45
Non una parola. In tre anni, Davì non disse neanche un parola sul biglietto che Guzman gli aveva mandato dopo essere sparito. E Isabel, nei tre anni che seguirono, non gli chiese nulla.
Allora Davì – il collezionista – cominciò a collezionare Isabel. Un giorno un pensiero, un giorno un ricordo. Le sue mani. Il suo sorriso. Un po’ alla volta, senza fretta.
In certi momenti, aveva l’impressione che Guzman li osservasse a distanza, di nascosto. Ma non ne ebbe mai la prova.
Era il dicembre del 1911 quando Isabel decise di partire per l’America. Davì l’aveva incoraggiata ad andare. «Per una nuova vita», aveva detto. Lui l’avrebbe raggiunta dopo, forse ad aprile. E in quella nuova terra – lontano – le avrebbe chiesto di sposarlo.
La sera prima di partire, Isabel, nel buio silenzioso di un’enorme casa, si presentò allo sguardo di Davì vestita solo di se stessa. Gli disse di sì tre volte prima di baciarlo – sì per il presente, sì per il futuro, sì per il silenzio sul passato.
Poi, gli fece una domanda.
Davì aveva capito, c’era solo una cosa che non avrebbe mai potuto avere da Isabel. E non era il suo amore. Lo aveva già. Era il suo dolore. E non sarebbero bastati quattro mesi di lontananza.
Lui lo capì allora, dopo quella domanda – banale, normale.
«Davì, cosa c’è sul biglietto?»
«Un nome.»
«Che nome?»
«Quello che Guzman aveva scelto per una montagna senza nome, se mai l’avesse trovata.»
«Qual è il nome?»