a guardarlo.

Dopo un lungo discorso, il comandante si avvicinò e mi appuntò solennemente la medaglia al petto, dichiarando:

“Sergente Derek Scott, per il coraggio dimostrato nell’esercizio delle sue funzioni, e per avere salvato una vita rischiando la propria, le conferisco questa decorazione. Lei è un esempio per la polizia.”

Dopo queste parole, il comandante mi fece il saluto militare mentre la banda suonava una marcia trionfale. Rimasi impassibile, con lo sguardo fisso. A un tratto vidi che Jesse piangeva e non riuscii a trattenere le lacrime. Scesi dal palco e corsi verso la porta degli spogliatoi. Mi strappai la medaglia dal petto e, con un gesto di stizza, la scagliai sul pavimento. Poi mi lasciai cadere su una panca e scoppiai a piangere.