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«Grazie, Bet, per avermi aspettata.»
«Figurati! Sono solo felice di poterti dare una mano. E poi, voglio proprio capire cosa ti hanno combinato.»
Katherine sapeva che era sincera. Bet Bron era una donna autentica, di vecchio stampo, che aveva saputo farsi largo con unghie e denti per raggiungere una posizione di livello tra gli avvocati della scena londinese, senza però perdere di vista i valori importanti della vita.
«Lo so. Ma so anche che sono le nove di sera e che tu, come tutti, vorresti chiudere la porta del lavoro per dedicarti alla famiglia.»
«Mio marito è negli Stati Uniti e torna la prossima settimana. Mio figlio più grande ormai comunica con me solo via SMS: è in quella fase dell’adolescenza in cui deve sentirsi uomo a tutti i costi e non ne vuole sapere dei genitori, e Charlotte stasera ha le prove per una recita organizzata dalla scuola… quindi nessun impegno familiare.»
«Cercherò comunque di rubarti meno tempo possibile.»
«Non preoccuparti. Andiamo a sederci!»
Katherine la seguì nella sala riunioni. Era una stanza monumentale, mantenuta con lo sfarzo del Settecento, periodo a cui risaliva: pavimenti in marmo bianco, pareti riquadrate da profili di stucco dorato, volta altissima decorata con affreschi floreali in cui prendevano vita angeli e figure celesti.
«Raccontami.»
Katherine si tolse il soprabito e appoggiò borsa e ventiquattrore su una delle sedie di velluto blu che circondavano l’enorme tavolo di cristallo con le gambe a zampa di leone.
«Come ti ho detto al telefono, mi hanno licenziata senza giusta causa, usando lo stratagemma della soppressione del ruolo. Nessun avvertimento, nessuna possibilità di dialogo né di negoziare, nessuna proposta di un altro ruolo in azienda.»
«Semplice: volevano toglierti dai coglioni.»
«E anche in fretta, dato che mi hanno privata subito del badge e sbattuta fuori come se fossi una ladra. Il responsabile della sicurezza mi aspettava nel parcheggio per portarmi via il computer e ispezionarmi la borsetta…»
«Stai scherzando?»
«No. Ho restituito il badge ma non ho consegnato il portatile, dicendo che l’avevo lasciato a casa. In risposta, mi hanno bloccato l’accesso all’hard disk e al server. Subito dopo mi hanno disattivato la scheda telefonica. E per dare il colpo di grazia hanno pensato bene di sigillare il mio ufficio e di appropriarsi di tutto ciò che contiene.»
«Ne ho sentite tante, ma non ho mai visto offendere così un manager fidato che ha speso anni della sua carriera a far crescere l’attività.»
«Non è finita: penso che abbiano spaventato il mio team.»
«Scommettici pure. Tu eri un pezzo da novanta… rappresentavi l’azienda… tu eri l’azienda. Se vogliono assumerne la gestione e dettare nuove regole con una diversa impronta manageriale, devono disincentivare immediatamente ogni tipo di contatto con te. E l’unico modo che quegli stronzi hanno è di terrorizzare le persone, facendo leva sulla minaccia non troppo velata di licenziamento.»
«Già…»
«E tutto questo casino è avvenuto per mano del tizio che mi dicevi al telefono?»
Katherine annuì. «Tomas McKey è il titolare di una casa di produzione di cartoni animati con cui la 9Sense Publishing lavora. L’imprenditore più sporco che io abbia mai incontrato, capace di vendere la madre pur di fare soldi. Evasore del fisco, corrotto, maschilista, schiavista… una merda d’uomo, insomma, mosso solo dall’avidità. Talmente subdolo da essere riuscito ad abbindolare gli azionisti, Bruce compreso. Io e Tomas abbiamo avuto scontri durissimi, perché a me non andava di fare affari con lui, soprattutto non avevo nessuna intenzione di farmi fottere. Sta di fatto che con la morte di Bruce, Jeremiah Blake, che tu conosci bene, ha deciso di nominarlo amministratore delegato.»
«E lui si è vendicato…»
«Sì, ma con il consenso di tutto il board…»
«Li faremo pentire, vedrai. La pagheranno cara. Anche perché in una situazione in cui manca la giusta causa, un atteggiamento di questo tipo non è ammissibile e mette noi in una posizione di forza, qualora dovessimo presentarci di fronte a un giudice. Direi di partire con la richiesta di un indennizzo all’esodo di cinque annualità, più i bonus dell’anno in corso e quelli dei prossimi quattro anni che, considerati i risultati di cui mi parlavi tempo fa, saranno sostanziosi.»
«Non è la parte economica che mi interessa.»
«Sbagli! Loro ti hanno procurato un danno. Economico, ma anche di immagine e morale. Ti hanno lasciata su una strada senza preavviso, ti hanno sconnessa dal mondo: telefono, mail… hanno intimorito i tuoi assistenti e chissà cos’altro che noi non sappiamo. Magari qualcuno si è pure preso la briga di telefonare a clienti, fornitori e partner vari per metterti in cattiva luce.»
«Non ci voglio pensare…» Oggi non ho avuto un attimo di tempo, ma come prima cosa domani chiamo tutti quelli che conosco per informarli e dare la mia versione dei fatti.
«Appunto! E hanno commesso questo reato, chiamiamolo con il suo nome, senza esitazione. Sai cosa ti dico, Katherine? Che noi agiremo di conseguenza: li tratteremo per quello che si meritano. E più saremo in grado di punirli, più la prossima volta ci rifletteranno con attenzione, prima di rovinare qualcun altro. Tieni conto che, se li massacriamo, facciamo del bene alla società.»
Ecco come ha fatto a scalare tribunali, fori e ambienti giudiziari… quando azzanna l’osso non lo molla.
«E abbiamo anche un bel colpo in canna, pronto da sparare.»
Katherine lesse nei suoi occhi lo sguardo di chi pregusta il sapore di un boccone stuzzicante.
«Quanti dirigenti donna ci sono in tutta la 9Sense Publishing, considerando anche le filiali all’estero?»
«Pochi.» Katherine fece un rapido conto. «Direi che non raggiungono il centinaio, perché?»
«Un centinaio su quanti impiegati nel gruppo?»
«Seimila, seimiladuecento, occhio e croce.»
«Bene. E quante donne occupano un ruolo paragonabile al tuo? Intendo in termini di responsabilità.»
«Nessuna.»
«Ottimo.»
«Cos’hai in mente?»
«Discriminazione sessuale, non trovi?»
«Ma non è così!» Cazzo, questa donna è peggio di un mastino!
«Non lo sai. Non lo è stato finché Bruce era vivo: lui ti stimava. Ma il resto dell’azienda? Gli altri uomini al potere? Tomas McKey ti ha licenziata in tronco e tutto il consiglio gliel’ha permesso. Se fossi in te, non sottovaluterei questa opzione.»
«Io vorrei solo che le mie property venissero tutelate. Oggi sono molto incazzata e sogno di vedere Tomas McKey dietro le sbarre per tutte le truffe che ha commesso. Ma se mi fermo a riflettere con lucidità, la mia unica preoccupazione è che rubi i miei progetti. Per quanto riguarda le riviste, i libri e i prodotti già lanciati non si può fare niente, anche se ognuno di essi è nato dalla mia creatività: ero il direttore generale e qualsiasi giudice, vedendo il mio stipendio, sosterrebbe che ero pagata profumatamente anche per portare idee. Ciò che temo è che Tomas si impossessi della mia inventiva e dei miei mondi fantastici e li faccia propri. Manderà gli uomini della sicurezza a scartabellare tra le mie cose… farà registrare marchio e contenuto di ogni concetto… e diventerà titolare dell’opera dell’ingegno… il mio ingegno!»
«Su quali documenti può mettere le mani?»
«Nel mio ufficio ci sono un bel po’ di dossier. Poi potrebbe costringere le mie persone a raccontare su cosa stavamo iniziando a ragionare. E, conoscendo Tomas, non mi sembra un’eventualità remota…» Katherine pensò se era il caso di dire a Bet che aveva fatto cancellare i dati dal Mac. Il suo spirito diffidente la fece desistere. «E appena consegnerò il portatile, potrà appropriarsi di tutto.»
«Per il computer e per l’ufficio faremo leva sul diritto alla privacy e chiederemo che tu abbia la facoltà di prelevare documenti e file personali.»
«Avranno già aperto gli armadi e staranno ficcanasando e fotocopiando tutti i pezzi di carta che reputano importanti.» Ma scopriranno poco o niente. E il Mac glielo restituirò vuoto: pieno solo di conti economici!
«Domani mattina manderò subito una lettera di intimazione, dove impugniamo il licenziamento e diffidiamo dal toccare i tuoi beni personali. Scriverò anche che il computer l’hai consegnato a me e che è a loro disposizione solo per la consultazione dei dati aziendali.»
«Perché vuoi contestare il licenziamento?»
«L’impugnazione del licenziamento ci consente di metterci in posizione di attacco, per costringerli a negoziare. Dato che siamo in assenza di giusta causa, sono certa che loro non hanno alcun interesse a comparire in tribunale. Anche perché, se si aprisse un processo, tu potresti immobilizzare l’azienda per mesi o addirittura anni, chiamando a testimoniare tutti quelli che hanno lavorato con te. Senza tralasciare il fatto che la notizia finirebbe sui giornali e diventerebbe oggetto di gossip. Questo loro lo sanno, e tratteranno.»
«Ho capito.»
«Scriverò una lettera ferma e puntuale, che li inchioderà. Ho bisogno di avere l’elenco delle promozioni che hai avuto dal giorno dell’assunzione a ieri e la lista dei premi che ti sono stati pagati per i risultati raggiunti. Voglio mettere nero su bianco che sei un manager perfetto. Questo servirà a spaventarli ancora di più. Si renderanno conto di avere poche carte da giocare nel caso in cui non riuscissimo a trovare un accordo e fossimo costretti a presentarci tutti di fronte al giudice.»
«Appena arrivo a casa ti mando via mail le scansioni delle lettere firmate dal consiglio di amministrazione che comunicano i miei avanzamenti di carriera e le buste paga che contengono i premi ricevuti sulla base degli obiettivi conseguiti.»
«Perfetto! A quel punto saranno loro a chiederci di trattare. E noi come indennità cercheremo di portare a casa più soldi possibile. Poi, se mi darai retta, calcheremo la mano sulla discriminazione sessuale…»
«È un’alternativa che non vorrei considerare.»
«Non è necessario deciderlo adesso. Abbiamo tempo di vedere come si comporterà il losco Tomas McKey e…»
L’iPhone di Bet squillò.
«Chi è che rompe a quest’ora?» Bet guardò lo schermo del display. «È un numero che non conosco… Katherine, dammi solo un secondo.»
«Tranquilla!»
Bet portò il cellulare all’orecchio. «Pronto? … Sì, sono io, chi parla?»
Katherine la vide corrugare la fronte.
«Come? … Ma si rende conto della gravità delle sue richieste?»
Katherine non udiva le parole di chi era dall’altra parte della linea, ma intuiva che Bet era in difficoltà.
«Mi sta minacciando? … No. Non capisco. E ritengo offensivo questo atteggiamento…» Bet cominciò a camminare avanti e indietro nella sala. «Lei sa di avere il potere e lo sta usando con tutta la scorrettezza di cui evidentemente è capace.»
Katherine ebbe un terribile presentimento.
«Cosa vuole che le risponda? Ho forse una scelta?» Bet abbassò il tono della voce. «Posso farle solo una domanda? Voglio sapere perché. Mi dica almeno il perché…»
Bet staccò il telefono dall’orecchio e guardò Katherine. «Ha riagganciato.»
«Chi era?»
«Non ci crederesti mai…» Bet tornò a sedersi e appoggiò la testa contro lo schienale. «O forse sì…»
Katherine sapeva la risposta, ma era talmente assurda che non riusciva nemmeno a pronunciarla.
«Tomas McKey.» Bet lanciò il cellulare sul tavolo. «Mi ha detto che se deciderò di aiutarti, la 9Sense Publishing mi toglierà tutto il lavoro, anche quello in corso.»
«Figlio di puttana!»
«E mi ha giurato che si impegnerà in una guerra personale contro di me, mi screditerà pubblicamente e comunicherà al mondo intero che il mio studio non è stato all’altezza di seguire in modo adeguato la 9Sense Publishing. E così facendo, demolirà la mia reputazione.»
Katherine strinse i pugni. Sentì montare la rabbia. Se avesse avuto Tomas di fronte l’avrebbe ammazzato di botte. Ma cosa pensa di fare? Crede forse di poter controllare la mia vita? Tese una mano verso il braccio di Bet. «Non ti preoccupare per me. Fai come dice. Apprezzo molto il supporto che mi hai dato fino adesso, non voglio però farti correre ulteriori rischi. Tomas sta provando a distruggere la mia vita, non gli permetterò di farlo anche con la tua.»
«Aggiungiamo tutto questo al conto. E la pagherà cara anche a me.»
Katherine si alzò dalla sedia.
«Dove vai?» le chiese Bet.
«A casa… è stata una giornata impegnativa.»
«No, aspetta: dobbiamo attivare il piano B.»
«Cioè?»
«Non penserai che io mi arrenda così facilmente, eh?»
Katherine la vide prendere l’iPhone e selezionare un numero dalla rubrica.
«Oswald? Ciao, sono Bet. … Uno schifo, e tu? … Senti, ho bisogno del tuo aiuto. Un caso importante. Il più importante che io abbia mai affrontato. Ho un’amica da difendere, un’azienda da sputtanare, un paio di facce da rovinare di fronte all’opinione pubblica e un testa di cazzo da mandare in galera. Mi serve un avvocato senza scrupoli come te.»