Capitolo due
I compratori più smaliziati si daranno alla pazza gioia nel Mercato che avvolge la base della Torre. Non abbiate paura di allontanarvi da una contrattazione: una piccola ritirata può risultare un affare migliore.
Guida per tutti alla Torre di Babele, I, IV
Senlin sedeva su un masso di arenaria vicino alla base della Torre, a mangiare i pistacchi comprati per colazione. Le labbra screpolate gli facevano male. Uccellini marroni rovistavano fra i gusci che gettava a terra, piluccando le scaglie di semi. Erano di una specie che non conosceva. Qualche ora prima si era comprato da bere: un solo mestolo di acqua gli era costato quasi quanto un bicchiere di brandy – di quello buono – a Isaugh. Aveva già sete.
Aveva portato con sé un piccolo taccuino su cui annotare le sue impressioni, come un qualsiasi antropologo amatoriale, ma, da quando era sceso dal treno, non l’aveva ancora aperto. Non desiderava raccontare nulla di quel che stava capitando. La sua copia della Guida per tutti alla Torre di Babele gli penzolava in mano, spalancata. Accanto a sé aveva appoggiato un fagotto disordinato di indumenti femminili. Era stordito dalla stanchezza: gli tremavano le dita. Era certo che se si fosse steso sulla roccia scaldata dal sole e avesse chiuso gli occhi, si sarebbe addormentato in un istante. Temeva che succedesse.
Da quando erano scesi dal treno erano passati due giorni: due giorni da quando aveva visto la Torre per la prima volta, attraverso i teloni, due giorni da quando sua moglie si era allontanata sorridente per andare in cerca di un vestitino. Qualcosa di scandaloso.
La Torre di Babele incombeva davanti a lui come il pendio di un imponente altopiano, una parete di roccia che si innalzava senza una fine apparente. Il livello inferiore non era interrotto né da finestre né da sporgenze, a eccezione dell’ingresso ad arco che si spalancava attorno a una galleria immersa nell’ombra, a un centinaio di metri di distanza. Più su, Senlin individuò alcune strutture che sporgevano come spine dal fusto di una vecchia pianta di rose.
A quelle spine erano aggrappate delle aeronavi: la distanza rendeva le loro navicelle simili ad afidi. Aeroscali, ipotizzò. Aveva letto che molti dei livelli della Torre, noti anche come Regni Circolari, possedevano diversi porti di quel genere. Se solo avesse viaggiato con Marya a bordo di uno di quei mezzi! Muoversi via aria, però, era una spesa insostenibile: due biglietti costavano quasi come lo stipendio di un anno. Peggio ancora, Senlin tendeva a non stare bene durante la navigazione. Gli abitanti di Isaugh spesso lo canzonavano per questo: il preside del villaggio dei pescatori fa sentire la campanella a tutti, ma non regge i flutti.
Non se l’era sentita di passare il viaggio di nozze sporto dal parapetto di un’aeronave a disseminare il contenuto del suo stomaco sul paesaggio sottostante. Inoltre, raggiungere a piedi la loro destinazione finale, i Bagni, era parte dell’avventura programmata e Marya ne era entusiasta.
Una presa di coscienza improvvisa lo fece sobbalzare. Per poco non cadde dal masso su cui era appollaiato. Il sacchetto di carta con i pistacchi gli scivolò di mano e rotolò a terra: i gusci pallidi si sparpagliarono in ogni direzione sull’argilla rossa del suolo.
Prima ancora di controllare sapeva che sarebbero stati al loro posto, eppure cercò freneticamente nella borsa a tracolla, tra le penne di scorta, la spazzola per abiti e le cartoline vuote, finché individuò la causa della sua preoccupazione. Estrasse i due biglietti del treno.
Aveva il biglietto di ritorno di Marya.
Si era solo momentaneamente distratto per la perdita del bagaglio della moglie e si era precipitato attraverso la calca di turisti e di gente che mercanteggiava senza avere idea della direzione presa dai ladri. Non aveva impiegato molto a rassegnarsi: il baule era perduto. Aveva fatto ritorno alla bancarella di calze, quasi sicuro che fosse la stessa presso cui si erano fermati poco prima, e aveva trascorso lì il primo pomeriggio e la prima notte della loro luna di miele a Babele, da solo, a dondolarsi avanti e indietro sui talloni. Era certo che Marya avrebbe ritrovato la strada del ritorno. Aveva cercato di restare calmo e razionale, a tratti addirittura ottimista. Quello non era un inconveniente importante. Magari era solo un’avventura, di quelle che trasformavano le vacanze in storie piacevoli da raccontare. Lui e la moglie si sarebbero rincontrati.
Nel corso della notte, però, aveva visto le bancarelle che venivano ritirate una a una, la merce portata via con muli e cammelli, su slitte e carretti. Erano arrivati nuovi mercanti. Avevano montato nuovi tendoni e tavoli, cambiando la mappa delle stradine tra i venditori e persino la forma dei ritagli di cielo visibili. All’improvviso aveva capito perché la Guida per tutti non includeva nessuna mappa del Mercato. Sarebbe stato come tracciare un diagramma del tramonto dell’indomani. Il Mercato non smetteva mai di mutare. Quando il banco di calze dove avevano promesso di ritrovarsi si era trasformato in uno in cui vendevano lampade a petrolio, aveva compreso che Marya non avrebbe mai trovato la strada per tornare da lui. Non poteva più attendere senza fare niente.
Il giorno seguente aveva intrapreso una ricerca sistematica, cominciando con quanto rimaneva della parte di Mercato dedicata all’abbigliamento dove Marya era scomparsa. Aveva percorso meglio che poteva una spirale in espansione, comprando dai mercanti, a intervalli regolari, sottovesti di seta o un paio di calze: piccole cose, ma sufficienti per avere la loro attenzione quanto bastava per chiedere se avessero visto, il giorno prima, una giovane donna con un casco coloniale rosso. Quantomeno era contento di poterla descrivere con facilità: una donna con un casco coloniale rosso.
Era stata più furba e prudente di quanto la riteneva Senlin.
Dopo una giornata trascorsa in quel modo, aveva accumulato un imbarazzante fagotto di indumenti femminili, ma nessuna notizia di Marya. A un certo punto i negozianti di abiti avevano cominciato a trasformarsi in vasai e i tavoli con i tessuti erano stati sostituiti da esposizioni di terrecotte e porcellane.
Dove le tende e i teloni erano più radi, Senlin si arrampicava su barilotti e casse per osservare la folla, certo che Marya spiccasse, vivida come un cardinale rosso su un albero. Ma in quella calca era impossibile vedere distintamente qualcuno. Quasi inconsciamente la sua ricerca aveva iniziato a portarlo più vicino alla Torre, più lontana di quanto gli era sembrata in un primo momento. O forse era stato lui ad allontanarsene. Non poteva esserne sicuro.
Con il passare delle ore della seconda notte, Senlin era diventato più audace, meno controllato. Gironzolava con noncuranza, gridando il nome della moglie. Quando vedeva anche solo un barlume di rosso, si avventava su chioschi e commercianti e spingeva via i compratori che indugiavano urlando senza fiato: «Marya! Marya!», solo per scoprire un uomo con un fez rosso, o un ragazzo con una lanterna rossa di carta in cima a un bastone, o una coperta rossa che faceva capolino dalla sella di un cavallo.
Non era abituato a essere in preda al panico, né sapeva come reagire alla disperazione. La luna di miele era rovinata, poco ma sicuro. Avrebbero dovuto inventare una qualche bugia colorita da raccontare ai loro amici, e lui, naturalmente, avrebbe dovuto farsi perdonare con un fine settimana tranquillo in un cottage di campagna, ma per il resto del loro matrimonio Marya avrebbe ricordato che tremenda prova era stato il viaggio di nozze. Era un inizio infausto.
Adesso ovunque guardasse notava gruppi di persone legate insieme. Ogni movimento tra la folla era reso più complicato dalla ragnatela di guinzagli. Perché la Guida per tutti aveva trascurato di menzionare quella piccola perla di saggezza? Portati una buona corda.
Senlin infilò i biglietti tra le pagine della Guida, maledicendosi per essere stato così miope da tenerli entrambi. Si chiese se Marya avesse denaro a sufficienza per comprare un nuovo biglietto e fece i conti a mente. Lui aveva sette mine, sedici shekel e undici penny e, a meno che non fosse stata rapinata, lei doveva avere più o meno lo stesso. Un biglietto per Isaugh, anche di seconda classe, costava almeno dieci mine. No, non aveva abbastanza soldi. Marya era bloccata lì.
Un anziano rinsecchito, calvo e a torso nudo, piegato in due dal peso di un sacco, superò barcollando il masso sui cui Senlin era di vedetta. Rivoli neri gli scorrevano sulla schiena, nei punti in cui il sudore si mischiava al carbone che trasportava. Il vecchio schiavo, malfermo e ricurvo, guardava i tacchi degli stivali del turista ben vestito che gli stava davanti. Entrambi facevano parte di una colonna di viaggiatori che fluiva verso l’ingresso alla base della Torre. Per il resto, lo spazio attorno all’enorme costruzione era assolutamente deserto. Una terra di nessuno che si estendeva per un’ottantina di metri. Senlin non riusciva a immaginare perché quello spazio venisse lasciato vuoto mentre il Mercato alle sue spalle era intasato di gente.
«Ti sei perso?» chiese un giovane in piedi alla base del masso.
«Perché me lo domandi?» disse Senlin. Il giovane strizzava gli occhi nella luce del sole, i capelli neri e folti brillavano, lucidi di olio. Aveva le spalle larghe, la bassa statura e la vita stretta tipiche di un acrobata, e la carnagione olivastra faceva risaltare le pagliuzze dorate nei suoi occhi.
«La maggior parte della gente non bighellona nei Confini. La pietra su cui sei seduto…»
«È sacra?»
«Non più di una pietra tombale. È caduta qualche giorno fa su un turista.»
«Caduta da dove?» si informò Senlin, sbigottito.
Il giovane si limitò a indicare in alto.
Consapevole di dare troppo nell’occhio, Senlin scese lungo la superficie levigata del masso. «Non capisco» disse, spolverandosi le natiche e sistemandosi la giacca. «La Torre di Babele è la costruzione più sicura del mondo. Sorge su profonde fondamenta di roccia. Non lascia cadere massi come fa una quercia con le ghiande. È un miracolo di ingegneria!» Agitò la sua Guida per tutti in direzione del giovane, come se il libro fosse la prova della sua affermazione.
«Oh, è un miracolo, certo. Ma a volte scarica un piccolo miracolo su di noi» rispose il giovanotto. «Non importa se qualcosa precipita dal secondo anello o dal ventiduesimo. Si schianta sullo stesso terreno: i Confini. Se fossi in te non ci pianterei la tenda.»
Quella scoperta non combaciava per nulla con gli studi di Senlin, né con quanto aveva insegnato della Torre ai suoi alunni, in quelle che erano da sempre le sue lezioni preferite. Aveva disegnato schemi della Torre e della rete ferroviaria che si irradiava da essa. Aveva fatto conoscere ai suoi studenti l’oscura storia della struttura e i venerabili storici che dibattevano sulla sua età, sugli architetti delle origini, sulle macchinazioni al suo interno e sul suo scopo. Aveva addirittura parlato loro dei Bagni, celebri per le stazioni termali terapeutiche, dove aveva promesso di portare Marya. «Ho letto decine di descrizioni della Torre. Non ho mai sentito parlare dei Confini.»
«Forse i tuoi libri non sono aggiornati.» Il giovane mutò espressione quando Senlin non ricambiò il suo sorriso. «Mi chiamo Adamos Boreas. Puoi chiamarmi Adam.»
Senlin gli strinse la mano solida e si presentò.
Il tono maturo e la sicurezza del giovane erano quasi disarmanti. Benché la barba fosse solo ancora un miscuglio di lanugine e peli più robusti, parlava come un uomo fatto.
«Immagino ti occupi del commercio di seta.» Adam fece un cenno verso l’involto di indumenti femminili ancora appoggiato in cima al macabro masso. Dall’apertura del pacchetto penzolavano delle calze di seta.
Senlin provò un fremito di agitazione mentre raccoglieva il fagotto, imbarazzo che peggiorò quando affermò: «Sono per mia moglie».
«Dov’è tua moglie?» domandò Adam, allungando il collo con fare indagatore.
La lingua di Senlin era secca e dura come una cinghia di cuoio. Se avesse deglutito avrebbe finito per vomitare, ne era certo. Avrebbe pagato una fortuna per qualcosa da bere, eppure la confessione bloccata nella sua gola rigonfia era ancora peggio della sete. Si sentiva come al primo giorno di scuola davanti a una classe: un ciarlatano. Che razza di marito perde la moglie?
Tirando giù il fagotto dal masso e stringendoselo sotto il braccio, squadrò Adam con un bizzarro sorriso avvilito e disse: «È strano che nomini mia moglie. A quanto pare, io l’ho smarrita».