Epilogo
Tratto da: La Torre di tutti, i travagli di uno
Il mio vecchio nome si è guastato, come un uovo incrinato, per essere stato esposto all’aria. Thomas Senlin è stato troppo spesso sulla bocca di personaggi arroganti e pericolosi. Pronunciarlo, anche in terre straniere, potrebbe far suonare campanelli d’allarme che preferirei tacessero. Per questo mi serve un nuovo nome, e ne ho scelto uno che è un’imprecazione universale: sono Tom del Fango, capitano della Nube di pietra.
Mentre ci mettiamo in viaggio, è richiesta una sincera valutazione della nostra situazione e delle scorte. L’aeronave è danneggiata ma in grado di navigare, e l’equipaggio è altrettanto imperfetto.
Il mio primo ufficiale è una donna dal carattere e dalla forza eccezionali, ma Edith, ho il sospetto, è ancora tormentata, nonostante l’elaborata fasciatura delle sue ferite. Il suo recente passato è un enigma, e temo che nasconda qualcosa di fondamentale e forse di pericoloso per tutti noi.
Adam, che dovrà diventare il nostro ingegnere, sarà un amico leale finché sarà in gioco il benessere di sua sorella. Non gli serbo rancore, ma la sua incapacità di fidarsi rende la sua devozione per lei particolarmente infida. Non condividerà le sue riflessioni né divulgherà le decisioni in cui Voleta sarà coinvolta. Tradirebbe il mondo per proteggerla.
Se c’è una scintilla splendente e affidabile a bordo di questa nave, è proprio lei. È più coraggiosa e capace di quanto ammette suo fratello. Vivrà lassù sul sartiame, credo. Si è già arrampicata come uno scoiattolo su ogni superficie della nave: si è lasciata penzolare dall’ancora ed è salita in cima alla collina di seta del pallone. È nata per fare la vedetta.
Iren, naturalmente, è l’aiutante di bordo. È l’unica a cui affiderei il cannone, e la considero la nostra principale difesa ed esperta di tattica. Non sono del tutto sicuro che intendesse seguirci, o se sia solamente stato il destino a farla finire con noi. Comunque, sono contento che ci sia.
Il nostro problema più immediato sono le scorte. Prima che la strappassimo via dal porto, la nave era stata spogliata di tutto. Ci manca l’equipaggiamento per qualsiasi missione e per giunta siamo nullatenenti. Abbiamo poco carburante e, dalla nostra partenza, abbiamo mangiato solo carne di piccione. Sotto molti aspetti, da quando siamo scappati siamo più disperati di prima, il che spiega bene perché così pochi ci provino. La sottomissione dà certezze. La libertà è piena di azzardi. Ma credevo davvero in quello che ho detto a Edith la sera prima dell’inizio della nostra odissea: se vogliamo sopravvivere, dobbiamo condividere i nostri fardelli.
Non appena saremo fasciati, nutriti e la nostra sopravvivenza non sarà più in pericolo, intendo procedere verso il Regno di Pelphia, sede della Casata di Pell. È là che mi aspetta Marya, ne sono certo.
La dose di Chrom Bianco deve ancora defluire dal mio organismo, ma spero che gli effetti si plachino presto. Devo ammettere che sto scrivendo in presenza del fantasma di Marya, che appare con una certa regolarità. È vestita come sul treno, camicia bianca e casco coloniale rosso. Siede con la mano appoggiata sulla mia: la pelle immacolata come un giglio. È una cosa che mi distrae moltissimo ed è pericolosamente nostalgica. Devo ricordare a me stesso che Marya non sarà stata immune ai cambiamenti che la Torre opera.
Forse si sta atteggiando a moglie di un altro uomo, o potrebbe essere finita in rovina, come è quasi successo a Voleta, o mutilata come la povera Edith.
Qualunque sarà la condizione di Marya, o la mia, la troverò, e la riporterò a casa.
Tom del Fango, capitano della Nube di pietra