26

Una cosa Guzman non aveva mai fatto. «Non ho mai dato un nome a una montagna», mi ripeté più di una volta.

Se ne rammaricava sul serio. All’inizio del XX secolo era convinzione diffusa che l’uomo avesse esplorato ogni angolo emerso del pianeta, perciò Guzman non aveva molte chance.

Ma presto avrebbe dovuto attribuire un nome a qualcosa di più arduo di una montagna.

Una donna.

La vide per la prima volta mentre passeggiava all’interno del grandioso hotel che César Ritz aveva voluto dedicare all’opulenza e al buon gusto dei parigini.

Guzman stava raccontando una delle sue storie, mentre sorseggiava assenzio e assaggiava un magnifico sigaro reale nel fumoir. Lei passò fugacemente davanti a una vetrata, parlava e rideva con un paio di amiche. Guzman si zittì – non gli era mai capitato.

Ci sono donne che usano la loro bellezza come un ricatto. Per quanto impegno tu possa mettere per conquistarle, non si concederanno mai totalmente. Lei invece no. Indossava la propria grazia come fosse un abito, incurante dell’effetto che produceva sugli altri. E nel momento stesso in cui la notò, Guzman capì che, se non l’avesse avuta, avrebbe sentito per sempre la sua mancanza.

Non lo sapeva, ma da un po’ di settimane ormai a Parigi non si parlava d’altro che di quella misteriosa ragazza. Era stata avvistata spesso ultimamente, specie nei ristoranti di lusso, a teatro e in alcuni caffè. Le uniche informazioni che si conoscevano di lei, però, erano che aveva pressoché vent’anni, che era la figlia dell’ambasciatore spagnolo e che si accompagnava sempre con le solite amiche – due fanciulle giunte appositamente da Madrid per farle compagnia.

«Tutto qui?» chiese Guzman.

«Tutto qui», gli confermarono.

Nei salotti buoni si era scatenata una caccia al nome, quasi fosse una specie di nuovo gioco di società. Quando cercò di saperne di più, Guzman scoprì che era proprio la fanciulla ad alimentare il mistero circa la propria identità. Si divertiva a mettere in giro false informazioni e nomi inventati – il tutto con la complicità delle amiche, s’intende.

Ovviamente, i pretendenti più affascinanti e appetibili di Parigi si sfidarono a conquistarne il cuore. Ma, da galantuomini, si accordarono su una semplice regola.

Chiunque avesse scoperto il nome della ragazza avrebbe avuto la precedenza nel corteggiamento.

Siccome l’unica depositaria della verità era proprio lei, erano costretti a presentarsi azzardando la risposta. Ci provarono in molti, e molti dovettero ritirarsi in buon ordine.

Durante una serata al circolo, Guzman inaspettatamente se ne uscì dicendo che anche lui ci avrebbe provato. E aggiunse che era oltremodo convinto di riuscirci.

La notizia fu accolta dai presenti con velata ironia e qualche risata nascosta. Tutti volevano bene a Guzman, ma nessuno era disposto ad accordare a quell’omino brutto la benché minima possibilità di successo.

Anche se il destino avesse voluto che indovinasse davvero il nome della ragazza, era improbabile che riuscisse a conquistarla. Ma ciò non gli fu detto. Invece gli amici lo incoraggiarono a compiere l’impresa, anche perché volevano irridere il suo fallimento.

«D’accordo, caro amico», gli disse qualcuno. «Vi daremo tutti una mano e ci asterremo dal corteggiare la fanciulla per un periodo – diciamo – di cinque mesi esatti. Il termine scadrà la sera del Gran ballo dell’Ambasciata di Spagna, quando avrete l’opportunità di avvicinarla in esclusiva.»

Guzman accettò l’accordo, senza intuire l’inganno di coloro che credeva sinceri. Non era questione di cattiveria, ma di giustizia, ribadì più d’uno. Perché era giusto che Guzman pagasse il prezzo della propria alterigia – gli sarebbe servito certamente di lezione.

Lui non percepì lo scherno, o non se ne curò. Perché aveva ben altro a cui pensare. Doveva escogitare un piano. E aveva solo cinque mesi per realizzarlo.

La Donna Dei Fiori Di Carta
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