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Appena laureato in medicina, Jacob aveva preso servizio presso l’Ospedale Generale di Vienna. Un importante luminare l’aveva scelto come assistente ma, per fargli scontare il prezzo del privilegio, non si faceva scrupoli a costringerlo a turni massacranti e a orari assurdi. Jacob non riusciva a staccare prima della mezzanotte e lo attendeva una sveglia puntuale alle cinque.

Ogni volta che arrivava o andava via dall’ospedale, passava dalla saletta riservata ai giovani internisti. Era poco più di uno spogliatoio in cui erano state piazzate un paio di poltrone, rivestite di pelle lisa, e un fornelletto a carbone per fare il tè. C’erano due file di attaccapanni alle pareti. Ognuno aveva il proprio piolo a cui appendere il camice a fine giornata – non perché quel posto gli fosse stato assegnato, ma per spontanea consuetudine.

Una mattina, ancora intontito dal sonno, indossò il camice prima di mettersi al lavoro. Con un gesto meccanico, infilò subito entrambe le mani in tasca. Ma quella volta sentì qualcosa al tatto – sottile e ruvido. Non avrebbe mai più dimenticato quella piccola sensazione – come è infinitesimale l’inizio di ogni avventura, avrebbe pensato poi.

Sfilò la mano e si ritrovò a guardare nel suo palmo una stella alpina, realizzata con un foglio che sembrava di giornale.

Stupito e interdetto, si domandò come fosse finita là dentro. Non riuscendo a rammentare nulla, stava per accartocciare e gettare via lo strano manufatto. Ma si fermò un attimo prima e lo tenne.

Trascorse la giornata senza pensarci. Alla fine del turno, aveva del tutto rimosso il ritrovamento. Come sempre, scambiò il camice con il soprabito e se ne tornò a casa.

Il mattino dopo, ripeté l’operazione ma, un istante prima di mettere le mani in tasca come al solito, senza sapere il perché ripensò a ciò che era accaduto il giorno precedente. Guidate da una specie di sesto senso, le dita scivolarono nello scomparto, e con i polpastrelli avvertì subito qualcosa.

Un secondo fiore di carta. Un tulipano.

Stavolta il ritrovamento lo scosse. Per capirci qualcosa, dispiegò i petali e scoprì che non si trattava di comune carta di giornale. Era la pagina di un libro. Versi in rima, divisi in ottave. Anche se al momento non rammentava l’opera, li aveva già letti, però molti anni prima, al liceo. Erano bellissimi, ma produssero in lui anche uno strano disagio.

E quella sensazione – un misto di turbamento ed eccitazione – tornò ad assalirlo più volte nel corso della giornata, come un solletico sul cuore. Finché dalla memoria non giunse almeno una risposta. I versi appartenevano all’Orlando furioso dell’Ariosto, mentre quelli contenuti nel fiore del giorno precedente erano di Shakespeare. Jacob era un uomo pratico, non certo disposto ad assecondare simili frivolezze. Così decise di ignorare la faccenda. La sera riprese il soprabito e, non senza qualche timore, affidò il camice al solito piolo.

Il terzo fiore di carta era al proprio posto l’indomani, ed era un giglio che racchiudeva l’Infinito di Leopardi.

Per quanto avesse desiderato una conferma, Jacob non la prese bene. Durante la notte aveva dato voce al proprio pessimismo e si era convinto che poteva trattarsi solo di uno scherzo dei colleghi più anziani, una specie di benvenuto goliardico all’ultimo arrivato. Probabilmente in quel momento, nella saletta affollata di internisti, qualcuno stava ridendo alle sue spalle. Allora, senza nemmeno guardarsi intorno, gettò via il giglio con un gesto incurante ma plateale, in modo che lo notassero tutti.

Ventiquattr’ore dopo, non trovò un quarto fiore di carta, bensì nuovamente il giglio che aveva gettato via. Era un po’ stropicciato, ma qualcuno l’aveva ripiegato al meglio.

Qualcuno che non voleva essere ignorato.

Jacob non amava i misteri, specie se rischiavano di fargli fare la figura del cretino. Così escogitò un modo per scombinare i piani dell’ignoto fiorista. La sera andò via per ultimo, ma invece di appendere il camice al solito piolo, ne scelse uno fra i tanti che erano ancora liberi – confidando nel fatto che, a quel punto, non c’era modo di distinguere il suo dagli altri.

Invece qualcuno riusciva a riconoscerlo, perché il quinto giorno un nuovo fiore attendeva beffardamente di essere scoperto nella sua tasca.

La Donna Dei Fiori Di Carta
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