30

Katherine mise il piede sul freno appena vide che la luce verde del semaforo diventava gialla, era troppo stanca per accelerare e superare l’incrocio. Spostò la leva del cambio in posizione parking e appoggiò la nuca contro il poggiatesta. Quando finirà questa giornata? Si passò le dita sulle palpebre: l’emicrania le appesantiva le tempie e ogni pensiero faceva male. La sua mente era una matassa di parole e immagini disordinate. Era come se avesse di fronte le tessere di un puzzle, tutte mescolate insieme. Il fatto di non riuscire a tirare le fila di quanto successo negli ultimi giorni la rendeva nervosa.

Appena scattò il verde, ripartì. La strada era deserta in entrambi i sensi di marcia: poche auto e qualche taxi, la maggior parte con la luce accesa. Le insegne dei negozi erano spente e le serrande abbassate. Molti ristoranti avevano già chiuso. Gli unici locali aperti erano i pub e i cinema, da cui sbucavano coppie sorridenti o gruppi di ragazzi indaffarati a chiacchierare tra loro.

Katherine accelerò. Ho bisogno di dormire. Sentì gorgogliare lo stomaco. E forse anche di mangiare. L’idea di un piatto di spaghetti al dente le fece salire l’acquolina in bocca. Pensare al suo letto caldo, invece, non le diede alcuna serenità: sapeva che non avrebbe avuto un sonno rilassato nemmeno quella notte. Troppe cose non quadrano. E sono tutte legate una all’altra… questo significa che c’è un tassello che io non riesco ancora a vedere. Ora so che Bruce voleva informarmi dell’esistenza di codici nascosti nelle pagine dei libri. Ma che connessione hanno quei codici con il mio licenziamento e l’arrivo di Tomas McKey? Un collegamento ci deve essere per forza, altrimenti Jeremiah non avrebbe cambiato il management subito dopo la morte di Bruce. Guardò sul sedile del passeggero e per una frazione di secondo restò a fissare la busta bianca che le aveva consegnato Jim. Alcuni pezzi di quelli pubblicati sono stati rubati. Che sia questo l’anello della catena? Ma in che modo la scomparsa di quegli oggetti può avere a che fare con tutto il resto?

Katherine sfiorò la leva del lampeggiatore e svoltò nella via che costeggiava il palazzo dove abitava. Imboccò la rampa che portava al garage, nel seminterrato. Posteggiò la macchina nello slot contrassegnato con le sue iniziali e scese. Sentì un brivido di freddo e si infilò il soprabito. Prese la borsetta, la ventiquattrore che conteneva la memoria esterna dove Nick aveva trasferito tutti i dati del suo Mac, e la busta bianca. E si avviò verso l’ascensore.

I battenti di metallo si aprirono nell’atrio dell’ultimo piano su cui si affacciavano sei porte. Il suo appartamento confinava a destra con un monolocale abitato da un giovane ingegnere aerospaziale e a sinistra con un alloggio molto grande in cui viveva il proprietario del centro commerciale del piano terra, insieme alla moglie e ai tre figli. Gli altri due appartamenti erano vuoti. Uno era del costruttore dello stabile e non era mai stato arredato, l’altro era affittato da un regista che trascorreva la maggior parte del tempo in giro per il mondo. La sesta porta era l’uscita di sicurezza che dava sulle scale.

Katherine fece un passo fuori dall’ascensore e sobbalzò: seduto per terra, con la schiena appoggiata al muro, c’era Jethro Blake.

«Cosa ci fai qui?»

Jethro si alzò in piedi di scatto. «Ero preoccupato. Ti ho chiamata mille volte e ho sempre trovato il cellulare staccato.»

«Non è staccato: tu hai il numero aziendale e me l’hanno disattivato.»

«Mi spiace… non avevo immaginato. Oggi ti ho vista turbata e volevo parlarti. Ho telefonato in ufficio e sono riuscito a farmi dare il tuo indirizzo di casa, così sono venuto qui. La prima volta il portiere mi ha detto che non eri rientrata, così me ne sono andato. Sono tornato un paio d’ore dopo e la risposta è stata la stessa. Quando sono passato stasera, lui ti ha chiamata al numero fisso che hai in casa, ma suonava sempre libero. Allora gli ho chiesto a che piano abitavi e se potevo salire ad aspettarti. Gli ho lasciato i miei documenti per non farlo insospettire.»

«È mezzanotte passata!» Katherine era incredula.

«Te l’ho detto, ero in ansia… ho pensato addirittura di avvisare il nostro amico Santos Norris.»

Katherine sospirò. Gli occhi di quell’uomo erano sempre terribilmente sinceri. Estrasse le chiavi dalla borsetta e le infilò nella toppa. «Dai, entra.»

«No, no. Adesso che ho visto che stai bene, posso anche tornarmene in hotel. Se ti va, ti offro caffè e brioche domani mattina.»

«Hai cenato?»

«Non ancora…»

«Io è da ieri sera che non mangio. Se ti accontenti, metto a bollire l’acqua e faccio due spaghetti. Mi fai compagnia?»

Jethro esitò.

«Sono stravolta e non ho la forza di convincerti. Se sì, vieni dentro. Se no, ci vediamo domani.»

«Fammi solo un favore…»

«Quale?»

«Telefona al portiere giù di sotto e informalo che sei arrivata e che mi fai entrare in casa.»

Katherine capì che Jethro voleva farla sentire al sicuro. Prese il cellulare e fece la chiamata.

Prima di aprire la porta blindata si voltò verso di lui. «Ho un gatto, non restarci male se quando ti vede scappa a gambe levate. È diffidente e odia gli sconosciuti.»

«E fa bene.»

Katherine entrò e accese la luce. «Silvestro, sono io e c’è anche Jethro Blake, il fratello dello stronzo che mi ha fatta licenziare…»

Jethro non replicò e chiuse la porta alle spalle.

«Gattone…?»

Silvestro le corse incontro e appena vide Jethro si fermò con gli occhi vigili e le zampe divaricate, pronte a scattare.

«Adesso schizza via.»

Jethro si chinò e tese la mano. Il gatto allungò il collo e annusò l’aria. Diffidente, si avvicinò. Gli girò intorno, sapendo di essere osservato. Si strofinò con tutto il corpo contro di lui e cominciò a fare le fusa.

Non ci credo! «Ti assicuro che non si comporta mai così con gli estranei.»

«Siamo amici, eh?» Jethro gli grattò le orecchie.

Katherine appoggiò tutto quello che aveva in mano sulla poltrona nell’ingresso e ci buttò sopra il soprabito. Poi si diresse verso la cucina. «Lascia pure lì il giubbotto e, per quanto possibile, fai come se fossi a casa tua. Di sicuro, il divano è più comodo dello zerbino!»

«Il tuo zerbino era comodissimo…»

«Spero di non doverlo mai provare!»

«Non mi hai ancora detto come ti senti.» Il tono di Jethro era affettuoso.

«Stanca, confusa, frastornata… forse anche qualche altra cosa che adesso faccio fatica a esprimere.»

«Incazzata nera? Delusa?»

«Sì, anche.»

«All’aeroporto, dopo che te ne sei andata, ho chiamato Jeremiah. Volevo capire il perché.»

Katherine mise la pentola piena d’acqua sulla piastra a induzione e guardò Jethro negli occhi, in attesa.

«Gli ho chiesto di spiegarmi il motivo del tuo licenziamento. Abbiamo discusso, ma alla fine non ho ottenuto un granché. Lui sostiene che tu sei troppo emotiva, e per gli obiettivi da raggiungere serve qualcuno capace di maggiore freddezza.»

«Obiettivi che nessuno conosce…»

Jethro aggrottò la fronte e Katherine lesse un’espressione perplessa sul suo volto. «Tutto ok?»

«Mi ripeti quello che hai detto, per favore?»

«Non ho detto niente di particolare. Solo che io non ho afferrato quali sono gli obiettivi di cui tuo fratello parla. Ha cercato di convincere anche me della necessità di avere un manager razionale e cinico, ricordi? Ma io non so a cosa si riferisse. Per quello che mi è dato di sapere e che è stato scritto sul piano strategico, la 9Sense Publishing ha l’obiettivo di mantenere e consolidare la leadership di mercato, producendo margini crescenti. Obiettivo chiaro, che io ho sempre seguito come se fosse una stella polare. E tutto d’un tratto scopro che qualcosa è cambiato, che io non vado più bene per l’azienda. Muore Bruce e io devo togliere il disturbo.»

«Appunto… quando poco fa hai parlato di “obiettivi che nessuno conosce” ho avuto un flash: dalla brevissima chiacchierata con Jeremiah mi è sembrato di intuire che lui avesse un fine diverso. Altrimenti non mi spiego la decisione di licenziare te e assumere Tomas.»

«Credi che Jeremiah e Bruce la pensassero in modo differente sul business?»

«Forse erano arrivati ad avere due punti di vista divergenti, magari opposti. Questa potrebbe essere la causa dell’inquietudine di Bruce.»

«E che può averlo spinto a suicidarsi?»

«Non lo so. Però Bruce qualche giorno fa mi ha cercato per chiedermi aiuto. Non era mai successo in tanti anni di amicizia. Non riesco a levarmi dalla testa che volesse dirmi o farmi vedere qualcosa che non aveva niente a che fare con il contenuto della telefonata. Ha insistito perché venissi qui, senza che Jeremiah ne fosse informato.»

«Jeremiah sapeva tutto quello che faceva Bruce?»

«No, di sicuro. Ma trovo alquanto singolare che Bruce non l’avesse avvisato del mio arrivo in azienda. A Jeremiah l’ho comunicato io quello stesso giorno. Quando ci siamo incontrati sulle scale, avevo appena riagganciato con lui.»

Come ho fatto a non pensarci prima! Katherine portò le mani alla bocca. «Quindi Bruce ti aspettava…»

«Non ti seguo.»

«Prima di spararsi, Bruce mi ha mandata a chiamare. Sulle scale ti ho domandato se avevi un appuntamento con lui e tu mi hai risposto che non era un vero e proprio appuntamento, ma che vi eravate semplicemente accordati per vedervi.»

«Stai dicendo che Bruce voleva averci entrambi vicini mentre…?»

«È come se, per qualche ragione, avesse architettato tutto in modo che fossimo noi due a trovarlo con la testa polverizzata. All’inizio ho pensato che volesse che fossi io la prima a entrare nel suo ufficio, ma adesso il quadro si arricchisce…»

«Sai che per un attimo ho avuto anch’io la sensazione che Bruce desiderasse che io fossi lì in quel preciso momento? Ma perché?»

«Bella domanda. Eppure, più ci rifletto e più mi convinco che sia andata così.»

Katherine prese dall’armadietto sopra il piano cottura la scatola del sale grosso. Dopo aver salato l’acqua, gettò nella pentola un fascio di spaghetti numero cinque.

«Quando Bruce mi ha telefonato aveva una voce cupa… più tetra del solito. Ma se devo essere sincero, non ci ho fatto molto caso. Bruce era spesso malinconico. L’unica cosa che mi ha stupito davvero sono state le sue parole: a un tratto mi ha confessato che ero la persona migliore che conosceva e che di me si fidava ciecamente. Mi è suonato strano.»

«Ma ti ha fatto capire di cosa aveva bisogno?» Katherine fece girare il cucchiaio di legno nella pentola fino a fare affondare tutti gli spaghetti nell’acqua bollente.

Jethro annuì. «Sì. Anche se adesso penso che sia stata tutta una scusa per farmi venire a Londra.»

«Cioè?»

«Mi ha telefonato per parlarmi di te. Mi ha messo a conoscenza del fatto che tu stavi creando property di qualità, in cui lui credeva. Ma ha anche ammesso che il tuo lavoro di diversificazione lo preoccupava… aveva paura che ti distraesse dal core business.»

«E perché ne ha parlato con te?»

«Mi ha proposto di finanziare la tua creatività.»

«Scusa?»

«Hai capito bene. Voleva che investissi qualche milione di sterline per sostenere lo sviluppo delle serie di cartoni animati nate dalla tua fantasia. Il suo punto era che non poteva costringerti all’editoria tradizionale e parallelamente sponsorizzare i tuoi voli pindarici. Ma non voleva nemmeno che tu la smettessi di inventare, dato che considerava le tue property molto potenti. Quindi aveva pensato a me.»

«Pazzesco!»

«Infatti. Per questo credo che fosse un pretesto. Bruce non aveva bisogno di me per far vedere la luce ai tuoi progetti. Io gli servivo ad altro… qualcosa di personale… qualcosa legato alla “fiducia”. Del resto, in quella telefonata ha continuato a tessere le tue lodi. E poi ha nominato anche Tomas. Come se mirasse a farmi conoscere il tuo valore, senza però tenermi nascosta la presenza di Tomas in tutta la vicenda.»

«Interessante…»

«Che dubbi hai?»

«Nessuno. Bruce ha detto le stesse cose anche a me. La sua speranza era che mi dedicassi ai libri e alle riviste ancora per qualche anno e che mi facessi aiutare da qualcuno di fiducia per lo sviluppo delle property. Tuttavia, non mi ha mai parlato di te.»

«E anche questo, alla luce dei fatti, potrebbe avere un senso.»

Katherine lo vide abbassare lo sguardo, riflessivo. «A cosa stai pensando?»

«A niente… solo un’altra sensazione.»

«Quale?»

«Lascia stare. Forse inizio a sentirmi troppo coinvolto e c’è il pericolo che io veda cose che non esistono… È pronta la pasta?»

Katherine immerse una forchetta nell’acqua e tirò fuori uno spaghetto. Soffiò per raffreddarlo e se lo portò alla bocca. «Quasi. Voglio sapere cosa ti è passato per la testa.»

«Se te lo dico, mi prometti che non mi considererai un romantico?»

«Ti prometto che nonostante la fame non mangerò tutta la pasta che ho cucinato e mi sforzerò di lasciartene un po’.»

«Ok. Correrò il rischio. Se Bruce aveva in mente di togliersi la vita e conosceva le idee di Jeremiah, di sicuro sospettava che dopo la propria morte tu ti saresti trovata in difficoltà…»

Katherine si accigliò.

«Forse è questo ciò che lui voleva da me: non lasciarti sola.»

Katherine sentì un brivido incresparle la pelle. Non è un’ipotesi improbabile. Bruce mi voleva bene e mi ha sempre protetta. Se si è suicidato per qualcosa che aveva a che fare con la divergenza di opinioni con Jeremiah, immaginava di certo che con la sua uscita di scena mi avrebbero segata. E sapeva anche che io non ho molte persone su cui appoggiarmi veramente. Così ha coinvolto Jethro. Bruce, accidenti a te! Katherine represse la commozione. Con le presine rosse, fatte all’uncinetto da sua nonna, impugnò i manici della pentola e versò la pasta nel colino.

«Se mi dici dove trovo i piatti, mi rendo utile…»

Katherine capì che Jethro aveva cambiato discorso per lasciarle il tempo di riprendersi. «Nella credenza contro il muro ci sono piatti, bicchieri e posate.» E gli indicò il mobile con un cenno del viso.

Jethro estrasse dalla credenza due piatti quadrati di porcellana bianca, un paio di bicchieri neri e due forchette di design con il manico affusolato.

«Olio, pepe e Grana Padano vanno bene?»

«Benissimo!»

«Hai voglia di prendere anche le tovagliette in quel cassetto?»

«Come no!»

Katherine condì la pasta con l’olio, ci macinò sopra il pepe e poi tirò fuori dal frigo un bel pezzo di formaggio.

«Posso spostare i fogli che ci sono sul tavolo?»

Katherine alzò lo sguardo dalla grattugia e notò le stampate del file di Bruce. Cazzo, ho lasciato tutto in giro! Un pensiero le corse velocemente alle labbra. «Sì. Ma prima dai un’occhiata agli oggetti etruschi fotografati e dimmi se ti viene in mente qualcosa.»

Jethro apparecchiò un angolo del tavolo e poi sfogliò le stampe.

Katherine lo vide osservarle, all’inizio in modo distratto ma via via sempre più concentrato.

«Cosa c’è?» gli chiese, vedendolo sorpreso.

Jethro scosse la testa, senza smettere di esaminare i documenti che aveva in mano.

«Ehi?»

Jethro si chinò e appoggiò i fogli sul pavimento. Li posizionò uno di fianco all’altro. Restò immobile a fissarli per qualche secondo. Poi abbassò le palpebre. Appena le riaprì, cambiò la disposizione a terra. Annuì e si rivolse a Katherine con i suoi occhi penetranti. «Chi te li ha dati?»

Glielo dico o no? Che senso ha tenerlo nascosto? Se Bruce si fidava di lui, posso farlo anch’io.

«Katherine… chi ti ha dato questi fogli?»

«Bruce.»

«Sai cosa rappresentano?»

Katherine fece no con la testa.

«Mangiamo in fretta la pasta, perché ci aspetta una lunga notte. Questi oggetti sono parte di un rituale etrusco…»

K - I Guardiani Della Storia
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