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Chi lo vuole l’amore, le attese, i rumori dei passi nelle altre stanze? Il profumo dei capelli appena lavati, le dita che toccano le dita. Chi è che cerca quel suono, distesi nel letto, quando le voci parlano al buio, e lo spazio si dilata, fino a sembrarti il mondo?

Le persone appaiono e scompaiono. Spariscono dalla tua vita.

È a questo che pensa, mentre la giornata finisce. E gli sembra che alla fine sia giusto così.

Gli sembra adesso di non poter essere in nessun altro posto, se non in quello spazio stretto, in quella oscurità. E rimane a guardare le facce che scompaiono, le mani, le tavole illuminate per le cene. Vorrebbe solo provare, ancora una volta, la fatica di quelle giornate, la bellezza di sentirsi stanco, per un motivo. Quella bellezza delle giornate perdute.

La casa gli sembrò improvvisamente inospitale. Lei era andata via, lasciando abiti, scarpe, e giornali. Il divano cremisi, le posate con l’impugnatura di porcellana, i lampadari colorati a rombi. Tutta la collezione di dischi e di libri.

Molti di quei libri e quei dischi li avevano scelti insieme. Francesca non prese nulla, andando via.

«Neanche le foto di noi due al mare.»

Gliele aveva scattate un turista danese, a Ponza, qualche anno prima. Francesca amava Ponza, lui no. Ma gli piaceva vederla felice, con quella tunica bianca e il cappello, sulla scalinata che la portava dalla spiaggia alla casa di calce, aggrappata sulla roccia, a strapiombo sul mare.

Lei era felice, quel posto le ricordava la sua infanzia. E a lui bastava questo.

Quando se ne andò non prese neanche gli orecchini con le perle di sua madre.

Se ne andò via così. Quasi nuda.

Cominciarono le prove di Amleto senza Ofelia. Francesca non si presentò alla convocazione, e fece arrivare una lettera alla produzione. Si scusava, ma era dovuta partire con urgenza. Non sapeva quando sarebbe tornata. Tutti guardarono Corrado, e lui non disse nulla.

Alla lettera seguì un telegramma, il giorno dopo. Non ne parlarono più. Il posto di Francesca lo prese Maddalena Lipari. Era brava, ma non era lei.

Adesso quel pensiero si scolora. Si dissolve nei grigi della stanza.

Si dissolve.

Rimane a fissare un punto, poi chiude gli occhi. Le mosche grigie continuano a volare.

Poco dopo bussano alla porta.

Corrado si alza e va ad aprire.

È Alessandra con un vassoio. Sorride.

«Eccomi. Il minestrone.»

Il sorriso le illumina il viso. Ha i denti bianchi, e l’incarnato addolcito dalla cornice dei capelli castani. Potrebbe avere vent’anni, pensa Corrado, forse ha proprio vent’anni.

«Sono venuta troppo presto?»

«No… prego, metta pure sul tavolo.»

Allora entra e poggia il vassoio sul tavolo, lì dove è sgombro dalle carte. Mentre sistema il piatto dà un’occhiata ai documenti. Esita un istante, si morde il labbro.

Poi è come se prendesse coraggio.

«Lei ha recitato nel Cid

«Come?»

«No scusi, senza volerlo, ho visto il programma di sala.»

Lui la guarda. Non è né bella né brutta, pensa.

«Sono vecchie carte.»

«L’ho letto l’anno scorso.»

«Bene.»

«Mi è piaciuto molto.»

«…»

«Anche se io preferisco il teatro elisabettiano, Shakespeare appunto, ma anche Ben Jonson, Marlowe…»

«Sono i suoi gusti.»

«Sì, certo.»

«Già.»

Non è né bella né brutta. La sua voce ha un suono asciutto, e questo non è male, pensa Corrado. Poi lei riprende.

«Lo sa quello che dicevano di Marlowe?»

«Cosa dicevano?»

«Che stupida, lo saprà sicuramente.»

«Cosa dicevano?»

«Sì, insomma… che molti dei drammi scespiriani li avrebbe scritti lui, no?»

«Dicevano questo.»

«Sì. È che in quel periodo è tutto così confuso, le fonti sono tante, diverse.»

«…»

«Marlowe è morto in una rissa, aveva ventinove anni, lo sapeva?»

«Credo di sì.»

«È incredibile.»

«Che cosa?»

«Voglio dire, ha scritto delle opere straordinarie, Tamerlano, Faust, eppure…»

«Eppure?»

«Be’, era, dicono… era un dissoluto, un uomo senza regole, un attaccabrighe.»

«Quindi?»

«Era un perdigiorno.»

«Ebbene?»

«Come può un uomo così scrivere delle opere straordinarie?»

«Lei ne è sicura?»

«Ci sono fonti.»

«Lasci stare le fonti. Non mi riferivo a questo.»

«E a cosa?»

«La vita importa poco.»

«Non capisco.»

«Leggiamo le opere e non occupiamoci della vita, gli artisti vivono in quello che producono, la vita importa poco.»

«Certo…»

Restano uno di fronte all’altra, in silenzio. Alessandra porta i jeans e un maglioncino con lo scollo a barchetta. Il rilievo morbido dei seni modella la figura, piccola ma armoniosa. Corrado nota che sulle guance si formano delle piccole fossette, quando sorride.

«Adesso mi scusi ma è tardi.»

«Scusi lei. Le ho fatto perdere tempo un’altra volta, è che parlare di questi argomenti mi appassiona.»

«Posso capirlo.»

«La lascio alle sue cose.»

«Grazie.»

«È stato un piacere…»

«…»

«…parlare con lei.»

«…»

«Passo a prendere tutto più tardi.»

«Va bene.»

«Buon appetito, allora.»

«Grazie.»

Alessandra esce. Corrado resta in piedi accanto alla porta.

Sempre il minimo indispensabile. Compiere gesti elementari.

Lo ha imparato in tanti anni. Togliere sempre qualcosa, piuttosto che aggiungere. Sottrarre peso alle cose, ai movimenti, alle parole. Rendere tutto essenziale, primario, per raggiungere il massimo di energia potenziale.

Entrare e uscire di scena, coprendo le distanze con i passi che servono, sapendo che ti guarderanno entrare e uscire, e aspetteranno di sentire un’emozione, anche soltanto per quel gesto semplice. Compiere gesti elementari, con calma e determinazione, perché è questo che serve.

Corrado resta in piedi accanto alla porta, ancora pochi istanti.

Poi si avvicina al mobile con la radio, cerca la sintonia, ascolta un pezzetto per ogni canale, non trova quello che vorrebbe. Allora spegne, e guarda fuori.

La luce sfuma, lentamente.