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Si era fatto consegnare dall’attendente la scatola di caffè che faceva parte della dotazione privata del maggiore. Era sicuro che il superiore non si sarebbe risentito, visto che aveva intenzione di servirsene per familiarizzare con il prigioniero. Si procurò un paio di tazze di metallo e un bricco che riempì di neve fresca. Poi un pezzo di lardo, del pane nero, alcuni biscotti all’anice – duri come pietre –, cartine e un astuccio di tabacco.

Mentre metteva insieme il piccolo tesoro, Jacob Roumann pensava a ciò che avrebbe detto all’italiano. Non aveva idee, solo qualche spunto. Ma per quanto all’inizio avesse accettato per non dare soddisfazione al maggiore che lo credeva un debole e un inetto, man mano si era convinto di voler riuscire nell’impresa. Non era per la medaglia, anche perché era sicuro che non avrebbe portato alcun giovamento alla sua reputazione di marito ripudiato – e di uomo dimezzato. C’era una ragione che gli premeva più di altre.

Voleva salvare una vita. Almeno una, in mezzo a tanta morte.

Posso curare un soldato, a volte guarirlo, si diceva Jacob Roumann. Ma con ciò avrò solo rimandato il suo destino, e forse abbreviato quello di qualcun altro. Non gli era mai stata offerta davvero l’opportunità d’impedire una morte. Il suo ruolo era stato quello di semplice esecutore degli ordini, il servitore di un disegno più grande e terribile, a cui non avrebbe potuto opporsi. Come l’operaio di una catena di montaggio che non sa realmente a quale fine sta contribuendo.

Invece adesso poteva cambiare le cose. Perlomeno una cosa. Quella.

Con una piccola speranza di riuscita, Jacob Roumann s’incamminò verso la grotta dove era detenuto l’italiano. Teneva fra le braccia gli oggetti che si era procurato. Le tazze di metallo tintinnavano fra loro e contro il bricco a ogni passo. Il dottore si sentiva stranamente euforico.

Avrebbe scoperto l’identità del prigioniero.

La Donna Dei Fiori Di Carta
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