21

Dopo la morte di Eva Mòlnar, Guzman non poté fare a meno di constatare che si ritrovava al punto di partenza. Senza mezzi di sostentamento non avrebbe potuto continuare a coltivare la propria passione – l’ossessione – per il fumo, né tener fede al patto con Eva di tramandare la sua storia, insieme alle altre.

Ci stava pensando proprio mentre disperdeva l’ultima manciata di ceneri dell’amica sul monte Bianco, quando vide un uomo pericolosamente incerto sul ciglio di un burrone. Davanti a un precipizio puoi permetterti ammirazione, vertigine, perfino qualche brivido, ma dubbio mai. Perché è noto che gli strapiombi tendono ad assecondare il dubbio.

Avendo compreso le intenzioni del poveretto, Guzman cercò di avvicinarsi con cautela. Lo affiancò e vide che era pallido in volto. Il primo approccio fu alquanto scontato.

«Non lo fate», disse.

Ma comprese all’istante che una semplice esortazione non sarebbe bastata. I baratri spesso sono molto invitanti, specie per chi ha deciso di affrontarli a viso aperto. Guzman aveva bisogno di un’idea. Per penetrare lo stato catatonico del disgraziato non sarebbe stato sufficiente trovare le parole giuste – era necessario trovare un modo.

«Chi siete?» urlò Guzman all’eco. E così facendo, diede consistenza al vuoto.

L’uomo non se l’aspettava e sobbalzò sul fragile filo di speranza che lo teneva ancora legato alla vita. Ma adesso almeno si rendeva conto del pericolo sotto i propri piedi.

«Dardamel», disse a bassa voce, come se non volesse turbare ulteriormente il proprio equilibrio.

«Non ho chiesto il vostro nome. Ho domandato chi siete», gridò nuovamente Guzman.

Dardamel si voltò leggermente e lo squadrò, interrogativo. «Sono un musicista inventore.»

Stavolta fu Guzman a essere spiazzato. «Che diavolo sarebbe?» strillò.

«Se la smettete, ve lo spiego», disse l’uomo, alterato e spaventato. E attaccò una breve spiegazione: «Invento strumenti musicali. Ergo, nuovi suoni».

«Credevo che le note fossero solo sette», ribatté Guzman, cominciando ad abbassare il tono di voce.

«Perché, come tanti, credete che la musica sia fatta solo di note.» E aggiunse che quel genere di persone era la ragione che l’aveva spinto fin lassù, a interrogarsi davanti a un abisso. «Ho creato uno strumento. Ma nessuno vuole riconoscerlo come tale. Mi ridono dietro.»

«Chi vi ride dietro?»

«Tutti. I colleghi musicisti e i colleghi inventori.»

Due categorie, in effetti, erano troppe. E Guzman provò un’immediata empatia per le sue motivazioni. Puoi togliere ogni cosa a un uomo – il rispetto, l’onore, la dignità. Ma se uccidi il suo sogno, è finita. E in quel preciso istante, Guzman comprese che Dardamel avrebbe compiuto l’ultimo passo verso il nulla. E lui non avrebbe potuto impedirlo, perché l’unica maniera era modificare le cose. E questo potere non gli era concesso.

Tuttavia, considerò, pur non potendo cambiare la sua vita, poteva mutare il modo in cui Dardamel guardava a essa. E allora fece l’unica cosa che sapeva fare. Si sedette sul ciglio della voragine, si cacciò una mano in tasca ed estrasse un sigaro sottile. Batté la punta tre volte sul dorso della mano – in un gesto che non ha alcuno scopo, ma per un fumatore, chissà perché, è essenziale. Poi l’accese e attaccò a raccontare la storia di Eva Mòlnar.

Fece un catalogo delle sue imprese avventurose, ma riferì fedelmente anche le vicissitudini che aveva dovuto affrontare. E concluse affermando: «Quante donne avrebbero meritato un posto nella Storia umana e sono sparite da essa perché un mondo di maschi ha deciso di non concedere loro pari dignità? Un vero genocidio, se ci pensate».

Guzman non sapeva perché avesse raccontato di Eva. Non era neanche sicuro che sarebbe servito. Non aveva mai creduto che le storie possedessero una morale. Piuttosto pensava che ognuno, se vuole, ci trova qualcosa. E diffidava di quelli che raccontavano storie solo per impartire lezioni agli altri – oh sì, quelli erano i peggiori.

«Perché mi avete detto queste cose?» domandò Dardamel, che invece si aspettava proprio una morale.

«In verità, non saprei. Forse per farvi tardare al vostro appuntamento con la morte. Ultimamente, mi piace scombinarle i piani.»

Dardamel ci pensò su. Poi fece un passo indietro, e fu come se l’abisso sotto di lui richiudesse le fauci.

«Mi avete salvato la vita.»

«Vi siete salvato da solo.»

La Donna Dei Fiori Di Carta
e9788830434271-cov01.html
e9788830434271-presentazione.html
e9788830434271-collana.html
e9788830434271-frontespizio.html
e9788830434271-cop01.html
e9788830434271-occhiello-libro.html
e9788830434271-ded01.html
e9788830434271-fm_1.html
e9788830434271-p-0-c-1.html
e9788830434271-p-0-c-2.html
e9788830434271-p-0-c-3.html
e9788830434271-p-0-c-4.html
e9788830434271-p-0-c-5.html
e9788830434271-p-0-c-6.html
e9788830434271-p-0-c-7.html
e9788830434271-p-0-c-8.html
e9788830434271-p-0-c-9.html
e9788830434271-p-0-c-10.html
e9788830434271-p-0-c-11.html
e9788830434271-p-0-c-12.html
e9788830434271-p-0-c-13.html
e9788830434271-p-0-c-14.html
e9788830434271-p-0-c-15.html
e9788830434271-p-0-c-16.html
e9788830434271-p-0-c-17.html
e9788830434271-p-0-c-18.html
e9788830434271-p-0-c-19.html
e9788830434271-p-0-c-20.html
e9788830434271-p-0-c-21.html
e9788830434271-p-0-c-22.html
e9788830434271-p-0-c-23.html
e9788830434271-p-0-c-24.html
e9788830434271-p-0-c-25.html
e9788830434271-p-0-c-26.html
e9788830434271-p-0-c-27.html
e9788830434271-p-0-c-28.html
e9788830434271-p-0-c-29.html
e9788830434271-p-0-c-30.html
e9788830434271-p-0-c-31.html
e9788830434271-p-0-c-32.html
e9788830434271-p-0-c-33.html
e9788830434271-p-0-c-34.html
e9788830434271-p-0-c-35.html
e9788830434271-p-0-c-36.html
e9788830434271-p-0-c-37.html
e9788830434271-p-0-c-38.html
e9788830434271-p-0-c-39.html
e9788830434271-p-0-c-40.html
e9788830434271-p-0-c-41.html
e9788830434271-p-0-c-42.html
e9788830434271-p-0-c-43.html
e9788830434271-p-0-c-44.html
e9788830434271-p-0-c-45.html
e9788830434271-p-0-c-46.html
e9788830434271-p-0-c-47.html
e9788830434271-p-0-c-48.html
e9788830434271-p-0-c-49.html
e9788830434271-p-0-c-50.html
indice.html