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Aveva dodici anni Guzman quando sua madre decise di trapiantarlo a Marsiglia. Inseguivano suo padre.

Quand’erano giovani, lui l’aveva corteggiata per quasi un decennio. Ma lei non ne voleva sapere e continuava a respingerlo. Non le piaceva il suo aspetto. Non le piacevano i suoi modi. Non le piaceva il colore dei suoi occhi – può sembrare un’inezia, ma per alcuni è di vitale importanza il colore di uno sguardo.

Sarà con quegli occhi che ti guarderai per il resto della tua vita, gli ripeteva sempre sua madre. Gli occhi di chi amiamo ci fanno da specchio.

Per convincerla che lui fosse l’uomo del suo destino, il padre di Guzman le provò tutte. Ogni giorno le mandava una rosa. Le scriveva lettere lunghissime, piene di elogi. Commissionava versi ai poeti per lei. Ma nessun gesto romantico riusciva a farle cambiare opinione. Finché lui non fece l’unica cosa che non aveva tentato.

Smettere.

Un bel giorno, la solita rosa non arrivò. Quella settimana il postino non recapitò alcuna lettera. Le poesie che parlavano di lei le sembrarono di colpo riferite a qualcun’altra.

La madre di Guzman cominciò a domandarsi il motivo della strana resa, e a soffrirne. Improvvisamente orfana di quel molesto romanticismo, si accorse che ormai lui era entrato nella routine delle sue giornate, costringendola ad affezionarsi silenziosamente. D’un tratto il colore dei suoi occhi non aveva più importanza, la ragazza scoprì di non riuscire più a farne a meno.

La tenacia alla lunga aveva portato i suoi frutti. E alla fine, lei accettò perfino di sposarlo e di fare un figlio.

Quando lui se ne andò di casa – senza una parola, un giorno di febbraio –, lei giurò a Guzman che l’avrebbe ritrovato e ricondotto indietro.

Era una donna minuta e caparbia.

Così cominciarono a inseguirlo. Lo trovarono quasi subito, a Torino, ma appena seppe che moglie e figlio erano in città non esitò a scappare. Lo rintracciarono, ma solo per qualche ora, a Bruxelles. Lo mancarono per un pelo a Francoforte. A Londra si può dire che lo sfiorarono. E così per mezza Europa.

In tutti i domicili abbandonati in gran fretta dal marito, la madre di Guzman trovava l’indizio di una presenza femminile. Una volta era un foulard. Un’altra, una boccetta di profumo vuota. Un abito da sera in un armadio. Rossetto su una federa.

L’ossessione, generata in lei dall’idea di non poter sapere che aspetto avesse la donna che le era stata preferita, era più potente della rabbia per essere stata abbandonata.

Col tempo, lui diventò sempre più abile a far perdere le proprie tracce. Ma, di conseguenza, anche la madre di Guzman imparò a tallonarlo. Come il cacciatore che viene istruito dalla sua stessa preda, ormai lei era capace di prevedere le sue mosse.

Ogni volta si stabilivano in una nuova città, cercavano una casa e iniziava la ricerca. La donna era brava a raccogliere informazioni, aveva acquisito un metodo. E Guzman veniva iscritto a una nuova scuola, faceva nuove conoscenze. Ma non durava molto. Un mese o due e poi tutto ricominciava.

All’inizio della caccia all’uomo, quando Guzman aveva sette o otto anni, capiva ben poco di ciò che stava realmente accadendo. In verità, allora gli sembrava una specie di gioco. Credeva che fosse fantastico modificare casa, amici, città da un giorno all’altro. Non si sentiva diverso dagli altri bambini. Eppure lo era.

Ma a Marsiglia le cose sarebbero cambiate.

La Donna Dei Fiori Di Carta
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