24

Le orecchie gli fischiavano e puntini argentati gli danzavano negli occhi. All’esterno, la trincea era un viavai di gente che correva. Jacob Roumann li guardò per capire da dove venissero o dove fossero diretti. Molti, semplicemente, scappavano in preda al panico.

Afferrò un soldato per la manica e lo tirò violentemente a sé. «Cosa è stato?»

Aveva gli occhi di un bambino spaventato. «È esplosa la montagna», disse.

«Dove è successo?»

«Da quella parte», indicò alzando un braccio tremante.

Jacob Roumann lo lasciò andare. Poi s’immise nel flusso che portava in quella direzione. Sentiva grida e pianti. I soldati gli sbattevano contro nello stretto budello della trincea, come inseguiti da un nemico invisibile, urlavano: «Siamo sotto attacco!»

Partirono colpi di risposta che si perdevano nella notte. Il medico proseguiva, come in trance, verso il fulcro della disperazione. Poi, nel buio, iniziò a calpestare i morti.

Doveva procedere, non poteva fermarsi, altrimenti sarebbe finito schiacciato nella calca, come probabilmente era accaduto a coloro che erano per terra. Quando sentì l’odore, capì cos’era successo.

Il gas.

Si fece largo in una barriera di spettatori attoniti, immobili sul confine di qualcosa. Vide ciò che stavano guardando. I pezzi strappati via, la carne consumata, i corpi fusi fra loro dalle fiamme. I cadaveri con il capo e gli arti ripiegati all’indietro e il busto teso in uno slancio verso l’alto – accartocciati come foglie secche.

Nessuno si lamentava. Nessuno richiedeva il suo intervento. Jacob Roumann comprese di essere superfluo in quella scena, la morte stavolta non aveva avuto bisogno di lui.

Perciò non avrebbe potuto annotare nulla nella sua agenda del 1916 con la copertina nera. Non c’era stato il tempo, era accaduto troppo in fretta. Il gas, una scintilla e l’esplosione che aveva consumato ogni cosa – ossigeno, oggetti e persone – in un solo, deflagrante istante.

Fra le vittime riconobbe l’attendente del maggiore. Il fuoco gli aveva divorato metà del volto – pareva la maschera grottesca di un assurdo carnevale. Una mano si posò sull’unico occhio, serrandogli la palpebra. Jacob Roumann si sporse per scoprire a chi fosse toccata stavolta la triste incombenza e vide che, inginocchiato di fronte a lui, c’era proprio il maggiore. Non avrebbe mai sospettato una simile delicatezza in quel soldato.

Il superiore si rimise in piedi e disse al sergente di ordinare agli uomini di smetterla di sparare. Non c’era stato alcun attacco da parte degli italiani. Si era trattato di un incidente. Era esploso un lanciafiamme.

Jacob Roumann pensò all’assurda coincidenza. Non sapeva se fosse stato davvero Dardamel a inventare quell’oggetto di morte – in verità, aveva sempre creduto che fosse opera di un altro. In ogni caso pensò a quanto fosse bizzarro che gli uomini – le uniche creature in natura a possedere la consapevolezza del dono della vita – da sempre cercassero nuovi modi per uccidersi a vicenda.

«Avete sentito il maggiore? Cessate il fuoco!» urlò il sergente. «Si è trattato di un incidente. È esploso un lanciafiamme.»

«Vi sbagliate», disse il dottore, senza che nessuno potesse sentirlo. «È un oboe a gas.»

La Donna Dei Fiori Di Carta
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