Tutto il mondo è in una stanza.

Le pareti grigie.

Una grande finestra.

Un tavolo, una libreria, un vecchio giradischi.

Tutto il mondo è in quella stanza.

C’è un armadio, incassato nel muro, ci sono giornali, fotografie, vecchi copioni e alcuni abiti di scena. Ogni mattina lui si sveglia, si lava, fa colazione. Prima di cominciare, si ferma a guardare la tavola, apparecchiata di carte e giornali. E controlla che tutto sia al suo posto.

Mettere ordine. Ecco.

A volte si lascia prendere dalle geometrie della solitudine, misura coi passi il perimetro, un passo dietro l’altro, ventitré passi esatti. A volte pensa che sia tutta colpa del silenzio.

C’è gente che impazzisce, quando resta sola.

Poi però pensa che il silenzio gli piace, e la solitudine, quella casa, quel palazzo vuoto.

Ad altri potrebbe fare paura, quel palazzo vuoto.

Ma lui non ha paura, non ne ha mai avuta.

Corrado non esce quasi mai.

Passa il tempo a leggere, scrivere, ascoltare musica, e a mettere ordine nel suo archivio.

Mettere ordine.

Nelle sere di vento, in primavera, in quella stanza si spande il sentore dolciastro della magnolia. Arriva da un giardino segreto, che lui non riesce a vedere.

Tutto sembra vicino, e lontano.

In quella casa, al quinto piano di un palazzo nel centro di Roma.

Nella stanza non ci entra nessuno.

Tranne una ragazza. Si chiama Alessandra, fa la cameriera in un ristorante.

Lei porta il pranzo e la cena, al Maestro.

Lo chiama così, Maestro. I loro incontri sono brevi. Solo il tempo di consegnare e di ritirare il vassoio. Solo il tempo di salutare.

Tutto il mondo in una stanza. E la stanza è tutto il mondo.

Era una filastrocca, Corrado la ascoltava da bambino.

La recitava una vecchia balia.

Ora non se la ricorda più.