15
È una bella giornata. Una luce primaverile nella stanza.
Tutto è in ordine, alcune scatole sono accatastate vicino alla porta. Non c’è nessuno.
La donna delle pulizie sta sistemando, uno sull’altro gli abiti e le lenzuola.
Sembra una casa prima di una vacanza. C’è profumo di sapone.
Suonano il campanello. La donna va ad aprire.
«Chi è?»
«Sono Alessandra… della trattoria.»
La donna apre e Alessandra resta sulla soglia.
«Buongiorno.»
«Buongiorno…»
«Sono venuta per prendere il registratore.»
«Ah sì, entra. Io non me ne intendo di queste cose, vedi tu stessa.»
La donna le fa spazio e la fa passare. La ragazza entra in casa e si muove piano, spaesata. Si guarda intorno.
«Ho svuotato l’armadio, le scatole le ho messe tutte lì.»
«Sì, ho visto.»
«Io finisco di piegare camicie, che me ne devo andare.»
Alessandra guarda le scatole accatastate, i documenti, le fotografie ingiallite.
Poi sfoglia alcune riviste, lentamente, con delicatezza. C’è un silenzio diverso, dentro quella stanza, adesso.
«Era una brava persona, educato, un gentiluomo.»
«Sì…»
«Non è che parlava assai, ma io mi ero affezionata.»
«…»
«Si stirava pure camicie da solo. Sempre a posto, sbarbato, profumato…»
«…»
«Tu lo conoscevi bene?»
«Gli portavo il pranzo.»
«Guarda, ci stanno le fotografie di quando era giovane… mia madre era innamorata. Diceva che era un grande attore, un attore famoso. Mi ero fatto dare pure una fotografia con l’autografo e la dedica. Per mia madre.»
«Sarà stata contenta.»
«Sì.»
«…»
«Era malato, però. Stava sempre solo… nessuno lo veniva a trovare.»
«…»
«Che brutta cosa. Un attore famoso, trattato come a un vecchio qualsiasi.»
La donna prende dal bagno un contenitore con oggetti e medicine e lo posa sul tavolo, poi guarda le scatole accatastate.
«E questa roba… che dobbiamo fare, tutte queste carte, quelli domani vogliono già la casa libera… l’agenzia, neanche il tempo di andarsene e subito… che brutta cosa. Non c’è rispetto.»
Poi piange, si soffia il naso. E abbraccia Alessandra. Come si fa in certe cerimonie di commemorazione, tra persone che non si conoscono. Anzi no. La abbraccia davvero, e si stringono un po’, come se fossero amiche, come se non si potesse fare altrimenti.
«Posso… posso prenderle io.»
«Cosa?»
«Le scatole.»
«Le scatole? E prenditele, chi se le deve prendere… quello non teneva a nessuno. Sono piene di carte vecchie. Se non te le prendi tu, dentro al cassonetto vanno a finire.»
«Le prendo io, allora. Grazie.»
«Gli asciugamani di lino e le piante me li porto a casa, pure la vestaglia, è peccato, è di seta buona. I vestiti li porto alla parrocchia.»
Si toglie i guanti di plastica, li infila in una busta. Alessandra posa le scatole sul tavolo, tra queste quella del 1962, con sopra il registratore.
«Io ho dato una rassettata, ho pulito bagno e tutto, le altre cose le lascio come stanno che poi viene il portiere a prenderle e a metterle in cantina. Tutti quei dischi dell’opera…»
«Potremmo darli alla biblioteca di quartiere, insieme ai libri… che dice?»
«Dico che mo’ me ne devo andare… se tu ti vuoi trattenere, per vedere le carte, ti lascio la chiave, basta che poi la lasci tu al portiere del portone accanto… mi raccomando.»
«Sì… va bene, grazie. Gliela porto io.»
«Digli che ho sistemato tutti i vestiti sul letto, gli asciugamani e le lenzuola, quello che vuole prendere si prende.»
«…d’accordo.»
«Allora io me ne vado, questa è la chiave, il portachiavi è il mio, ma non fa niente.»
«Va bene. Non starò molto, solo il tempo di scegliere alcune cose.»
«Stai quello che devi stare, l’importante è che chiudi le finestre però, prima di andartene, che qui c’è sempre corrente.»
«Va bene.»
«Allora me ne vado, ciao.»
«Buongiorno.»
Maria resta qualche istante ferma a guardare. Poi sospira.
«È brutto morire senza figli.»
La donna si soffia il naso ed esce.
Alessandra resta sola.
Ferma, in piedi, davanti al tavolo. Tutto fermo. Anche i rumori, attutiti, in un silenzio innaturale.
Poi si muove, lentamente, come se dovesse pensare a ogni passo, al contatto dei piedi sul pavimento. Si affaccia sulla porta del bagno, l’odore del detersivo, il rasoio, il pennello, il dopobarba. Lo specchio, e la sua faccia.
E torna indietro, verso il tavolo. Apre le finestre, non c’è mai stata tanta luce in quella stanza.
Guarda tra le scatole accatastate, lascia scivolare i polpastrelli sul cartone, vorrebbe dire qualcosa. Scorre le foto, i ritagli, le locandine.
Infine prende la scatola con la scritta ANNO 1962. Sopra è posato il registratore, subito sotto il copione di Amleto.
Sul frontespizio c’è una nota scritta a mano. Si siede e la legge.
Tutto il mondo è in una stanza. E la stanza è tutto il mondo.
Per Alessandra, e la vita bella che verrà.
Resta seduta, per un po’, senza fare nulla.
E comincia a piangere.
Pensa a suo padre, al laboratorio di ebanista, alle sue mani sottili. Alla casa della sua infanzia, che non c’è più. Al suono del pianoforte, che arriva da fuori, da chissà dove, nel palazzo di fronte.
Si alza e si avvicina al giradischi. Resta ferma. Un tempo lungo.
Infine sceglie un disco e lo mette sul piatto. È un disco che il maestro ascoltava spesso. L’intermezzo della Cavalleria Rusticana di Mascagni.
Muove il braccio e sente il crepitio della puntina.
E resta lì. Ferma ad ascoltare.
Suo padre è morto in agosto, era una giornata bellissima.
Alessandra prende il copione di Amleto e lo sfoglia, una pagina dopo l’altra.
Tutti quei disegni e le note a margine. Scivolate via. Dove finiscono quelle parole.
Dove finiscono tutte quelle parole.
E la sua voce, le mani, gli occhi che guizzavano nel buio.
E tutto quello che avrebbero potuto raccontare ancora.
Poi non pensa più nulla.
Ha solo un’idea, forse è un’idea stupida pensa. Ma chi se ne importa, forse lui avrebbe voluto.
Prende una sedia e sale sul tavolo con il copione in mano. Se ne sta così, in piedi, sul tavolo.
Apre il copione, alle ultime pagine, e si schiarisce la voce. Poi, lentamente, comincia a leggere.
«Lasciatemi… lasciatemi dire al mondo…»
Prende ancora un respiro.
«Lasciatemi dire al mondo che non sa, che cosa è avvenuto. Si spezza un nobile cuore. Buonanotte, principe.»
Buonanotte, principe.
«E canti e voli d’angeli ti accompagnino, al tuo riposo. Quattro… quattro capitani portino Amleto, Amleto su un palco da soldato, perché certo, messo alla prova, sarebbe stato un vero re. E per il suo… e per il suo trapasso musica da soldati. E riti militari.»
In suo onore.
Non c’è più nessuno.
Soltanto lei, con le braccia molli, lungo i fianchi.
In piedi, su quel tavolo.
Davanti al pubblico.
Scende dalla sedia, ferma il giradischi e raccoglie le scatole.
Si guarda indietro un’ultima volta, ed esce.
Resta la stanza vuota, e la luce.
Poi, lentamente, inaspettatamente,
in quella stanza,
comincia a piovere.
BUIO