Capitolo quindici

Non riesco a smettere di pensare alla sfacciata donna bionda che ha cercato di ricattarmi. Doveva sentirsi proprio furba. Credeva davvero di poter ricavare una fortuna da me e riscattare la sua vita. Non era un cattivo piano. Però era condannata dalla sua irrilevanza, dall’ignoranza e dalla speranza. E per me potrebbe non essere differente.

La Torre di tutti, i travagli di uno
T. Senlin

Senlin non riusciva a vedere niente oltre la bolla di luce arancione. Un’eco impaziente rispondeva al rumore dei loro piedi che avanzavano. Si sentiva sepolto nel buio, a chilometri di distanza da qualunque cosa familiare. Dopo una quarantina di metri giunsero a un muro uniforme come sabbia bagnata, a eccezione di una porta di ferro nero. Iren appese la lampada a un paletto ed estrasse un anello di chiavi universali da sotto il grembiule di cuoio. Le passò in rassegna, trovò quella che cercava, la inserì e spalancò la porta.

Lo spazio sull’altro lato avrebbe potuto contenere l’intero scalo del porto. Un tempo l’edificio doveva essere stato una fabbrica o un magazzino, ma non c’erano né macchinari né scaffali. Era vuoto, a parte la casa.

Nel bel mezzo del pavimento sorgeva un’idilliaca costruzione in pietra, fiera e placida, come se avesse avuto ogni diritto naturale di essere lì. Ma quanta ricchezza e forza di volontà dovevano essere servite per mettere in piedi una cosa simile, che impresa! Tranne il comignolo di mattoni, fragile e bizzarro, che si allungava fino alla sommità del capannone, la casa era piuttosto pittoresca. I timpani erano stati ridipinti da poco e l’intonaco tra le pietre risaltava bianco come meringa. Ogni finestra sfavillava di luce calda. Dietro le tende, che si arricciavano e attorcigliavano per fare spazio a sguardi curiosi, si muovevano delle sagome. Imposte e grondaie erano collocate alla perfezione, benché a Senlin sfuggisse il motivo per cui una casa, dentro a un magazzino, dentro a un Regno Circolare, dentro alla Torre, avesse bisogno di cose simili. Era come essere arrivati finalmente alla matrioska più piccola della serie.

Ebbe a malapena il tempo di metabolizzare la sorpresa che Iren lo spinse più vicino alla casa. La porta d’ingresso era ornata da una ghirlanda sempreverde, un gingillo la cui importazione non doveva essere stata per nulla economica. Dopo che ebbe bussato una sola volta la porta si spalancò e l’amazzone venne assalita da un branco di bambini. Le si lanciarono addosso. Le si arrampicarono sulle gambe e tirarono la catena alla vita, strillando senza sosta. Iren si abbassò e, parlando in un delicato falsetto, li salutò per nome uno a uno. I bambini, che sembravano andare dai tre agli undici anni, erano allegri, chiassosi e indossavano eleganti vestitini colorati. Nessuno era alto più di un metro e trenta, e tutti avevano una familiare corona di capelli scuri arruffati.

Dietro di loro, nella sua casa, c’era Finn Goll, le mani infilate con fierezza nelle tasche di una giacca da camera di velluto a coste. I bambini riacquistarono le buone maniere e aprirono un passaggio per gli ospiti. L’atrio profumava di pane fresco e di legna che ardeva nel camino. Una donna graziosa e paffuta piegava e ripiegava, irrequieta, un asciugamano ornamentale su una soglia, alla sinistra di Senlin, che sembrava condurre alla sala da pranzo. Alla destra di Senlin si apriva una stanza invitante. Il fuoco nel caminetto rallegrava alcune sedie lussuose. Goll presentò la donna, che arrossì fino al collo, come la signora Abigail Goll. Ciò diede inizio a un giro di inchini e riverenze, che i bambini cominciarono a imitare con ilarità crescente, finché la signora Goll non batté le mani, interrompendo bruscamente i loro giochetti.

La signora del focolare si scusò per andare a controllare il pranzo, e Finn Goll guidò con un cenno Senlin verso il camino. Iren chiacchierò ancora un po’ con i piccoli, e poi, nonostante la loro riluttanza, si congedò. Si posizionò accanto alla mensola del caminetto come per fare la guardia. Appena Goll sedette di fronte a Senlin, i bambini fuggirono dalla stanza.

«Be’, la cosa li ha mandati su di giri. Non abbiamo molti ospiti, a parte Iren, naturalmente. La adorano» disse Goll e qualcosa nella sua tranquillità acuì l’ansia di Senlin. Non si fidava di quel nuovo risvolto del carattere dell’ometto. Non aveva dimenticato che, nel Basamento, si era presentato come un inoffensivo mercante. Magari quella era un’altra recita. I bambini, la donna, la casa che pareva uscita da una fiaba, poteva essere tutta una messa in scena. Ma se si trattava davvero di un’elaborata farsa, quale ne era il motivo?

«Sembrano meravigliosi» disse Senlin con educazione. Diede una rapida occhiata ad Iren in cerca di un indizio che lo aiutasse a capire in cosa era incappato, ma lei era determinata a ignorarlo. Aveva detto qualcosa riguardo a un’accusa di furto, che ovviamente era uno scherzo. Lui era l’unico uomo onesto in tutto il porto.

«Il merito è della madre. Se fosse per me li vizierei senza vergogna.» Goll prese una pipa in radica e corno da un posacenere a piedistallo e cominciò a pigiare del tabacco nel fornello. «Tu non hai figli, vero?»

«No, il mio matrimonio è stato un po’ breve per quello.» Senlin riuscì a malapena a nascondere l’amarezza nella voce. Desiderava esprimere le sue rimostranze, ma ricordò il consiglio di Iren, di lasciar parlare Goll, e non aggiunse altro.

«Io ne ho sei. Il maggiore è via, a scuola. Vivo per la mia famiglia, Tom. Loro danno un senso alla mia esistenza.» Accostò un fiammifero al fornello della pipa e diede una tirata dal bocchino. «Tantissime persone giungono alla Torre per dilapidare un patrimonio. Pochi ne creano uno. Ingrassano sulle poltrone, si rotolano nel buio con le sgualdrine e non riescono a immaginare un modo migliore per sprecare tempo e ricchezze. Il Salotto, i Bagni, il Boudoir: sono tutte trappole per turisti. Laggiù è terribile.» La pipa gorgogliava lievemente quando Goll si fermava per fumare. Lo sguardo di Senlin vagava sui piccoli cammei e le tazzine ammaccate, da bimbo, sulla mensola del camino. Porcellane dipinte dalla mano di un bambino e boccali decorativi completavano l’effetto: non era una finzione, era la casa di Goll.

L’attenzione del direttore tornò al suo ospite quando la voce di quello assunse un’inflessione appassionata. «Ma tutti questi turisti e pellegrini non si rendono conto di cosa c’è sulle loro teste. Nei piani più alti e benestanti ci sono terre meravigliose, prospere, pacifiche. Il problema dei crostacei del fango, Tom, è che appena staccano un piede dal terreno credono di essere ascesi in paradiso.» Rise e il suo respiro rovinò una graziosa spirale di fumo. «Bisogna andare molto più in alto, oltre tutte le trappole e i quartieri degradati. Lassù ci sono Regni Circolari degni dei bambini. Ma non sono luoghi economici in cui vivere. Ci vogliono una fortuna, acume e centinaia di altre cose per arrivarci e restarci. Devi sospettare degli impostori, dominare la tua cupidigia e fare pace con ciò che hai sacrificato. Ci sarà sempre qualcosa per cui non sarai pronto.»

«Già» disse Senlin, cercando di risultare bendisposto e attento. In realtà si sentiva preoccupato e perplesso. Perché Goll l’aveva fatto condurre nel suo sancta sanctorum? Era una sorta di colloquio di congedo per un impiegato fallito che non avrebbe mai più visto la luce del giorno?

«Lavoravo all’Organo a Vapore, prima di comprarlo, ai tempi in cui ero un poveraccio. È un ottimo impiego per un giovane, per farsi le ossa. Mi mostrò il mondo per quello che era, non per quello che speravo che fosse. Naturalmente fu un trauma. Il genere di trauma che tanta gente non supera mai.» Goll sembrò inseguire un ricordo e non gradire dove lo stava portando, poi fece ritorno al presente con un piccolo sorrisetto sardonico. «Ma io sì.»

Si sporse in avanti, mettendo da parte la pipa. «Ho passato anni a spremere shekel ai disgraziati. Ho scucito i fili d’oro dalle falde delle giacche dei ricchi. Ho rubato e risparmiato a lungo, tutto in preparazione della mia Ascesa da questa fogna. Quando mi sento scoraggiato e demoralizzato, penso ai miei figli e alle vite che darò loro. È per questo che sei qui oggi, Tom. Mi hai demoralizzato e fatto pensare ai miei piccoli. A quanto pare te ne sei andato in giro a concedere soldi ai miei uomini.» Gonfiò il petto, e la sua voce si elevò fino a prendere possesso della stanza. «I miei soldi! I miei uomini!»

Senlin si irrigidì contro l’imbottitura soffice della poltrona. Dunque quello era il crimine: l’aumento dato ai facchini. Era stata una somma misera che non aveva avuto alcun effetto sul bilancio, ma, a quanto pareva, per Goll equivaleva a un furto.

«Hai complicato un lavoro facile» proseguì l’omino. «Raccogli i miei soldi. Non educare, non riformare, non insegnare il balletto ai facchini. Raccogli i miei soldi!» Picchiò con ferocia sul bracciolo e la rabbia improvvisa gli imporporò il viso.

«Quando ho iniziato, perdevi dieci, anche venti mine alla settimana per furti, derrate che deperivano e inefficienza» replicò Senlin. «I miei errori, come li consideri tu, hanno solo aumentato i tuoi profitti.»

«Non hai capito qual era l’accordo.» Goll diede il via a una pantomima esagerata, del genere a cui si ricorre per addestrare un cane o imporre la disciplina a un bambino. «Se il porto incassa più soldi perché tu stai facendo il tuo lavoro, quel denaro non è tuo. È mio. Sempre mio. E ci sono altri modi, più parsimoniosi, per stimolare gli uomini a lavorare.»

«Oh, sono stato molto stimolato dalle botte che ho preso» disse Senlin. La sua mano andò alla tasca. La chiave era calda. A quella distanza ravvicinata la piccola pistola sarebbe stata piuttosto efficace. Usarla avrebbe compromesso ogni possibilità di scappare, ovviamente, ma forse ogni opportunità era già sfumata. Si domandò se avrebbe trovato conforto nella vendetta. «Accusi i turisti di non essere previdenti, ma non sei migliore di loro. Spingi i tuoi al furto, alla congiura e alla ribellione a forza di frustate, e poi li punisci per questo.»

«Cosa ti ho detto? L’unica materia prima che nella Torre non scarseggia mai sono gli uomini disperati. Non hanno potere perché non hanno valore, e io corrispondo loro un salario adeguato. Se li pago di più, sprecano i soldi in puttane, alcol e Chrom Bianco.»

«Non è sempre così. Hanno persone care e un passato, e un tempo sono stati anche loro bambini.» La punta del dito di Senlin poggiava sul grilletto della chiave. Inclinò la canna nella tasca, ipotizzando la linea di tiro. «Non sei solo nella Torre, signor Goll, per quanto ti piaccia pensarlo, per quanto tu abbia tentato di nasconderti.» Si domandò con quanta rapidità Iren gli avrebbe spezzato il collo una volta fatto fuoco. L’avrebbe prima ringraziato?

«Sei davvero uno sciocco, Tom, e mi fai compassione.»

«Non è per questo che mi hai portato qui? Per dimostrare la tua compassione? O per mettere in mostra la tua famiglia e convincere te stesso della tua natura nobile prima di ammazzarmi?» Senlin sentì un peso sulla spalla, diede una rapida occhiata e vide le nocche della mano di Iren, grosse come noci. La pressione schiacciava la tasca della giacca contro la sedia, rendendo impossibile sparare, per il momento. «O ti aspetti che tutti siano amici della tua famiglia?»

«Nobiltà e amicizia non sono nulla, sono come l’olio di serpente venduto a vecchie madri e contadini ignoranti. Mi aspetto che tu pensi a te stesso. Sei così determinato a stringere amicizie, a essere giusto e nobile, che hai sabotato te stesso, più e più volte. Poi mi guardi con disprezzo perché bado ai miei interessi. Che buffonata!» Goll era furioso. «Sei in rovina e ci rimarrai finché non accetterai che esiste una sola famiglia al mondo, un solo uomo, e una sola Torre da scalare.»

«Eppure mi hai detto di rinunciare a Marya.»

«Perché è nel mio miglior interesse che tu lo faccia, stupido idiota!» Goll si massaggiò la faccia paffuta finché non divenne rosso vivo. Fece un vago cenno in direzione del fuoco e Iren mollò la spalla di Senlin per aggiungere un altro ceppo di legno. Senza la pressione della sua mano, poteva mirare di nuovo. «Due cose ti dico: lavora pensando a te stesso e dammi quel che mi spetta. Tutto qui. Non voglio essere costretto a trovarmi un nuovo direttore portuale, e tu non vuoi finire con il collo spezzato.» Goll estrasse un registro dalla tasca della giacca e fece scorrere le pagine. Iren attizzava il fuoco, dando loro le spalle. «Secondo i miei calcoli» Goll si leccò il pollice e girò una pagina, «il tuo aumento mi è costato tre mine e sette shekel e mezzo. È l’ammontare che detrarrò dalla tua paga. Annullerai l’aumento e, se gli uomini si lamenteranno, sceglierai uno tra loro come esempio e lo impiccherai giù dal porto. Se farai tutto questo, potremo andare avanti insieme. Altrimenti, andrò avanti da solo. Cosa scegli?»

Senlin si immaginò la sorpresa di Goll se avesse sparato: l’allarmante ferita, per un attimo senza sangue, il foro fumante tra le coste della giacca da camera, e l’ultimo inventario che scorre davanti agli occhi di chi muore.

Una tempesta di piedini rimbombò al piano di sopra. I bambini correvano per i corridoi. Quel tambureggiare trasformò qualcosa nel petto di Senlin, e tutta la rabbia svanì. Si vergognava di aver formulato un simile progetto. Sarebbe stato un doppio suicidio. Anche se l’avesse fatta franca, cosa improbabile, sparare a un uomo disarmato in casa sua mentre i suoi figli giocavano al piano di sopra avrebbe rappresentato la fine del vecchio, rispettabile preside. L’ultima traccia dell’uomo che Marya aveva sposato sarebbe andata perduta. No, se mai avesse abbandonato la propria coscienza, anche nell’inseguimento della cara, dolce Marya, sarebbe diventato irriconoscibile, a se stesso e a lei. A quel punto non ci sarebbe più potuto essere un ricongiungimento, e ogni cosa sarebbe stata vana.

«Andremo avanti insieme» disse Senlin, dissimulando l’ironia.

«Buono a sapersi.»

Senlin fu lieto, naturalmente, di scoprire che non stava per essere strozzato, ma voleva lo stesso sapere se Goll aveva creduto alla storia di Adam, cioè che Rodion stava per invadere il porto. Goll aveva intenzione di fare qualcosa a riguardo? Aveva bisogno di indirizzare la conversazione verso una risposta. «Be’, se non c’è altro, devo andare a firmare la nota di carico di una nave prima che riparta con a bordo chissà che.» Si sporse in avanti e si diede un colpetto sulle ginocchia, pronto ad alzarsi in piedi e congedarsi.

«Quale nave?»

Senlin tornò ad accomodarsi. «La Nube di pietra. Un piccolo sloop malfamato con un capitano irritante. Pirati, con tutta probabilità.»

«Che cosa esporta?» Goll cercò di far suonare disinvolta la domanda, ma Senlin vide oltre il suo sforzo e capì subito che Adam era riuscito a farlo insospettire.

«Niente di inusuale. Qualche serbatoio di gas, un po’ di carbone, e pacchi privati da consegnare. Viaggerà leggera.»

«Riesci a immaginare un motivo per cui Rodion potrebbe essere interessato a questa nave?» La finta indifferenza di Goll era svanita in fretta.

«Il ruffiano?» Senlin alzò le spalle, evasivo. «Be’, il primo ufficiale è una donna. Magari le vuole dare un’occhiata. Sto scherzando. Ha un braccio artificiale. Con tutta probabilità non è adatta al palcoscenico. Ho incontrato Rodion solo una volta, ma mi è sembrato… gradevole.»

«Oh, proprio gradevole come un profanatore di tombe. È un infido, paranoico e collerico pappone e, da quando sei anni fa gli ho consegnato le redini dell’Organo a Vapore, mi sono guardato bene dal voltargli le spalle. Ma di solito è prevedibile. Tiene un profilo basso, non lascia quasi mai l’Organo. Non riesco a immaginare il motivo, ma sembra interessato al carico di questa nave. Hai detto pacchetti privati. Cosa contengono?»

«Non ne ho idea.» Senlin ci rifletté un momento e poi chiese: «Vuoi che li apra?».

«No, no. Per gli affari sarebbe pessimo. Se cominciassimo a frugare tra le spedizioni, perderemmo metà dei clienti. Noi siamo ritenuti un porto discreto.» Goll pareva preoccupato. «Fammi un favore, Tom. Di’ agli uomini di trattenersi più a lungo, stasera. Iren verrà con delle armi per loro, in caso di necessità.»

«Non capisco. Cosa credi che succederà?»

«Nulla, ne sono sicuro» rispose Goll. Poi, più bruscamente, aggiunse: «Quel melmoso mollusco traditore». Senlin capì che Goll si stava agitando e infuriando davvero e fu lieto di non essere per la seconda volta il bersaglio di quella rabbia. «Se Rodion si presenta al porto stasera, e se trascina con sé la sua piccola truppa di uscieri amanti delle puttane, farai bene a tenerti fuori dai piedi.» Si alzò all’improvviso. «Non dire una parola a Rodion. Voglio coglierlo in flagrante, così non potrà negare. Chi lo sa, magari domani sarai direttore portuale e ruffiano. Non sarebbe una svolta? Immagino che tu non sappia suonare l’organo, vero?»