28. Le organizzazioni della colpa

 

 

 

Parcheggiai nel viale della villa, mentre dal campo da tennis si sentiva il ritmo costante del lanciapalle, quel monotono tambureggiate che aveva dominato Estrella de Mar e la Residencia Costasol fin da quando ero arrivato in Spagna. Ascoltai il sibilo e il soffio del meccanismo di caricamento, seguito da uno scricchiolio mentre la macchina aggiustava l'angolo e la traiettoria. Per tutto il tragitto dal Club Nautico avevo pensato a Crawford che instancabilmente rispondeva alle palline, e si preparava alla partenza e ai compiti che lo attendevano a Calahonda. Con nient'altro che la sua Porsche ammaccata e una collezione di racchette da tennis si sarebbe lanciato a risvegliare un altro tratto di costa.

Spensi il motore della Citroën e guardai le file di sedie dorate e i tavoli sulla terrazza, cercando di decidere che cosa avrei potuto dire a Crawford senza rischiare. I preparativi per la festa sarebbero cominciati fra un'ora, quando fossero arrivate le tartine e i beveraggi, e allora ci sarebbe stato poco tempo per la nostra prima e ultima partita di tennis. Ero sicuro che Crawford mi avrebbe lasciato vincere: faceva parte di quella generosità d'animo che conquistava tutti quelli che lo incontravano.

Prima di lasciare il Club Nautico avevo telefonato all'ispettore Cabrera, dandogli appuntamento alla mia villa. Lì gli avrei detto tutto quello che avevo saputo riguardo alla morte degli Hollinger e al tentato incendio al bungalow di Sanger. Sentendo così cambiato il mio tono di voce, Cabrera aveva cominciato a farmi delle domande, poi aveva creduto alla serietà della mia telefonata e aveva promesso di venire al più presto possibile: il tempo di fare il viaggio da Fuengirola.

Rimettendo a posto la cornetta, avevo girato lo sguardo per l'ultima volta sulla casa di Frank. Le stanze silenziose, da cui l'aria sembrava scomparsa, parevano sapere che Frank non sarebbe più tornato. Avevano deciso di ritrarsi nel passato segreto delle sue notti con Paula e nelle sue lunghe conversazioni con un giovane esuberante giocatore di tennis che aveva vagato lungo la costa e che, nel sonnolento paesino sulla spiaggia, aveva scoperto un elisir per risvegliare il mondo.

 

Ascoltavo il lanciapalle che si alimentava dalla tramoggia. Lo schiocco del meccanismo di tiro era seguito dall'impatto della palla che passava sopra la rete e colpiva la terra, ma non si sentiva il rumore della risposta di Crawford, né il raspare dei piedi che slittavano o l'ansito familiare.

Scesi dalla macchina e passai accanto alla Porsche che si stava raffreddando. La piscina era tranquilla, la superficie appena disturbata dalla bocca dell'aspiratore che risucchiava foglie e insetti. Seguii il sentiero che girava attorno alla casa, passando vicino al garage e all'ingresso della cucina. Attraverso il reticolato di fil di ferro che circondava il campo da tennis vidi l'asciugamano e la borsa di Crawford posati sul tavolino metallico verde accanto alla rete. La superficie del campo era disseminata di palle, e ogni nuova arrivata schizzava nel mucchio come il pallino in un biliardo affollato.

«Bobby...?» chiamai. «C'è appena il tempo per una partita veloce...»

La macchina variò la traiettoria, inclinando il lancio verso l'alto e verso destra. La palla passò sparata sopra la rete, colpì un punto sulla linea di fondo e rimbalzò in aria quasi verticalmente, superando il limite del reticolato. Feci di corsa i pochi passi necessari, con la mano sopra la testa, e la afferrai mentre ricadeva.

Mi schizzò del sangue sulle braccia e sul viso. Tenendo fra le dita la palla viscida, guardai la sostanza vermiglia e vischiosa. Mi asciugai dalle guance il sangue rappreso, mentre con le mani sporcavo le maniche della camicia.

«Crawford...?»

Aprii la porta del reticolato ed entrai nel campo mentre la macchina sparava la sua ultima palla per poi restare silenziosa. Ultimo servizio senza risposta, la pallina colpì la terra calpestata accanto al corpo di un uomo in calzoncini e maglietta bianca che giaceva sopra la linea di fondo. Con la racchetta in mano, riposava a faccia in alto in un lago di sangue che scorreva sulla terra giallastra.

Con la bocca socchiusa, come se fosse morto in un istante di autentica sorpresa, Bobby Crawford giaceva in mezzo alle palle insanguinate. La mano sinistra era aperta, con le dita fieramente piegate verso il sole: pensai che avesse tentato di afferrare i due proiettili sparati nel suo petto. I fori risaltavano chiaramente sulla maglietta di cotone, una accanto al capezzolo sinistro, l'altra appena sotto la clavicola.

A circa un metro da lui c'era una piccola pistola automatica, con la canna cromata che rifletteva il cielo sereno. Lasciai cadere la palla insanguinata che avevo in mano, mi inginocchiai e raccolsi la pistola, poi guardai l'uomo assassinato. Le labbra di Crawford erano separate, pronte ad atteggiarsi nella prima smorfia della morte. Vedevo i suoi denti bianchissimi, e le capsule di porcellana che, diceva, erano state il suo investimento di maggior valore prima di cominciare la sua carriera di professionista del tennis. Quando la testa aveva colpito il terreno la capsula del suo incisivo sinistro si era rotta, e l'anima d'acciaio riluceva al sole, un piccolo pugnale, una zanna nascosta nel sorriso di quest'uomo così pericoloso eppure simpatico.

Chi gli aveva sparato? Tenni la pistola con la mano sporca di sangue, cancellando accuratamente le impronte digitali dell'assassino. L'arma di piccolo calibro era una pistola da signora, e io immaginai Paula Hamilton che la portava nella borsetta, con la mano pallida sul calcio, si introduceva nel campo e camminava in mezzo alle palle mentre Crawford la salutava. Convinta che io non lo avrei mai tradito, aveva deciso di uccidere Crawford prima che la festa di addio potesse avviare il suo mortale programma per la serata.

Oppure lo aveva ucciso Sanger, per vendicarsi di tutto quello che Crawford aveva fatto a Laurie Fox? Nella mia mente vedevo l'esile ma deciso psichiatra camminare a grandi passi in mezzo alle palle veloci che gli serviva Crawford, impassibile mentre una battuta maligna gli colpiva la spalla, stringere in pugno la pistola e sorridere, sorridere per la prima volta, mentre Crawford abbassava la racchetta per scusarsi...

Le automobili stavano entrando nel viale, guidate dalla Seat di Cabrera. L'ispettore si sporgeva dal finestrino, come se stesse già annusando nell'aria l'odore di sangue. Dietro di lui, nel sedile posteriore della Mercedes, sedevano Elizabeth Shand e Hennessy, aspettando che un Mahoud perplesso spingesse la limousine sulla banchina erbosa. Nessuno di loro era vestito per la festa, ed erano venuti alla villa per sovrintendere alla disposizione delle bottiglie e delle tartine. Due furgoni erano parcheggiati sulla strada, e degli uomini in camice bianco scaricavano vassoi di bicchieri e pacchi di tovaglie. Sanger passò accanto a loro, alzando la testa per cercare di vedere oltre la macchina di Cabrera, con una mano tra i capelli argentei. Chiunque avesse sparato a Crawford, Paula Hamilton, Sanger o Andersson, aveva previsto che il lanciapalle avrebbe coperto il rumore della pistola, ed era scivolato via un istante prima del mio arrivo.

Cabrera raggiunse il reticolato ed entrò nel campo da tennis. Passò in mezzo alle palle sparse per terra e si fermò accanto alla rete, guardandomi con il suo sguardo pensoso, da seminario. Io ero inginocchiato accanto al corpo, con la pistola in mano, coperto dal sangue di Crawford. Cabrera alzò le mani per tranquillizzarmi, cosciente, dal mio volto e dalla mia posizione, che ero pronto a difendere il morto.

Sapeva già, mentre veniva verso di me, che mi sarei assunto la responsabilità di quella morte? La missione di Crawford sarebbe durata nel tempo, e i festival della Residencia Costasol avrebbero continuato a riempire il cielo di petali e palloncini, mentre le organizzazioni della colpa sorreggevano il loro sogno.