17.
L'UCCELLO CANNIBALE
Il giorno successivo i viaggiatori presero la via del ritorno per Tapirawa-teri. Quando furono nelle vicinanze videro il metallico scintillio degli elicotteri attraverso gli alberi e capirono che i nahab alla fine avevano raggiunto il villaggio. Walimai decise di restare nel bosco; per tutta la vita si era tenuto lontano dai forestieri e non era certo quello il momento di cambiare abitudini. Come il Popolo della Nebbia, lo sciamano aveva la facoltà di rendersi pressoché invisibile e per anni si era avvicinato agli accampamenti e ai paesi dei nahab per osservarli senza che loro si accorgessero della sua presenza. Lo conoscevano solo Nadia e padre Valdomero, amico dai tempi in cui il sacerdote aveva vissuto con gli indios. Lo stregone aveva incontrato la "ragazzina color del miele" in molte visioni ed era convinto che fosse un'inviata degli spiriti. La considerava di famiglia, motivo per cui, quando erano soli, le permetteva di chiamarlo per nome, le aveva raccontato i miti e le leggende degli indios, le aveva regalato il talismano e l'aveva condotta nella città sacra degli dèi.
Alex ebbe un moto di gioia quando vide da lontano gli elicotteri: non era perso per sempre nel pianeta delle Bestie, poteva tornare nel suo mondo. Immaginò che gli elicotteri avessero percorso in lungo e in largo l'Occhio del Mondo per giorni e giorni alla loro ricerca. La nonna doveva avere piantato una grana mai vista il giorno in cui lui era sparito, obbligando il capitano Ariosto a perlustrare dall'alto tutta la regione palmo a palmo. Verosimilmente avevano notato il fumo della pira funeraria di Mokarita, scoprendo così dov'era il villaggio.
Walimai spiegò ai ragazzi che lui avrebbe aspettato nascosto tra gli alberi per vedere cosa succedeva nel villaggio. Alex volle lasciargli un ricordo in cambio del rimedio miracoloso che avrebbe ridato la salute a sua madre e gli offrì il coltellino svizzero. L'indio prese l'oggetto metallico rosso, lo soppesò guardandone la sagoma bizzarra, senza immaginare a che cosa potesse servire. Alex aprì tutte le lame, le pinze, il cavaturaccioli, il cacciavite, finché il coltellino non si trasformò in un riccio lucente. Insegnò allo sciamano come usare ogni parte, come aprirla e richiuderla.
Walimai lo ringraziò per il regalo, ma era vissuto per oltre un secolo senza conoscere i metalli e, a dir la verità, si sentiva un po' troppo vecchio per imparare i trucchi dei nahab; tuttavia non volle sembrare scortese e quindi si appese il coltellino al collo, insieme alle collane di denti e agli altri amuleti. Poi ricordò a Nadia il richiamo della civetta, così sarebbero rimasti in contatto. La ragazza gli consegnò la cesta con le tre uova di cristallo, convinta che sarebbero state più al sicuro nelle mani dello stregone. Non voleva presentarsi davanti agli stranieri con le uova che appartenevano al Popolo della Nebbia. Si salutarono e in meno di un secondo Walimai era svanito nella natura, come un'illusione.
Nadia e Alex si avvicinarono lentamente al luogo in cui erano atterrati gli "uccelli del rumore e del vento", come li chiamavano gli indios. Si nascosero tra gli alberi, dove potevano osservare non visti la situazione, anche se erano troppo lontani per riuscire ad ascoltare chiaramente. Nel centro di Tapirawa-teri campeggiavano gli elicotteri ai quali si aggiungevano quattro tende, di cui una enorme, e persino una cucina a petrolio. Era stato teso un fil di ferro dal quale pendevano alcuni regali per attirare gli indios: coltelli, pentole e altri oggetti di acciaio e alluminio che luccicavano alla luce del sole. Videro numerosi soldati armati sul chi va là, ma nessun indio. Il Popolo della Nebbia era sparito, come sempre quando si sentiva in pericolo. Tale strategia si era rivelata utilissima per la tribù; altri indios, invece, che si erano opposti ai nahab, erano stati sterminati o assimilati. Questi ultimi, una volta inglobati nella civiltà, si erano trasformati in mendicanti, avevano perso le loro terre e la loro dignità di guerrieri e facevano una vita da cani. Per questa ragione il capo Mokarita non aveva mai permesso che la sua gente si avvicinasse ai nahab o ne accettasse i regali; era convinto che in cambio di un machete o di un cappello, la tribù avrebbe dimenticato le proprie origini, la propria lingua e la propria divinità.
I due ragazzi si chiesero che intenzioni avessero i soldati. Se facevano parte del piano per eliminare gli indios dell'Occhio del Mondo, era meglio starne alla larga. Nelle loro orecchie risuonava ancora la conversazione tra il capitano Ariosto e Mauro Carías origliata a Santa María de la Lluvia e capirono che intervenendo si sarebbero cacciati nei guai.
Cominciò a piovere, un acquazzone violento e improvviso, di quelli che due o tre volte al giorno inzuppavano tutto in un attimo, per poi smettere all'improvviso lasciando l'aria fresca e pulita. Dal loro rifugio tra gli alberi i due amici stavano osservando l'accampamento da quasi un'ora quando videro arrivare al villaggio tre persone che evidentemente erano andate a fare una perlustrazione nei dintorni e ora tornavano di corsa, bagnate fradicie. Nonostante la distanza, le riconobbero immediatamente: erano Kate, César e il fotografo Timothy Bruce. Nadia e Alex non poterono trattenere un'esclamazione di gioia: voleva dire che anche il professor Leblanc e la dottoressa Torres dovevano essere lì vicino. Con la loro presenza nel villaggio, il capitano Ariosto e Carías non avrebbero potuto ricorrere ai proiettili per togliersi di torno gli indios, o i ragazzi stessi.
Alex e Nadia abbandonarono il nascondiglio e si avvicinarono con cautela a Tapirawa-teri, ma dopo pochi passi furono notati dalle sentinelle e subito circondati. Il grido di allegria di Kate quando vide il nipote fu paragonabile solo a quello di César nello scorgere la figlia. I due si misero a correre incontro ai ragazzi, che erano coperti di graffi e lividi, sporchissimi, con i vestiti a brandelli e stanchi morti. Oltretutto, l'aspetto di Alexander era ben diverso da prima, grazie a quel taglio di capelli da indio e alla chierica rasata sulla quale spiccava una lunga striscia di fango che copriva la ferita. César prese Nadia tra le sue braccia poderose e la strinse con tanta forza che per poco non ruppe le costole a Borobá, stretta anche lei nell'abbraccio paterno. Kate, invece, riuscì a controllare l'ondata di affetto e sollievo che l'aveva invasa e non appena ebbe il nipote a portata di mano gli assestò un ceffone in piena faccia.
"Per lo spavento che ci hai fatto prendere, Alexander. La prossima volta che mi sparisci dalla vista, ti ammazzo" disse la nonna. Per tutta risposta Alex l'abbracciò.
Gli altri arrivarono subito dopo: Carías, il capitano Ariosto, la dottoressa Torres e l'ineffabile professor Leblanc, pieno di punture d'api dalla testa ai piedi. L'indio Karakawe, scontroso come al solito, non manifestò alcuno stupore nel vedere i ragazzi.
"Come avete fatto a venire quassù? È impossibile arrivarci senza un elicottero" chiese il capitano Ariosto.
Alex raccontò per sommi capi l'avventura con il Popolo della Nebbia, senza entrare nei dettagli né spiegare da dove erano saliti. E neppure accennò al viaggio fino al tepui sacro intrapreso con Nadia. Era certo che quello che aveva deciso di rivelare non era sicuramente un segreto, visto che i nahab era già informati dell'esistenza della tribù. C'erano segni evidenti che il villaggio era stato abbandonato dagli indios solo poche ore prima: la brace dei fuocherelli era ancora tiepida, nella capanna dei celibi la carne dell'ultima caccia era piena di mosche e le varie mascotte si aggiravano lì intorno. I soldati avevano ammazzato a colpi di machete i mansueti boa e i loro corpi mutilati marcivano al sole.
"Dove sono gli indios?" domandò Carías.
"Sono fuggiti lontano da qui" rispose Nadia.
"Non credo che possano andare molto lontano con le donne, i vecchi e i bambini. Non possono sparire senza lasciare tracce."
"Sono invisibili."
"Siamo seri, ragazzina!" esclamò l'uomo.
"Sono sempre seria, io."
"Vuoi farmi credere che questa gente vola come le streghe?"
"Non volano, ma corrono molto velocemente" spiegò lei.
"Sai parlare la loro lingua, carina?"
"Mi chiamo Nadia Santos."
"Va bene, Nadia Santos, riesci a parlare con loro o no?" insistette Carías con impazienza.
"Sì."
La dottoressa Torres intervenne per spiegare che era indispensabile vaccinare al più presto la tribù. Il villaggio era stato scoperto e inevitabilmente, nel giro di pochissimo tempo, gli indios sarebbero entrati in contatto con gli stranieri.
"Nadia, come sai, senza volerlo possiamo infettarli con malattie che per loro sarebbero fatali. Intere tribù sono state sterminate in due o tre mesi a causa di un semplice raffreddore. La cosa più grave è il morbillo. Ho con me il vaccino, sono in grado di somministrarlo a tutta questa povera gente. Così sarà protetta. Mi puoi aiutare?" la supplicò l'incantevole dottoressa.
"Ci proverò" promise la ragazzina.
"Come fai a metterti in contatto con la tribù?"
"Non lo so ancora, devo pensarci."
Alexander travasò l'acqua della vita in una bottiglia con il tappo ermetico e la ripose con cautela nella sua borsa. La nonna lo vide e volle sapere che cosa stava facendo.
"È l'acqua per curare la mamma" disse il ragazzo. "Ho trovato la fonte dell'eterna giovinezza, quella che tanti hanno cercato per secoli, Kate. La mamma guarirà."
Per la prima volta da che lui ricordava, la nonna si dimostrò affettuosa. Alex sentì le braccia sottili e muscolose che lo circondavano, il suo odore di tabacco da pipa, la zazzera di capelli ispidi, la pelle secca e ruvida come cuoio da scarpe; e poi udì la voce rauca che lo chiamava per nome e in quel momento sospettò che la nonna, dopo tutto, gli volesse un po' di bene. Quando Kate si rese conto di quello che stava facendo, si staccò bruscamente e lo spinse verso il tavolo dove lo stava aspettando Nadia. I due ragazzi, affamati e sfiniti, divorarono i fagioli, il riso, il pane di manioca e alcuni pesci mezzo carbonizzati e pieni di lische. Alex mangiò tutto con appetito feroce, davanti agli occhi stupefatti della nonna, che sapeva quanto il nipote fosse schizzinoso con il cibo.
Rifocillati, Nadia e Alex fecero un lungo bagno nel fiume. Sapevano di essere circondati dagli invisibili indios, che dal fitto del bosco seguivano ogni movimento dei nahab. Sguazzando nell'acqua, sentivano i loro occhi puntati addosso, proprio come se li stessero toccando con le mani. Giunsero alla conclusione che gli indios non si avvicinavano per la presenza degli sconosciuti e degli elicotteri, che fino a quel momento avevano scorto nel cielo e mai visti da vicino. Cercarono di allontanarsi un poco, pensando che se fossero restati da soli il Popolo della Nebbia si sarebbe fatto vedere, ma nel villaggio c'era troppa agitazione e i ragazzi non potevano sparire nel bosco senza richiamare l'attenzione. Per fortuna i soldati non osavano schiodarsi di un metro dall'accampamento: le storie sulla Bestia e l'episodio dello sbudellamento del loro compagno li avevano terrorizzati a sufficienza. Nessuno aveva mai esplorato l'Occhio del Mondo e avevano sentito parlare degli spiriti maligni che infestavano la regione. Degli indios avevano meno paura, sia perché erano beh provvisti di armi da fuoco, sia perché nelle loro vene scorreva sangue indigeno.
Quando fece buio, tutti, tranne gli uomini di guardia, sedettero intorno al fuoco, a bere e a fumare. L'atmosfera era lugubre e qualcuno chiese un po' di musica per sollevare gli animi. Alex dovette ammettere di avere perso il famoso flauto di Joseph Cold, ma non poteva dire dove senza svelare l'avventura nel tepui. La nonna gli rivolse uno sguardo assassino, ma non fece commenti, intuendo che il nipote stava nascondendo molte cose. Un soldato tirò fuori un'armonica e suonò un paio di melodie popolari, ma i suoi generosi sforzi risultarono inutili: la paura si era impadronita di tutti loro.
Kate si mise in disparte con i ragazzi per raccontare quello che era successo durante la loro assenza, da quando erano stati rapiti dagli indios. Appena si erano accorti della sparizione di Alex e Nadia, avevano subito cominciato le ricerche, rastrellando il bosco alla luce delle lanterne per quasi tutta la notte. Il professor Leblanc aveva contribuito a far lievitare l'angoscia generale con l'ennesimo tragico pronostico: i ragazzi erano stati trascinati via dagli indios che in quel momento se li stavano di sicuro mangiando ben arrostiti allo spiedo. Approfittando dell'occasione, il professore aveva descritto nei dettagli la procedura con cui gli indios dei Caraibi tagliavano a pezzi i prigionieri vivi per divorarli. Certo, aveva ammesso, attualmente non si trovavano fra quei selvaggi, che erano stati civilizzati o sterminati da oltre cent'anni, ma chi poteva prevedere la portata degli influssi culturali? César era stato lì lì per scagliarsi sull'antropologo e riempirlo di pugni.
Nel pomeriggio del giorno successivo era finalmente apparso l'elicottero venuto a salvarli. La lancia con lo sfortunato Joel González era arrivata senza inconvenienti a Santa María de la Lluvia, dove le suore dell'ospedale avevano preso in consegna il pover'uomo per curarlo. Matuwe, la guida india, aveva ottenuto gli aiuti e aveva dato personalmente le indicazioni all'elicottero sul quale era salito anche il capitano Ariosto. Il suo senso dell'orientamento era tale che, pur senza aver mai volato, era riuscito a non perdersi sopra l'interminabile distesa verde della foresta e a individuare con precisione il luogo in cui si trovavano i membri della spedizione dell'"International Geographic". Appena erano atterrati, Kate aveva costretto il militare a chiamare rinforzi via radio per organizzare una ricerca sistematica dei ragazzi scomparsi.
César interruppe il racconto della giornalista per aggiungere che lei aveva minacciato il capitano Ariosto di avvisare la stampa, l'ambasciata americana e perfino la Cia se lui non avesse collaborato; era così che aveva ottenuto il secondo elicottero, con il quale erano arrivati altri soldati e Carías. Non aveva intenzione di andarsene di lì senza il nipote, aveva asserito Kate, a costo di percorrere tutta l'Amazzonia a piedi.
"Davvero hai detto questo, Kate?" chiese Alex divertito. "Non per te, Alexander. Era una questione di principio" grugnì la nonna.
Quella notte Nadia, Kate e la dottoressa Torres dormirono in una tenda, il professor Leblanc e Timothy Bruce in un'altra, Carías aveva la sua, e il resto degli uomini si sistemò sulle amache appese agli alberi. Misero delle guardie ai quattro lati dell'accampamento e tennero accese le lampade a petrolio. Nessuno lo disse ad alta voce, ma tutti speravano che in questo modo la Bestia sarebbe rimasta a debita distanza. Le luci li rendevano un facile bersaglio per gli indios, ma fino a quel momento le tribù non avevano mai sferrato un attacco nell'oscurità per timore degli spiriti maligni della notte che scappavano dagli incubi degli esseri umani.
Nadia, che aveva il sonno leggero, dormì alcune ore e si svegliò a notte fonda per il russare di Kate. Constatato che anche la dottoressa era immobile, ordinò a Borobá di rimanere al suo posto e strisciò silenziosamente fuori della tenda. Aveva osservato il Popolo della Nebbia con estrema attenzione, decisa ad apprendere la capacità di rendersi invisibili, e in tal modo aveva scoperto che non si trattava solo di una questione fisica, quanto di una forte volontà di diventare immateriali e sparire. Ci voleva molta concentrazione per raggiungere lo stato mentale dell'invisibilità che consentiva di avvicinarsi a una persona senza venire notati. Di colpo si accorse di averlo raggiunto perché si sentì leggerissima e le sembrò di dissolversi, di sparire del tutto. Non doveva distrarsi e permettere ai suoi nervi di tradirla: era l'unico modo di restare nascosta agli altri. Una volta fuori della tenda, senza alcun timore, scivolò accanto alle guardie che circondavano l'accampamento, protetta da quello straordinario campo mentale che aveva creato intorno a sé.
Quando si sentì sicura, nella foresta appena illuminata dalla luna, fece due volte il richiamo della civetta e attese. Un attimo dopo percepì la vicinanza silenziosa di Walimai. Chiese allo stregone di parlare con il Popolo della Nebbia per convincerlo a tornare all'accampamento e farsi vaccinare. Non potevano restare per sempre nascosti all'ombra degli alberi, disse, e se provavano a costruire un altro villaggio sarebbero stati scoperti dagli "uccelli del rumore e del vento". Gli promise che lei si sarebbe occupata del Rahakanariwa e che Giaguaro avrebbe negoziato con i nahab. Gli raccontò che il suo amico aveva una nonna importante, ma non cercò di spiegargli il potere della stampa, lo stregone non avrebbe mai capito le sue parole, dato che non conosceva la scrittura e non aveva mai visto una pagina stampata. Si limitò a dire che quella nonna era molto magica nel mondo dei nahab, anche se la sua magia non era affatto utile nell'Occhio del Mondo.
Dal canto suo, Alexander si era coricato su un'amaca all'aria aperta, leggermente distante dagli altri. Nutriva la speranza che durante la notte gli indios si sarebbero messi in contatto con lui, ma cadde in un sonno profondo. Sognò il giaguaro nero. L'incontro con l'animale totemico fu così nitido e preciso, che il giorno dopo non sapeva più se era stato un sogno o se era successo davvero. Nel sogno, si alzava dall'amaca e si allontanava pian piano dall'accampamento, di nascosto dalle sentinelle. Una volta nella foresta, fuori dalla portata della luce del fuoco e delle lampade a petrolio, vedeva il felino nero disteso sul ramo di un imponente castagno, la coda penzoloni e gli occhi luccicanti nel buio come topazi, proprio come gli era apparso nella visione indotta dalla pozione magica di Walimai. Aveva denti e artigli con cui avrebbe potuto sventrare un caimano, muscoli potenti che gli permettevano di correre come il vento e una forza e un coraggio, che gli consentivano di affrontare qualsiasi nemico. Era un animale stupendo, il re delle fiere, il figlio del Padre Sole, il principe della mitologia delle Americhe. Sempre nel sogno, il ragazzo si fermava a pochi metri dal giaguaro e, come durante il primo incontro nell'accampamento di Carías, udiva la voce cavernosa che lo salutava chiamandolo per nome: Alexander... Alexander... La voce gli rimbombava nel cervello come un gigantesco gong di bronzo, ripetendo in continuazione il suo nome. Che cosa significava quel sogno? Qual era il messaggio che il giaguaro nero voleva trasmettergli?
Si svegliò quando tutti erano già alzati. Il sogno, ancora vivido, lo angosciava, era sicuro che contenesse un messaggio, ma lui non riusciva a decifrarlo. L'unica parola pronunciata dal giaguaro in quell'apparizione era stato il suo nome, Alexander. Nulla più. La nonna gli si avvicinò con una tazza di caffè e latte condensato, che il ragazzo prima non avrebbe mai assaggiato ma che ora gli sembrava una colazione prelibata. D'istinto, le raccontò il sogno.
"Difensore degli uomini" disse la donna.
"Cosa?"
"È il significato del tuo nome. Alexander è un nome greco che vuoi dire difensore."
"Perché me lo hanno dato, Kate?"
"Sono stata io. I tuoi volevano chiamarti Joseph, come il nonno, ma insistetti perché scegliessero Alexander, come il valoroso guerriero dell'antichità. Tirammo in aria una moneta e vinsi. È per questo che ti chiami così" spiegò Kate.
"Come ti venne in mente che io dovevo avere questo nome?"
"Ci sono infinite vittime e cause nobili al mondo da difendere, Alexander. Un bel nome da guerriero aiuta a combattere le ingiustizie."
"Sarò una delusione per te, Kate. Non sono un eroe."
"Staremo a vedere" replicò lei allungandogli la tazza.
La sensazione di essere osservati da centinaia di occhi metteva l'accampamento in agitazione. Negli ultimi anni, numerosi impiegati governativi inviati ad aiutare gli indios erano stati assassinati dalle tribù che volevano proteggere. Talvolta il primo contatto era cordiale, con lo scambio di regali e di cibo, ma all'improvviso gli indios ricorrevano alle armi e attaccavano di sorpresa. Gli indios erano imprevedibili e violenti, disse il capitano Ariosto, che condivideva appieno le teorie del professor Leblanc, quindi non era il caso di abbassare la guardia: bisognava restare sul chi va là. Nadia intervenne per dire che il Popolo della Nebbia era diverso, ma nessuno l'ascoltò.
La dottoressa Torres raccontò che da dieci anni a quella parte il suo lavoro di medico si era svolto principalmente con tribù pacifiche e che quindi non sapeva niente di quegli indios che Nadia chiamava il Popolo della Nebbia. Comunque, sperava di avere maggior fortuna che nel passato e di riuscire a vaccinarli prima del contagio. Ammise che in diverse occasioni il vaccino era arrivato troppo tardi. Glielo aveva iniettato comunque, ma si erano ammalati nel giro di qualche giorno ed erano morti a centinaia.
Arrivati a questo punto il professor Leblanc aveva ormai perso del tutto la pazienza. La sua missione era stata inutile, sarebbe tornato a mani vuote, senza alcuna informazione sulla famosa Bestia dell'Amazzonia. Che cosa avrebbe raccontato agli editori dell'"International Geographic"? Che un soldato era perito di morte violenta in circostanze misteriose, che erano stati appestati da un odore tremendamente sgradevole e che lui era involontariamente cascato nella cacca di un animale sconosciuto? In tutta franchezza, non erano prove molto convincenti dell'esistenza della Bestia. Non aveva nemmeno molto da aggiungere sugli indios della regione, dato che non li aveva neanche visti da lontano. Aveva miseramente sprecato il suo tempo. Non vedeva l'ora di ritornare alla sua università, dove era riverito come un eroe, al riparo dalle punture delle api e da altri inconvenienti. I suoi rapporti con il gruppo lasciavano molto a desiderare; quelli con Karakawe, poi, erano un vero disastro. L'indio, che avrebbe dovuto essere il suo assistente personale, aveva smesso di fargli aria con la foglia di banano non appena fuori da Santa María de la Lluvia e, invece di servirlo, si divertiva a rendergli la vita più difficile. Leblanc lo aveva accusato di avergli messo uno scorpione vivo nella borsa e un lombrico morto nel caffè, e anche di averlo portato a bella posta dove lo avevano punto le api. I membri della spedizione tolleravano il professore perché era molto pittoresco e potevano canzonarlo senza che lui ne capisse la ragione. Leblanc si prendeva così sul serio che non riusciva a immaginare che anche gli altri non lo facessero.
Carías spedì squadre di soldati in varie direzioni per una ricognizione. Gli uomini partirono malvolentieri e tornarono quasi subito, senza notizie sulla tribù. Decisero anche di sorvolare la zona con gli elicotteri, sebbene Kate li avesse avvisati che il frastuono avrebbe spaventato gli indios. La giornalista suggerì di aspettare armati di pazienza: prima o poi sarebbero tornati al villaggio. Come Leblanc, la donna era più interessata alla Bestia che agli indigeni, dato che doveva scrivere il suo articolo.
"Alexander, sai qualche cosa della Bestia che non mi hai ancora detto?" domandò.
"Forse sì, forse no..." replicò il nipote senza guardarla negli occhi.
"Ma che razza di risposta è questa?"
Intorno a mezzogiorno ci fu un allarme all'accampamento: una figura era uscita dalla boscaglia e si avvicinava timidamente. Carías ordinò ai soldati di stare indietro per non spaventarla e la chiamò con gesti amichevoli. Il fotografo Timothy Bruce diede la propria macchina fotografica a Kate e impugnò la cinepresa: il primo contatto con una tribù era un'occasione unica. Nadia e Alex la riconobbero immediatamente: era Iyomi, capo dei capi di Tapirawa-teri. Era sola, nuda, incredibilmente vecchia, piena di rughe e sdentata, appoggiata a un ramo tutto storto che le serviva da bastone e con la corona di piume gialle calata sugli occhi. Si avvicinò poco alla volta, davanti allo stupore dei nahab. Carías chiamò Karakawe e Matuwe e chiese loro se conoscevano la tribù di appartenenza della donna, ma nessuno dei due seppe rispondere. Nadia si fece avanti.
"Parlo io con lei" affermò.
"Dille che non le faremo alcun male, che siamo amici della sua gente, che vengano qui disarmati perché abbiamo molti regali per tutti loro" disse Carías.
Nadia tradusse liberamente, senza menzionare la parte riguardante le armi, perché non le sembrava una buona idea, vista la quantità di pistole e fucili dei soldati.
"Non vogliamo i regali dei nahab, vogliamo che se ne vadano dall'Occhio del Mondo" furono le parole decise di Iyomi.
"È inutile, non se ne andranno" spiegò Nadia alla vecchia.
"Allora i miei guerrieri li uccideranno."
"Ne arriveranno degli altri, molti altri, e tutti i tuoi guerrieri moriranno."
"I miei guerrieri sono forti, questi nahab non hanno né archi né frecce, sono grassi, goffi e dalla testa molle e poi si spaventano per nulla."
"La guerra non è la soluzione, capo dei capi. Dobbiamo negoziare" supplicò Nadia.
"Cosa diavolo dice la vecchia?" chiese Carías, esasperato perché la ragazzina aveva smesso di tradurre da un bel pezzo.
"Dice che la sua gente non mangia da parecchi giorni e ha molta fame" inventò Nadia lì per lì.
"Dille che daremo loro tutto il cibo che vogliono."
"Hanno paura delle armi" aggiunse lei, anche se in realtà gli indios non avevano mai visto una pistola o un fucile e non ne sospettavano il pericolo mortale.
Carías ordinò agli uomini di deporre le armi come segno di buona volontà, ma il professor Leblanc, terrorizzato, intervenne per fare presente che di solito gli indios attaccavano a tradimento. Di conseguenza, i soldati si liberarono delle mitragliatrici ma tennero le pistole alla cintola.
Iyomi ricevette una scodella di carne con mais dalla dottoressa Torres e se ne andò nella stessa direzione da cui era venuta. Il capitano Ariosto cercò di seguirla, ma in meno di un minuto sulla vegetazione calò una fitta nebbia.
Restarono in attesa tutto il giorno, scrutando attraverso il folto della foresta senza mai vedere nessuno, e intanto si sorbivano gli avvertimenti di Leblanc, che aspettava l'arrivo di un contingente di cannibali pronti ad attaccarli. Il professore, armato fino ai denti e circondato di soldati, si era preso una gran strizza dopo la visita della vecchina nuda con la corona di piume gialle. Le ore trascorsero senza incidenti, tranne che per un momento di tensione, quando la dottoressa Torres sorprese Karakawe con le mani nelle casse dei vaccini. Non era la prima volta. Carías intervenne per avvisare l'indio che, se l'avessero visto ancora vicino alle medicine, il capitano Ariosto lo avrebbe arrestato seduta stante.
Verso sera, quando erano ormai convinti che la vecchia sarebbe tornata, di fronte all'accampamento si materializzò tutta la tribù del Popolo della Nebbia. Per primi videro le donne e i bambini, impalpabili, leggeri e misteriosi. Ci volle qualche secondo per notare la presenza degli uomini, che in realtà erano arrivati prima e si erano disposti in semicerchio. Erano emersi dal nulla, muti e superbi, capeggiati da Tahama, dipinti con i colori della guerra: il rosso dell'onoto, il nero del carbone, il bianco della calce e il verde delle piante, decorati con piume, denti, artigli, semi e con le loro armi in mano. Si trovavano in mezzo all'accampamento, ma si mimetizzavano così bene con l'ambiente che era necessario aguzzare la vista per vederli nitidamente. Erano lievi, eterei, sembravano appena tratteggiati sullo sfondo del paesaggio, ma la loro fierezza era fuori dubbio.
A lungo i due schieramenti si osservarono a vicenda in silenzio, da una parte gli indios trasparenti e dall'altra i forestieri sbigottiti. Infine Carías si riprese dallo stupore e si mise in azione, dando istruzioni ai soldati di offrire il cibo e distribuire i regali. Con dispiacere Alex e Nadia videro le donne e i bambini accettare i gingilli con i quali i nahab volevano attirarli. Sapevano che la fine delle tribù cominciava da quei regali innocenti. Tahama e i suoi guerrieri restarono fermi in piedi, all'erta, con le armi in mano. Il pericolo maggiore era rappresentato dai loro enormi bastoni, con cui potevano attaccare in un attimo, mentre avrebbero impiegato più tempo a prendere la mira con le frecce, dando così modo ai soldati di sparare.
"Spiega la storia dei vaccini, carina" ordinò Carías alla ragazzina.
"Nadia, mi chiamo Nadia Santos" ripeté lei.
"È per il loro bene, Nadia, per proteggerli" aggiunse la dottoressa Torres. "Forse l'ago li spaventerà, ma farà meno male di una puntura di zanzara. Se gli uomini vogliono farlo per primi, potrebbero essere d'esempio per le donne e i bambini..."
"Perché non lo dà lei l'esempio?" chiese Nadia a Carías.
Il sorriso perfetto, sempre presente sul volto abbronzato dell'imprenditore, scomparve davanti alla sfida della ragazzina e una espressione di assoluto terrore gli attraversò fugacemente lo sguardo. Alex, che osservava la scena, pensò che quella reazione fosse del tutto eccessiva. Sapeva che c'era gente che ha paura delle iniezioni, ma dalla faccia sembrava che Carías avesse visto Dracula in persona.
Nadia tradusse e, dopo una lunga discussione durante la quale il nome del Rahakanariwa fu menzionato diverse volte, Iyomi accettò di pensarci sopra e di parlarne con la tribù. Nel bel mezzo della conversazione sui vaccini, all'improvviso Iyomi mormorò un ordine incomprensibile per gli stranieri e come d'incanto il Popolo della Nebbia svanì con la stessa velocità con cui era comparso. Si erano ritirati nella fitta vegetazione come ombre, senza che nessuno dell'accampamento avesse udito un solo passo, una sola parola o un pianto di neonato. Per tutta la notte i soldati di Ariosto montarono la guardia aspettandosi un attacco da un momento all'altro.
Nadia si svegliò in piena notte, quando sentì che la dottoressa Torres usciva dalla tenda. Immaginò che andasse a fare i suoi bisogni tra gli arbusti, ma un presentimento le suggerì di seguirla. Kate russava immersa in un sonno profondo, e non si accorse delle manovre delle compagne. Silenziosa come un gatto, utilizzando l'arte appena appresa di rendersi invisibile, Nadia fece qualche passo avanti. Nascosta tra le felci, vide la sagoma snella della dottoressa alla luce tenue della luna. Un minuto dopo si avvicinò una seconda figura che, davanti agli occhi stupefatti della ragazzina, prese la dottoressa per la vita e la baciò.
"Ho paura" disse lei.
"Non temere, amore mio. Andrà tutto bene. Tra un paio di giorni qui avremo finito tutto e potremo tornare nella civiltà. Sai che ho bisogno di te..."
"Davvero mi ami?"
"Certo. Ti adoro, ti farò felice, avrai tutto quello che desideri." Nadia tornò di soppiatto alla tenda, si distese sulla sua stuoia e fece finta di dormire.
L'uomo in compagnia della dottoressa Torres era Carías.
Il mattino successivo il Popolo della Nebbia tornò. Le donne portavano cesti di frutta e un grande tapiro morto in cambio dei regali ricevuti il giorno prima. L'atteggiamento dei guerrieri sembrava più rilassato e, pur non deponendo i bastoni, dimostrarono la stessa curiosità delle donne e dei bambini. Ammirarono da lontano gli straordinari uccelli del rumore e del vento, toccarono i vestiti e le armi dei nahab, curiosarono tra le loro cose, entrarono nelle tende, si misero in posa davanti alla macchina fotografica, indossarono le collane di plastica e provarono, pieni di meraviglia, i machete e i coltelli.
La dottoressa Torres considerò che l'atmosfera era perfetta per iniziare il suo lavoro. Chiese a Nadia di rispiegare agli indios la necessità di proteggersi contro le epidemie, ma il Popolo della Nebbia ancora non era convinto. L'unica ragione per cui il capitano Ariosto non li costrinse sotto la minaccia delle armi fu la presenza di Kate e Timothy Bruce; non poteva ricorrere alla forza bruta sotto gli occhi della stampa, le apparenze andavano salvate. Non restava che aspettare pazientemente che finisse l'interminabile dialogo tra Nadia e la tribù. Che l'idea di farli fuori a colpi di pistola per impedire che morissero di morbillo fosse piuttosto contraddittoria non passò nemmeno per la testa al capitano.
Nadia ricordò agli indios che era stata nominata da Iyomi capo per ammansire il Rahakanariwa, che era solito castigare gli esseri umani con epidemie terrificanti, e dunque erano tenuti a obbedirle. Si offrì di sottoporsi per prima all'iniezione, ma la generosa intenzione fu ritenuta un'offesa da Tahama e dai suoi guerrieri. Sarebbero stati loro i primi, dissero infine. Con un sospiro di sollievo, la ragazzina tradusse la decisione presa dal Popolo della Nebbia.
La dottoressa Torres fece sistemare un tavolo all'ombra e preparò le siringhe e i flaconcini, mentre Carías cercava di mettere gli indios in fila, di modo che tutti venissero vaccinati.
Nel frattempo Nadia prese da parte Alex e gli raccontò quello che aveva visto la notte prima. Nessuno dei due riusciva a trovare una spiegazione, ma si sentivano entrambi vagamente traditi. Come era possibile che la dolce Omayra avesse una relazione con Carías, l'uomo che teneva il cuore in una valigetta? Conclusero che senza dubbio Carías doveva avere sedotto la buona dottoressa; non si diceva forse in giro che avesse un gran successo con le donne? Nadia e Alex non trovavano alcuna attrattiva in quell'individuo, ma immaginavano che i suoi modi e i suoi soldi potessero ingannare altre persone. La notizia sarebbe stata una vera bomba per gli ammiratori della dottoressa, per César, Timothy Bruce e persino per il professor Leblanc.
"Non mi piace per niente" disse Alex.
"Sei geloso pure tu?" lo prese in giro Nadia.
"Ma va'!" rispose lui indignato. "Sento qualcosa che mi schiaccia il petto, come un peso tremendo."
"È per la visione che abbiamo condiviso nella città d'oro, ti ricordi? Quando abbiamo bevuto la pozione dei sogni collettivi di Walimai, abbiamo sognato tutti la stessa cosa, anche le Bestie."
"Sì. Quel sogno era simile a un altro che avevo fatto appena prima di cominciare questo viaggio: un immenso avvoltoio rapiva mia madre e spariva con lei nel cielo. Lo avevo interpretato come la malattia che mette a repentaglio la vita, avevo pensato che l'avvoltoio rappresentasse la morte. Nel tepui abbiamo sognato che il Rahakanariwa rompeva la cassa che lo teneva prigioniero e che gli indios erano legati agli alberi, ricordi?"
"Si, e i nahab avevano delle maschere che gli coprivano il volto. Che cosa significano quelle maschere, Giaguaro?"
"Un segreto, una bugia, un tradimento."
"Per quale ragione credi che Carías sia così interessato a vaccinare gli indios?"
La domanda restò sospesa nell'aria, come una freccia immobilizzata in pieno volo. I ragazzi si guardarono orripilati. Con un'improvvisa intuizione compresero la trappola nella quale erano caduti tutti: il Rahakanariwa era l'epidemia. La morte che minacciava la tribù non era un uccello mitologico, bensì qualcosa di molto più concreto e imminente. Corsero verso il centro del villaggio, dove la dottoressa Torres stava per infilare l'ago della siringa nel braccio di Tahama. Senza pensarci due volte, Alex si scaraventò come un bolide sul guerriero facendolo cadere all'indietro. Tahama si rimise in piedi con un salto e sollevò il bastone per schiacciare il ragazzo come uno scarafaggio, ma un urlo di Nadia trattenne l'arma a mezz'aria.
"No! No! Lì c'è il Rahakanariwa!" gridò la ragazzina indicando i flaconi del vaccino.
César pensò che a sua figlia avesse dato di volta il cervello e cercò di afferrarla, ma Nadia si liberò e corse verso Alex, strillando e tirando pugni a Carías che voleva impedirle di passare. Le parole le si accavallavano mentre cercava precipitosamente di spiegare agli indios che si era sbagliata, che i vaccini non li avrebbero salvati, ma uccisi, perché il Rahakanariwa era nella siringa.