I.
L'INCUBO
All'alba Alexander Cold fu svegliato di soprassalto da un incubo. Aveva sognato un enorme uccello nero che si schiantava contro la finestra con un fragore di vetri infranti, penetrava in casa e si portava via la mamma. Immobile osservava il gigantesco avvoltoio ghermire la madre per i vestiti con i suoi artigli gialli, volare dalla finestra rotta e perdersi in un cielo carico di densi nuvoloni. Il rumore del vento che sferzava gli alberi, la pioggia sul tetto, lampi e tuoni gli tolsero definitivamente il sonno. Accese la luce con la sensazione di trovarsi su una barca alla deriva e si avvinghiò alla sagoma del cagnone che gli dormiva di fianco. Sapeva che a pochi isolati da casa sua l'Oceano Pacifico mugghiava, infrangendo le sue onde furiose contro la scogliera. Rimase ad ascoltare la tempesta e a pensare all'uccello nero e alla mamma, in attesa che si placassero i rulli di tamburo che sentiva nel petto. Era ancora impigliato nelle immagini di quel brutto sogno.
Guardò l'orologio: le sei e mezzo, ora di alzarsi. Fuori iniziava appena a schiarire. Decise che quella sarebbe stata una giornata orribile, una di quelle giornate in cui era meglio starsene a letto, visto che tanto sarebbe andato tutto storto. A volte, da quando la mamma si era ammalata, l'atmosfera in casa era pesante, come essere in fondo al mare. Allora l'unico sollievo era fuggire, andare a correre sulla spiaggia con Poncho fino a restare senza fiato. Ma non faceva altro che piovere da una settimana, un vero diluvio, e per giunta Poncho era stato morso da un cervo e non voleva saperne di muoversi. Alex era convinto che il suo fosse il cane più tonto del mondo, l'unico labrador di quaranta chili morso da un cervo. In quattro anni di vita, lo avevano attaccato orsetti lavatori, il gatto del vicino e adesso un cervo, per non contare tutte le volte in cui era stato spruzzato dalle moffette e si era dovuto fargli il bagno nella salsa di pomodoro per attenuare la puzza. Alex si alzò dal letto senza disturbare Poncho e si vestì tremando; il riscaldamento veniva acceso alle sei, ma non era ancora riuscito a intiepidire la sua camera, l'ultima del corridoio.
A colazione Alex era di cattivo umore, certo non dello spirito giusto per festeggiare gli sforzi del papà nel preparare le crêpe. John Cold non era esattamente quel che si dice un bravo cuoco: sapeva fare soltanto le crêpe, che oltretutto gli venivano male, una specie di tortilla di caucciù. Per non offenderlo, i figli se le portavano alla bocca, ma alla prima occasione approfittavano per sputarle nella pattumiera. Avevano cercato inutilmente di allenare Poncho a mangiarsele: il cane era fesso, ma non così tanto.
"Quando starà meglio la mamma?" chiese Nicole, cercando di infilzare la crêpe di gomma con la forchetta.
"Sta' zitta, stupida" replicò Alex, stufo di sentire la sorellina ripetere la stessa domanda più volte alla settimana.
"La mamma morirà" commentò Andrea, la sorella più grande di Alex.
"Bugiarda! Non è vero che morirà!" strillò Nicole.
"Siete due mocciose e non capite niente di niente!" esclamò Alex.
"Su, ragazzi, calmatevi. La mamma guarirà..." li interruppe John senza convinzione.
Alex provò rabbia verso il padre, le sorelle, Poncho, la vita in generale e perfino la mamma, che aveva pensato bene di ammalarsi. Si allontanò dalla cucina a grandi passi, pronto a uscire di casa a stomaco vuoto, ma nel corridoio inciampò nel cane e cadde bocconi.
"Levati di mezzo, deficiente!" gli gridò e Poncho, allegramente, gli diede una sonora leccatona sulla faccia che gli lasciò gli occhiali coperti di saliva.
Sì, era decisamente una giornata nera. Poco dopo suo padre scoprì che aveva una ruota della jeep a terra e Alex dovette aiutarlo a cambiarla, ma persero comunque minuti preziosi e arrivarono tardi a scuola. Nella precipitosa uscita da casa, Alex si era dimenticato i compiti di matematica e ciò contribuì a peggiorare i rapporti col professore, quell'ometto patetico che, così gli sembrava, si era messo in testa di rendergli la vita impossibile. Come se non bastasse, aveva lasciato a casa anche il flauto e quel pomeriggio aveva una prova con l'orchestra della scuola; era il solista e non poteva certo mancare.
Fu proprio per il flauto che Alex dovette tornare a casa durante l'intervallo di mezzogiorno. La tempesta era cessata, ma il mare era ancora mosso e così lui non poté prendere la scorciatoia lungo la spiaggia perché le onde superavano la scogliera allagando la strada; prese quella lunga, di corsa, perché aveva solo quaranta minuti a disposizione.
Durante le ultime settimane, da quando la mamma era peggiorata, veniva una donna delle pulizie, ma aveva avvisato che quel giorno, a causa del temporale, non sarebbe andata. Comunque, non serviva a granché visto che la casa era perennemente sporca. Persino da fuori era evidente lo stato di degrado, come se tutto fosse diventato triste: già dal giardino, si coglieva un senso di abbandono, che si estendeva poi per tutte le camere, fino al più remoto degli angoli.
Alex aveva la sensazione che la sua famiglia era sul punto di sfasciarsi. Andrea, che era sempre stata piuttosto diversa rispetto alle sue coetanee, ora andava in giro travestita e si perdeva per ore in un suo mondo di fantasie in cui le streghe vigilavano dagli specchi e gli extraterrestri nuotavano nella minestra. Non aveva più l'età per queste cose, a dodici anni si sarebbe dovuta interessare ai ragazzi o ai buchi nelle orecchie, immaginava Alex. Dal canto suo, Nicole, la più piccola della famiglia, stava mettendo insieme uno zoo quasi a compensare le attenzioni che non poteva ricevere dalla mamma. Dava da mangiare a diversi orsetti lavatori e moffette che gironzolavano intorno alla casa; aveva adottato sei gattini e li teneva nascosti nel garage; aveva salvato la vita a un uccellaccio con un'ala rotta e custodiva una biscia lunga un metro in una scatola. Se la mamma l'avesse trovata sarebbe morta sul colpo dalla paura, ma era improbabile che ciò potesse succedere perché, quando non era all'ospedale, Lisa Cold passava le giornate a letto.
Fatta eccezione per le crêpe di suo padre e per qualche tramezzino al tonno e maionese, specialità di Andrea, nessuno in casa cucinava da mesi. Nel frigorifero c'erano solamente succhi d'arancia, latte e gelati; per cena ordinavano al telefono pizze o cucina cinese. All'inizio sembrava quasi una festa, perché ognuno mangiava all'ora che voleva quel che gli pareva, più che altro dolci, ma ormai sentivano tutti la mancanza della dieta sana dei tempi normali. In quei mesi Alex aveva potuto capire quanto grande fosse la presenza della mamma e quanto pesasse ora la sua assenza. Gli mancavano le sue risate e il suo affetto, ma anche la sua severità. Era più rigida del papà e anche più furba; era impossibile ingannarla perché sembrava dotata di un terzo occhio in grado di vedere l'invisibile. Ora non si sentiva più la sua voce canticchiare in italiano, non c'erano né musica né fiori, e neanche quel tipico profumo di biscotti appena sfornati e di colori a olio. Prima sua madre riusciva a lavorare diverse ore nel suo laboratorio, a tenere la casa in modo impeccabile e ad accogliere i figli con i biscotti; ora a malapena si alzava e si aggirava per le stanze con aria sconcertata, come se non riconoscesse la sua casa, smunta, con gli occhi incavati e cerchiati da ombre. I suoi quadri, che prima sembravano autentiche esplosioni di colore, ora giacevano dimenticati sui cavalletti e i colori si seccavano nei tubetti. Lisa sembrava rimpicciolita, non era che un fantasma silenzioso.
Alex non aveva più nessuno a cui chiedere di grattargli la schiena o di tirargli su il morale quando si svegliava sentendosi uno straccio. Suo padre non era tipo da coccole. Andavano insieme a scalare montagne, ma parlavano poco; e poi John era cambiato, come tutti in famiglia. Non era più l'uomo sereno di prima, perdeva spesso la pazienza, non solo con i figli, ma anche con la moglie. A volte gridava rimproverando a Lisa di non mangiare abbastanza o di non prendere le medicine, ma immediatamente si pentiva dei suoi scatti e le chiedeva scusa, angosciato. Queste scene lasciavano Alex profondamente scosso: non tollerava di vedere la mamma priva di forze e il papà con gli occhi pieni di lacrime.
Arrivando a casa, quel mezzogiorno, si stupì di trovare la jeep di suo padre che in genere, a quell'ora, era a lavorare in ospedale. Entrò dalla porta della cucina, che era sempre aperta, con l'intenzione di mangiare qualcosa, prendere il flauto e uscire a razzo per tornare a scuola. Diede un'occhiata in giro e vide solo i resti fossilizzati della pizza della sera prima. Rassegnato a tenersi la fame, si diresse verso il frigorifero alla ricerca di un bicchiere di latte. In quel momento sentì piangere. In un primo momento pensò che fossero i gattini di Nicole nel garage, ma si rese subito conto che il suono proveniva dalla camera dei suoi genitori. Senza intenzione di andare a spiare, in modo quasi automatico, la raggiunse e spinse dolcemente la porta socchiusa. Quel che vide lo lasciò di sasso.
In mezzo alla stanza c'era la mamma, in camicia da notte e scalza, seduta su uno sgabello, con il viso tra le mani, in lacrime. Il padre, dietro di lei, impugnava il vecchio rasoio da barba del nonno. Lunghe ciocche di capelli neri coprivano il pavimento e le fragili spalle della mamma; la sua testa rapata brillava come marmo nella pallida luce che filtrava dalla finestra.
Per qualche secondo il ragazzo rimase paralizzato dallo stupore, incapace di raccapezzarsi in quella scena, senza capire cosa significavano i capelli per terra, la testa calva e quel rasoio nelle mani di suo padre che riluceva a pochi millimetri dal collo chino della mamma. Quando tornò in sé, un grido terribile gli salì dai piedi e un'ondata di follia lo scosse interamente. Si scagliò contro John e con uno spintone lo buttò a terra. Il rasoio fece un arco nell'aria, nel volo gli sfiorò la fronte e si conficcò di punta nel pavimento. La mamma iniziò allora a chiamarlo, tirandolo per i vestiti per separarlo dal padre, mentre lui sferrava colpi alla cieca, senza vedere dove andavano a parare.
"Basta, Alex, calmati, non è niente" supplicava Lisa trattenendolo con le sue poche forze mentre il padre si proteggeva la testa con le braccia.
Alla fine la voce della madre si fece largo nella sua mente e l'ira si spense in un attimo, cedendo il passo allo sconcerto e all'orrore per quel che aveva fatto. Si alzò in piedi e iniziò a indietreggiare barcollando; poi si mise a correre e si chiuse in camera sua. Trascinò la scrivania e sbarrò la porta, tappandosi le orecchie per non sentire i genitori che lo chiamavano. Rimase a lungo appoggiato al muro, a occhi chiusi, cercando di controllare l'uragano di sentimenti che lo scuoteva. Subito dopo cominciò a distruggere in modo sistematico tutto quello che c'era nella stanza. Staccò i poster dalle pareti e li sminuzzò uno a uno; impugnò la mazza da baseball e si avventò contro i quadri e le videocassette; polverizzò la sua collezione di macchinine antiche e di aerei della Prima guerra mondiale; strappò le pagine dei libri; squarciò con il coltellino svizzero il materasso e i cuscini; tagliuzzò i vestiti e le coperte e infine calpestò la lampada fino a ridurla in pezzi. Portò a compimento l'opera di devastazione senza fretta, con metodo, in silenzio, come chi realizza un compito fondamentale; si fermò solamente quando gli vennero meno le forze e non c'era più niente da distruggere. Il pavimento era ricoperto di piume e imbottitura del materasso, vetri, carta, stracci e pezzi di giocattoli. Annientato dalle emozioni e dalla fatica, Alex si buttò in mezzo a quel disastro raggomitolandosi come una chiocciola, con la testa tra le ginocchia, e pianse finché si addormentò.
Si svegliò qualche ora dopo per le grida delle sorelle e ci mise alcuni minuti a mettere a fuoco cosa era successo. Fece per accendere la luce, ma la lampada era in frantumi. A tentoni si avvicinò alla porta, inciampò e imprecò quando la sua mano poggiò su una scheggia di vetro. Non ricordava di aver spostato la scrivania e dovette spingerla con tutto il corpo per aprire la porta. La luce del corridoio illuminò quel campo di battaglia in cui si era trasformata la sua camera e le facce stupite delle sorelle sulla soglia.
"Cambi l'arredamento, Alex?" lo canzonò Andrea, mentre Nicole si copriva la faccia per soffocare le risate.
Alex sbatté loro la porta sul naso e si sedette a terra a pensare, comprimendosi con le dita il taglio alla mano. L'idea di morire dissanguato gli sembrò allettante, per lo meno non avrebbe dovuto affrontare i genitori dopo quel che aveva combinato, ma cambiò subito idea. Doveva lavarsi la ferita prima che si infettasse. E poi cominciava già a fargli male, doveva essere un taglio profondo, poteva prendersi il tetano... Uscì con passo incerto perché ci vedeva a stento: i suoi occhiali si erano persi nella confusione e aveva gli occhi gonfi dal pianto. Si affacciò in cucina, dove era riunito il resto della famiglia, sua madre compresa, con un fazzoletto di cotone annodato sulla testa che le dava un'aria da profuga.
"Mi dispiace..." balbettò Alex con lo sguardo inchiodato a terra.
Lisa trattenne un'esclamazione vedendo la maglietta di Alex macchiata di sangue e a un cenno del marito prese le due figlie per mano e le portò via senza dire una parola. John si avvicinò ad Alex per occuparsi della mano ferita.
"Non so cosa mi ha preso, papà..." mormorò il ragazzo, senza osare sollevare gli occhi.
"Anch'io ho paura, figliolo."
"La mamma morirà?" chiese Alex con un filo di voce.
"Non lo so, Alexander. Metti la mano sotto il getto d'acqua fredda" gli ordinò il padre.
John pulì la ferita dal sangue, esaminò il taglio e decise di fargli un'iniezione di anestetico per togliere i vetri e dare dei punti. Alex, che solitamente alla vista del sangue si sentiva mancare, questa volta sopportò la medicazione senza batter ciglio, grato della presenza di un medico in famiglia. Suo padre cosparse la ferita con una polvere disinfettante e gli bendò la mano.
"Sarebbero comunque caduti i capelli alla mamma, vero?" chiese il ragazzo.
"Sì, per la chemioterapia. È meglio tagliarli una volta per tutte che vederli cadere a ciocche. Ma è il meno, Alex, torneranno a crescere. Siediti, dobbiamo parlare."
"Scusami, papà. Lavorerò per ricomprare tutto quello che ho rotto."
"Non preoccuparti, immagino che avessi bisogno di sfogarti. Non parliamone più, ho cose più importanti da dirti. Dovrò portare la mamma in un ospedale in Texas, dove la sottoporranno a una cura lunga e complicata. È l'unico posto in cui è possibile farla."
"E così guarirà?" domandò ansioso il ragazzo.
"È quel che spero, Alexander. Io andrò con lei, ovviamente. Questa casa rimarrà chiusa per un po' di tempo."
"E cosa faremo io e le mie sorelle?"
"Andrea e Nicole andranno a stare da nonna Carla. Tu andrai da mia madre" gli spiegò.
"Da nonna Kate? Non ci voglio andare, papà! Perché non posso stare con le mie sorelle? Nonna Carla almeno sa cucinare..."
"Tre bambini sono troppo impegnativi per lei."
"Ho quindici anni, papà, un'età sufficiente per chiedermi almeno il mio parere. Non è giusto che tu mi spedisca a casa di Kate come un pacco. E sempre la stessa storia, tu decidi e io devo ubbedire. Non sono più un bambino!" argomentò Alex.
"A volte ti comporti come tale" sorrise John indicando il taglio alla mano.
"È stato un incidente; può capitare a chiunque. Mi comporterò bene da nonna Carla, te lo prometto."
"So che le tue intenzioni sono buone, figlio mio, ma alle volte perdi la testa."
"Ti ho già detto che pagherò tutto quello che ho spaccato!" urlò Alexander battendo il pugno sul tavolo.
"Vedi come perdi il controllo? Questo non ha niente a che vedere con la distruzione della tua camera. Eravamo già d'accordo con nonna Carla e con mia madre. Voi tre dovrete andare dalle nonne, non c'è alternativa. Partirai per New York nel giro di due giorni."
"Da solo?"
"Da solo. Temo che d'ora in poi dovrai fare molte cose da solo. Ti porterai dietro il passaporto perché credo che affronterai una grande avventura insieme a lei."
"Dove?"
"In Amazzonia..."
"In Amazzonia!" esclamò Alex spaventato. "Ho visto un documentario sull'Amazzonia, quel posto è pieno di zanzare, caimani e banditi. C'è ogni tipo di malattia, persino la lebbra!"
"Immagino che mia madre sappia quel che fa, non ti porterebbe in un posto in cui rischi la vita, Alexander."
"Kate è capace di spingermi in un fiume infestato di piranha, papà. Con una nonna del genere non occorrono nemici" farfugliò il ragazzo.
"Mi dispiace, ma ci devi andare comunque, figliolo."
"E la scuola? Siamo in periodo d'esami. E poi non posso abbandonare l'orchestra dall'oggi al domani..."
"Bisogna essere flessibili, Alexander. La nostra famiglia sta attraversando un momento di crisi. Sai quali sono i caratteri cinesi con cui si scrive la parola crisi? Pericolo + occasione. Forse il pericolo della malattia della mamma ti sta offrendo un'occasione straordinaria. Vai a preparare le tue cose."
"Non ho molto da portar via..." ammise Alex mortificato. "Meglio. Viaggerai leggero. Adesso vai a dare un bacio a tua madre, che è molto provata da quello che le sta succedendo. Per lei è molto più duro che per chiunque di noi, Alexander. Dobbiamo essere forti, come lo è lei" disse John tristemente.
Fino a un paio di mesi prima Alex era stato felice. Non aveva mai sentito il bisogno di esplorare oltre i limiti sicuri della sua esistenza; era convinto che non facendo sciocchezze sarebbe filato tutto liscio. Aveva progetti normali per il futuro, pensava di diventare un musicista famoso, come suo nonno Joseph Cold, di sposarsi con Cecilia Burns, se lei fosse stata d'accordo, di avere due figli e di vivere vicino alle montagne. Era soddisfatto della sua vita, come studente e come sportivo se la cavava bene, pur senza eccellere, aveva un buon carattere e non si ficcava in grossi guai. Si riteneva una persona piuttosto normale, rispetto ai mostri che c'erano in giro, tipo quei ragazzi che erano entrati con le mitragliatrici in una scuola del Colorado e avevano massacrato i loro compagni. E senza bisogno di andare tanto lontano, anche nella sua scuola c'erano tizi disgustosi. No, lui non era di quel genere. La verità era che l'unica cosa che desiderava era tornare alla vita di qualche mese prima, quando sua madre stava bene. Non voleva andare in Amazzonia con Kate. Quella nonna gli metteva una certa paura.
Due giorni dopo Alex si congedò dal luogo in cui aveva trascorso i primi quindici anni della sua esistenza. Portò con sé l'immagine della mamma sulla porta di casa, con un berretto che le copriva la testa rasata, che gli sorrideva e lo salutava con la mano mentre le lacrime le scivolavano lungo le guance. Era minuta, vulnerabile e bella, nonostante tutto. Il ragazzo salì sull'aereo pensando a lei e alla terrificante eventualità di perderla. No! Non posso vederla così, devo avere pensieri positivi, la mamma guarirà, mormorò tra sé più volte durante il lungo viaggio.