2. L'incendio della casa degli Hollinger

 

 

 

«Charles? Danvila mi ha detto che eri arrivato. E' molto bello da parte tua. Ma sapevo che saresti venuto.»

Frank si alzò dalla sedia quando io entrai nella stanza dei colloqui. Sembrava più esile e più vecchio di come lo ricordavo, e la cruda luce del neon dava alla sua pelle una pallida lucentezza. Aguzzò lo sguardo oltre la mia spalla, come se si aspettasse di vedere qualcun altro, poi abbassò gli occhi, per evitare i miei.

«Frank... va tutto bene?» Mi sporsi oltre la tavola, sperando di stringergli la mano, ma il poliziotto che stava in mezzo a noi sollevò il braccio, con un movimento rigido. «Danvila mi ha raccontato tutto, è chiaro che si tratta di un errore, di una pazzia. Mi dispiace di non esserci stato quando c'era l'interrogatorio.»

«Non importa, adesso sei qui. Questo è l'importante.» Frank appoggiò i gomiti sul tavolo, cercando di nascondere la sua stanchezza. «Com'è stato il volo?»

«Ha fatto ritardo... le linee aeree ormai hanno un tempo tutto loro, in genere un paio d'ore in ritardo rispetto a quello degli altri. Poi a Gibilterra ho affittato una macchina. Frank, mi sembri...»

«Sto bene.» Si ricompose con un sforzo, e riuscì a fare un sorriso stentato. «Allora, cosa ne pensi di Gib?»

«Ci sono stato solo pochi minuti. Uno strano posticino... ma non così bizzarro come questa costa.»

«Avresti dovuto vedere com'era un po' di anni fa. Troverai un sacco di roba su cui scrivere.»

«L'ho già fatto, Senti, Frank...»

«E' interessante, Charles...» Frank si sporse avanti, parlando così svelto da inciampare nelle parole, in qualche modo ansioso di sviare la nostra conversazione. «Devi passare più tempo qui. E il futuro dell'Europa. Fra un po' sarà così dovunque.»

«Spero proprio di no. Ascolta, ho parlato con Danvila. Sta cercando di far annullare l'udienza. Non ho capito tutti gli annessi e i connessi giuridici, ma c'è la possibilità che ci sia una nuova udienza, dove tu potrai cambiare la tua linea di difesa. Invocherai delle attenuanti. Eri sconvolto dal dolore, e non hai afferrato bene quello che diceva il traduttore. Quantomeno segneremo un punto fermo.»

«Danvila, già...» Frank giocherellava col suo pacchetto di sigarette. «Persona dolcissima: credo di averlo scioccato. Credo di aver scioccato anche te, direi.»

Era riapparso quel sorriso cordiale, ma di chi la sapeva lunga: Frank si appoggiò allo schienale della sedia, tenendo la mano dietro la testa, ormai sicuro di aver scongiurato gli eventuali pericoli della mia visita. Stavamo già assumendo i soliti vecchi ruoli, fissati una volta per sempre durante la nostra infanzia. Lui era lo spirito creativo e ribelle, e io l'ottuso fratello maggiore che però doveva stare al gioco. Agli occhi di Frank, io avevo sempre rappresentato in qualche modo una fonte di divertimento, per quanto affettuoso.

Indossava un vestito grigio e una camicia bianca aperta sul collo. Vedendo che avevo notato la sua gola scoperta, si mise una mano sul mento.

«Mi hanno portato via la cravatta... la posso mettere solo quando sono in tribunale. Se ci pensi, è davvero come un cappio... potrebbe fare venire delle idee al giudice. No, è che hanno paura che io possa uccidermi.»

«Be', Frank, non è quello che stai facendo? Ma Dio santo, perché ti sei dichiarato colpevole?»

«Charles...» fece un gesto stanco. «Dovevo, non potevo dire nient'altro.»

«E' assurdo. Non avevi niente a che fare con quelle morti.»

«Ce l'avevo, Charles, ce l'avevo.»

«Sei stato tu ad appiccare il fuoco? Dimmelo, non ci sente nessuno... l'hai incendiata tu la casa degli Hollinger?»

«Sì... in pratica.» Prese una sigaretta dal pacchetto e aspettò che il poliziotto venisse avanti ad accendergliela. La fiammella brillò sotto il cappuccio consumato dell'accendino di ottone, e Frank fissò per un attimo il fuoco prima di tirare la prima boccata. In quel breve chiarore il suo viso sembrò calmo e rassegnato.

«Frank, guardami.» Diradai il fumo, un mulinello spettrale che usciva dai suoi polmoni, «Voglio sentirtelo dire... sei stato tu, tu personalmente, a incendiare la casa degli Hollinger?»

«E' quello che ho detto.»

«Usando una bomba piena di etere e di benzina?»

«Sì. Non provarci mai. E' una miscela terribilmente infiammabile.»

«Non ci credo. Ma perché, per l'amor di Dio? Frank...!»

Soffiò un anello di fumo contro il soffitto, poi si mise a parlare con voce tranquilla, quasi inespressiva. «Per capire, anche solo per cominciare a capire, dovresti vivere per un po' a Estrella de Mar. Credimi, se anche ti spiegassi quello che è successo, per te non significherebbe nulla. E' un altro mondo, Charles. Non è Bangkok, o un atollo delle Maldive.»

«Cerca di spiegarmelo. Stai coprendo qualcuno?»

«Perché dovrei?»

«Tu conoscevi gli Hollinger?»

«Li conoscevo bene.»

«Danvila dice che negli anni Sessanta lui era qualcosa come un magnate del cinema.»

«Solo in un certo senso. Più che altro commerciava in stabili, uffici nella City. Ma la moglie era una delle ultime stelline della Rank. Si sono ritirati qui una ventina d'anni fa.»

«Frequentavano regolarmente il Club Nautico?»

«Regolarmente proprio, no. Capitavano ogni tanto.»

«E tu eri lì la sera dell'incendio? Eri in quella casa?»

«Sì! Vedi, cominci a parlare come Cabrera. L'ultima cosa che vuole un inquirente è la verità.» Frank spense la sigaretta del portacenere, scottandosi le dita. «Guarda. Mi dispiace che siano morti. E' stata una tragedia.»

Disse queste ultime parole senza pathos, con lo stesso tono che aveva usato una volta, quando aveva dieci anni ed era entrato in casa dal giardino a dirmi che la sua tartarughina era morta. Adesso, una volta tanto, sapevo che stava dicendo la verità.

«Allora ti riportano a Malaga stasera», dissi. «Verrò a trovarti appena posso.»

«E' sempre bello vederti, Charles.» Riuscì a stringermi la mano prima che il poliziotto ci fermasse, «Sei tu che hai badato a me dopo che mamma è morta, e in un certo senso lo stai ancora facendo. Quanto tempo starai?»

«Una settimana. Poi devo andare a Helsinki per un documentario t.v. Ma tornerò.»

«Sempre in giro per il mondo. Tutti quei lunghi viaggi, tutti quegli atrii delle partenze. Ma sei mai arrivato davvero da qualche parte?»

«Non saprei dire... a volte penso di aver fatto del jet lag una filosofia di vita. E' la cosa più simile che ci sia alla malinconia.»

«E il tuo libro sui grandi bordelli del mondo? L'hai già cominciato?»

«Sto ancora raccogliendo materiale.»

«Mi ricordo che ne parlavi già quando andavamo a scuola. Dicevi che le sole cose che ti interessavano nella vita erano l'oppio e i bordelli. Graham Greene sputato, ma aveva una certa aria eroica. Ne fumi ancora?»

«Qualche volta.»

«Non preoccuparti, non lo dirò a papà. Come sta il vecchio?»

«L'abbiamo spostato in una casa di cura più piccola. Adesso non mi riconosce più. Quando esci di qua devi andare a trovarlo. Penso che si ricordi di te.»

«Non mi è mai piaciuto, lo sai.»

«E' come un bambino, Frank. Ha dimenticato tutto. Non fa che sbavare e sonnecchiare.»

Frank si appoggiò di nuovo allo schienale, sorridendo al soffitto come se vedesse i suoi ricordi vagare sulla pittura grigia. «Rubavamo... ti ricordi? Che strano... cominciò tutto a Riyad, quando mamma si ammalò. Arraffavo tutto quello su cui riuscivo a mettere le mani. E tu mi aiutavi, per non farmi sentire solo.»

«Frank, era un periodo particolare. Tutti lo capivano.»

«Tutti, tranne papà. Quando mamma perse il controllo lui non riusciva a farsene una ragione. E cominciò quella strana storia con la sua segretaria, che aveva pure i suoi anni.»

«Era disperato, poveretto.»

«Quando io rubavo lui sgridava te. Mi trovava le tasche piene di caramelle (le fregavo all'Hilton di Riyad) e se la prendeva con te.»

«Ero il più grande. Pensava che avrei dovuto fermarti. E poi sapeva che ti invidiavo.»

«Mamma si rovinava la salute a forza di bere e nessuno faceva niente. Rubare era l'unico modo che avevo per dare un significato al senso di colpa che mi sentivo addosso, Poi lei cominciò a fare quelle lunghe passeggiate nel cuore della notte, e tu andavi con lei. Ma dove andavate di preciso? Me lo sono sempre chiesto.»

«Da nessuna parte. Camminavamo intorno al campo da tennis. Un po' come la vita che faccio adesso.»

«Forse già allora avevi un'inclinazione per queste cose. E' per questo che mettere radici ti rende inquieto. Sai, Estrella de Mar è spaventosamente simile all'Arabia Saudita. Forse è per questo che sono venuto qui...»

Fissò il tavolo con un'espressione dura, come se tutti quei ricordi l'avessero depresso. Senza curarmi del poliziotto, mi sporsi sul tavolo e gli strinsi le spalle, cercando di calmare il tremito delle sue clavicole. Lui incrociò il mio sguardo, contento di vedermi, con un sorriso venato di ironia.

«Frank...?»

«Va tutto bene.» Si raddrizzò, confortato. «A proposito, come sta Esther? Avrei dovuto chiedertelo.»

«Sta bene. Ci siamo separati tre mesi fa.»

«Mi dispiace. Mi è sempre piaciuta, quella donna. Un animo nobile, in un modo tutto suo. Una volta mi fece un sacco di strane domande sulla pornografia. Ma niente che riguardasse te.»

«Ha cominciato a volare col deltaplano l'estate scorsa: andava sulle South Downs tutti i fine settimana. Doveva essere un segno che voleva lasciarmi. Adesso lei e le sue amiche fanno gare in Australia e nel New Mexico. A volte penso a lei là in alto, con tutto quel silenzio.»

«Troverai qualcun'altra.»

«Forse...»

Il poliziotto si alzò e aprì la porta, voltandoci le spalle, per chiamare un ufficiale che stava seduto a una scrivania, dall'altra parte del corridoio. Mi piegai sul tavolo, parlando in fretta. «Frank, ascolta. Se Danvila riesce a farti uscire su cauzione, forse posso sistemare le cose.»

«Che cosa vuoi dire? Charles?»

«Sto pensando a Gibilterra...» Il poliziotto adesso ci sorvegliava di nuovo. «Sai cosa riescono a fare là. Tutta questa faccenda è ridicola. E' ovvio che gli Hollinger non li hai uccisi tu.»

«Non è esattamente vero.» Frank si staccò da me, e sulle sue labbra apparve di nuovo quel sorriso di scusa. «E' difficile crederlo, ma sono colpevole.»

«Non dire così!» Irritato, mi capitò di gettare a terra il suo pacchetto di sigarette, che atterrò vicino ai piedi del poliziotto. «Non dire niente a Danvila di quest'affare di Gibilterra. Una volta che sarai di nuovo in Inghilterra riuscirai a scagionarti.»

«Charles... io posso discolparmi soltanto qua.»

«Ma almeno sarai fuori di galera, al sicuro da qualche parte.»

«Dove non ci sia estradizione per assassinio?» Frank si alzò in piedi e spinse la sedia contro il tavolo. «Dovrai portarmi con te nei tuoi viaggi. Andremo insieme per il mondo. Mi piacerebbe...»

Il poliziotto mi invitò implicitamente ad andare, spostando la mia sedia contro il muro. Frank mi abbracciò e fece un passo indietro, sempre col suo misterioso sorriso. Raccolse le sigarette e alzò la testa verso di me.

«Credimi, Charles. Il mio posto è qui.»