11

Mentre si recava all’Estaco, il quartiere degli artisti a nord della città, Guzman pensava a una possibile via d’uscita. Magari verrà lei ad aprirmi, si diceva. Le consegno il pacco e giro i tacchi. E se appare lui, non mi riconoscerà. Impossibile, sono passati troppi anni e io ero così piccolo. Sicuramente non capirà chi sono, ritirerò la mancia e poi sarà come se non fosse successo niente. Ognuno per la propria strada.

Arrivò nei pressi di una palazzina di due piani, che aveva insoliti richiami moreschi sulla facciata. Salì fino al secondo pianerottolo e bussò a una porta verde. Venne ad aprirgli un uomo con i capelli grigi, la barba incolta e con indosso una giacca da camera. Fumava.

Appena vide Guzman, si bloccò. Aveva impiegato meno di un istante a riconoscerlo. Rimasero così, impalati sulla soglia per quasi trenta secondi. Poi l’adulto parlò. «Su, vieni avanti ragazzo.»

Guzman accettò l’invito e si ritrovò in un appartamentino di due stanze. Imperversava il disordine. C’era una stufa a carbone su cui sobbolliva un pentolino di stagno in cui era immerso un uovo. In un angolo, accanto al letto disfatto, c’erano i servizi igienici, consistenti in un pitale e in una brocca di latta smaltata. C’erano portacenere colmi di mozziconi e vestiti sparsi ovunque.

L’uomo lo superò e andò a liberare un paio di sedie dai libri che vi erano appoggiati. «Accomodati.»

Guzman, sempre in silenzio e tenendo ancora il pacco di carta velina fra le braccia, si sedette di fronte a suo padre.

«Sei grande. Quanti anni hai?»

«Dodici», rispose, senza lasciar trasparire alcuna empatia.

«Bene», sentenziò l’uomo, non sapendo come proseguire. Poi appoggiò entrambe le mani sulle ginocchia e per un attimo rimase a contemplare il vuoto. «Vedi, tua madre... A te potrà anche essere sembrato crudele ciò che le ho fatto, invece io le ho salvato la vita.»

Entrando e guardandosi intorno, Guzman aveva capito subito una cosa. Non c’era un’altra donna nell’esistenza di suo padre. Non c’era mai stata.

«Pensaci: tua madre non è mai invecchiata. Non gliel’ho permesso. Ha dovuto competere con una femmina immaginaria che era sempre più bella e più giovane di lei. Per tenersi al passo, è stata costretta a migliorare se stessa ogni giorno, a non lasciarsi andare come invece fanno quelli che hanno raggiunto lo scopo.»

«Quale scopo?»

«Possedere un’altra persona.»

Guzman, però, non riusciva ancora a cogliere il significato del discorso.

«Vedi figliolo, ho amato tua madre sin dal primo istante, l’ho voluta più di ogni altra cosa al mondo. Poi lei ha capitolato e ci siamo sposati, promettendoci amore eterno.» Rise. «Ma ci pensi, che follia? Come se l’amore si potesse promettere, il tutto con l’aggravante dell’infinito.» Tornò serio e lo fissò. «Io la possedevo e lei possedeva me. Ma questo non vuol dire che ci appartenessimo. Anzi, era l’opposto. Con le nozze ci eravamo solo accordati sulla reciproca proprietà. Per questo sono scappato. Le ho fornito un motivo per volermi ancora. E a me per volerla.» Preso dalla foga, continuò: «All’inizio della nostra storia, ero io che davo la caccia a lei. Poi è arrivato il matrimonio e ci siamo fermati. E quella sosta non aveva ragione. Ma poi ho rimesso le cose com’erano, e adesso è lei che dà la caccia a me». Fece una pausa. «È faticoso sfuggire all’amore. Almeno quanto lo è inseguirlo.»

In effetti, la prima impressione che Guzman aveva avuto guardando suo padre era che fosse stanco.

L’esistenza miserevole a cui si era ridotto adesso aveva una spiegazione. Quell’uomo aveva scelto d’impoverirsi pur di salvare ciò in cui credeva. Gli abiti alla moda, i belletti e i costosi profumi con cui viziava la sua finta amante erano l’unico modo per alimentare l’illusione. Perché l’apparenza era la sola cosa che gli restava.

L’uomo mise una mano sulla spalla di Guzman. «Il desiderio è il solo motivo per cui andiamo avanti in mezzo a tanto orrore. Tutti abbiamo bisogno di una passione, o di un’ossessione. Cerca la tua. Desiderala fortemente, e fa’ della tua vita la ragione stessa per cui vivi.»

Quell’inaspettata lezione spiazzò Guzman. Era come se suo padre l’avesse preparata da tempo. Come se lo stesse aspettando. E quest’idea leniva parecchio la ferita dell’abbandono.

«Come faccio a sapere se la mia ossessione o la mia passione è quella giusta?» chiese allora al genitore il giovane Guzman.

«Perché se la racconti a qualcuno e questi la trova interessante, allora saprai che non hai vissuto invano. Ricorda, figliolo: sono le storie a dare sapore alle cose.»

L’uomo a quel punto si alzò e, voltandogli le spalle, andò a trafficare nel cassetto di una specchiera. Quando tornò a girarsi verso di lui, impugnava una spilla da balia su cui era infilzato un mozzicone di sigaretta, troppo corto per tenerlo fra due dita e, contemporaneamente, aspirare. «Hai mai fumato?» gli chiese.

Guzman scosse il capo.

Il padre andò a sedersi accanto a lui e, con un acciarino, si apprestò a dare fuoco alla punta già annerita del mozzicone. Ma prima di farlo, spiegò: «Marsiglia è stata fondata da marinai greci, lo sapevi? Ebbene, l’ultima discendente di quell’antica stirpe abita al porto vecchio ed è una puttana con una gamba sola, il suo nome è Afroditi...» Sollevò gli occhi al cielo. «Vedessi quant’è bella, e quanto gli uomini la vogliono. Dovrebbero fuggire inorriditi per la sua menomazione, ma proprio grazie a essa Afroditi ha dovuto imparare a diventare la migliore amante che abbiano mai avuto.» Sorrise, poi attivò la fiamma e arroventò la punta di carta. «Questo mozzicone viene da un posacenere di casa sua. Coraggio, dimmi di che sa...»

Il giovane Guzman prese la spilla da balia e, reggendola con due dita, si portò la sigaretta alle labbra. Aspirò. Tossì forte, poiché non era abituato.

«Ancora una volta», lo esortò il padre.

E lui ripeté il gesto, stavolta socchiudendo gli occhi. Improvvisamente, gli tornarono alla memoria tutti gli effluvi di biancheria femminile che aveva annusato nella lavanderia di Madame Li. Gli odori adesso avevano anche un sapore, perché quel tabacco sapeva di donna, di lussuria e di bordello.

«Sa... di lei.»

Guzman aveva sgranato gli occhi come davanti a una rivelazione. Il padre non riuscì a trattenere una risata. Lui ci stava quasi rimanendo male.

«Non ti sto prendendo in giro», lo rassicurò. «Era il solo modo che avevo per spiegarti. Quel mozzicone viene dal molo. L’aveva gettato via un marinaio appena sbarcato da un peschereccio. Ma è bastato che ti raccontassi la storia di Afroditi perché assumesse il sapore speciale che il tuo cuore aveva scelto di attribuirgli. È il cuore che comanda i sensi, figlio mio.» Il padre lo accarezzò. «Adesso che conosci la verità, assaggiala di nuovo e dimmi di che sa.»

Guzman lo fece.

«Sa di pesce.»

 

 

Jacob Roumann si ritrovò a osservare la sigaretta che stringeva fra le dita. Aveva dimenticato che fosse fatta di tabacco misto a segatura.

Dall’ombra, al prigioniero scappò una risata. «Bene, dottore: vedo che cominciate a comprendere.» Poi il suo tono si fece allettante. «Scommetto che adesso volete sapere il seguito...»

La Donna Dei Fiori Di Carta
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