25

All’una del mattino, Jacob Roumann fece ritorno nella caverna con una nuova lampada a petrolio. Scostò la tenda e, illuminando l’interno, scorse uno dei soldati di guardia che si accaniva sul prigioniero percuotendolo violentemente col calcio del fucile.

«No, no!» Si precipitò ad afferrarlo per le spalle e lo tirò via.

«La spia stava leggendo i vostri appunti», si giustificò mostrandogli l’agenda del 1916 con la copertina nera. Il soldato aveva l’affanno per i colpi che aveva inferto.

Jacob Roumann lo ignorò e si dedicò al prigioniero. «State bene?»

«Io sì. E voi?» gli rispose, dolorante.

Il dottore vide che aveva un taglio su uno zigomo. Di lì a poco sarebbe venuto fuori l’ematoma. Si rivolse nuovamente al soldato, porgendogli il proprio fazzoletto: «Va’ là fuori e riempilo di neve fresca».

L’altro provò a replicare ma Jacob Roumann gli riservò un’occhiata carica d’odio di cui quasi si vergognò. Ma non aveva voglia di mettersi a discutere – non dopo ciò che aveva vissuto nell’ultima ora, passata a separare col bisturi cadaveri abbracciati fra loro o a rimettere insieme resti umani.

Poco dopo, rimasti soli, il dottore tamponò con l’involto il viso del prigioniero.

«Mi dispiace, non avrei dovuto leggere il vostro libriccino», si rammaricò l’italiano.

«Devo averlo perduto quando l’esplosione mi ha gettato per terra. Comunque non è niente d’importante.»

Ma il prigioniero non sembrava convinto. «Lo è, invece. Altrimenti non vi sareste preso la briga di riempire ogni giorno, accuratamente, ogni pagina con quegli appunti. E poi usate un fiore di carta come segnalibro... Allora, di che si tratta?»

Il dottore gli prese la mano e l’appoggiò sull’involto con la neve che gli copriva mezza faccia. «Comprimete con forza», si raccomandò. Poi si recò al tavolo e prese l’agenda, piazzandola sotto la luce della lampada a petrolio. «Che pagina?»

«L’ultima, per esempio.»

Jacob Roumann sfogliò fino al 14 aprile, dov’era custodito il fiore di carta. Poi, tenendo ben aperto il libriccino, lo porse al prigioniero. «Leggete.»

Il prigioniero si servì dell’unico occhio che aveva a disposizione. «Ore 4.25. Soldato semplice: ’Mamma’.»

«Ferita da arma da fuoco», disse il dottore, poi aggiunse: «Brutta ferita. Ha voluto che gli tenessi la mano. Giovane, troppo giovane. È spirato chiamando sua madre».

L’italiano, che cominciava a capire, proseguì con la voce successiva: «Ore 10.26. Ufficiale: ’Non c’è più la neve’».

«Si stava dissanguando e perciò era diventato cieco. I suoi occhi si erano spenti almeno un’ora prima, sul paesaggio del ghiacciaio. Ma lui non se n’era ancora accorto. Ha realizzato la cosa solo qualche attimo prima di andarsene.»

«Ore 16.12. Soldato semplice: ’La fine’.»

«Avvelenamento da piombo, non sono riuscito a estrarre tutte le pallottole. Mi ha domandato, dottore è la mia fine? Non gli ho risposto. Poco dopo l’ha fatto da solo. Un’affermazione, secca. La fine.»

«Ore 20.07. Soldato semplice: ’Appare’.»

«Mi ha colpito molto. Era come se vedesse qualcosa. A volte capita. Non sai se è una consapevolezza o una consolazione che qualcosa appaia proprio mentre si scompare.»

«Infine: Ore 22.27. Sottufficiale: ’Una coperta di lana’.»

«Semplicemente, aveva freddo. È stata l’ultima richiesta.»

Il prigioniero cominciò a sfogliare l’agenda a ritroso, meravigliato. «Voi collezionate le ultime parole dei moribondi. Stupefacente.»

«Già», ammise Jacob Roumann.

«Ogni giorno c’è una lista, è incredibile. E cosa sperate di ricavarne? Un messaggio dall’Onnipotente?»

«In effetti, all’inizio era ciò che mi ripromettevo.»

Il prigioniero sollevò lo sguardo sul dottore, cercando di capire se fosse serio.

«Non sono così pazzo», lo tranquillizzò con un sorriso Jacob Roumann. Poi il suo sguardo si perse nella grotta. «All’inizio della guerra mi facevo uno scrupolo quando, dopo, non riuscivo a ricordare i nomi, i volti. Mi dicevo, sono esseri umani! Ho il dovere di conservare almeno la memoria di come sono morti. Ma erano troppi. Ciononostante, non volevo assuefarmi all’indifferenza. Perché la cosa peggiore di una guerra, peggiore della morte che porta una guerra, è l’abitudine a quella morte...»

L’italiano abbassò lo sguardo. «Lo capisco.»

«Ma poi, un giorno ho fatto una scoperta. È accaduto per caso, e da allora ho cominciato ad appuntare le ultime parole di quelli che morivano.»

«Che scoperta?» domandò il prigioniero, improvvisamente incuriosito.

«Tornate all’elenco che avete appena letto, alla pagina del 14 aprile.»

L’italiano ritrovò il segno indicato dal fiore di carta.

«Ora leggete daccapo, ma senza inutili didascalie. Solo le frasi, di seguito però, senza interruzioni.»

Il prigioniero lesse: «Mamma – non c’è più la neve – la fine – appare – una coperta di lana».

La beatitudine di un silenzio calò fra loro. Le parole rimasero ad aleggiare un poco sulle loro teste, prima di svanire come fumo di tabacco. L’italiano scorse sul volto di Jacob Roumann la leggerezza di un sorriso, sembrava soddisfatto. «C’è una bellezza nascosta in ogni cosa», disse il dottore. «Anche nella più tremenda.»

Non c’era bisogno di ulteriori commenti. Il prigioniero rimise il fiore di carta fra le pagine e chiuse l’agenda.

Jacob Roumann aveva gli occhi che brillavano. «Ora che avete scoperto il mio segreto, per favore raccontatemi quello di Guzman... Chi era l’unica donna di cui è stato innamorato?»

La Donna Dei Fiori Di Carta
e9788830434271-cov01.html
e9788830434271-presentazione.html
e9788830434271-collana.html
e9788830434271-frontespizio.html
e9788830434271-cop01.html
e9788830434271-occhiello-libro.html
e9788830434271-ded01.html
e9788830434271-fm_1.html
e9788830434271-p-0-c-1.html
e9788830434271-p-0-c-2.html
e9788830434271-p-0-c-3.html
e9788830434271-p-0-c-4.html
e9788830434271-p-0-c-5.html
e9788830434271-p-0-c-6.html
e9788830434271-p-0-c-7.html
e9788830434271-p-0-c-8.html
e9788830434271-p-0-c-9.html
e9788830434271-p-0-c-10.html
e9788830434271-p-0-c-11.html
e9788830434271-p-0-c-12.html
e9788830434271-p-0-c-13.html
e9788830434271-p-0-c-14.html
e9788830434271-p-0-c-15.html
e9788830434271-p-0-c-16.html
e9788830434271-p-0-c-17.html
e9788830434271-p-0-c-18.html
e9788830434271-p-0-c-19.html
e9788830434271-p-0-c-20.html
e9788830434271-p-0-c-21.html
e9788830434271-p-0-c-22.html
e9788830434271-p-0-c-23.html
e9788830434271-p-0-c-24.html
e9788830434271-p-0-c-25.html
e9788830434271-p-0-c-26.html
e9788830434271-p-0-c-27.html
e9788830434271-p-0-c-28.html
e9788830434271-p-0-c-29.html
e9788830434271-p-0-c-30.html
e9788830434271-p-0-c-31.html
e9788830434271-p-0-c-32.html
e9788830434271-p-0-c-33.html
e9788830434271-p-0-c-34.html
e9788830434271-p-0-c-35.html
e9788830434271-p-0-c-36.html
e9788830434271-p-0-c-37.html
e9788830434271-p-0-c-38.html
e9788830434271-p-0-c-39.html
e9788830434271-p-0-c-40.html
e9788830434271-p-0-c-41.html
e9788830434271-p-0-c-42.html
e9788830434271-p-0-c-43.html
e9788830434271-p-0-c-44.html
e9788830434271-p-0-c-45.html
e9788830434271-p-0-c-46.html
e9788830434271-p-0-c-47.html
e9788830434271-p-0-c-48.html
e9788830434271-p-0-c-49.html
e9788830434271-p-0-c-50.html
indice.html