23. Vieni a vedere
«La tua nuova casa, Charles, guarda. Bella, no?»
«Molto bella. La vuoi svaligiare?»
«Solo quando ti sarai sistemato. Vedrai, starai benissimo. Vorrei tenerti lontano dal Club Nautico. A volte i ricordi diventano eccessivi.»
Ci avvicinavamo al cancello di una villa in una tranquilla strada residenziale a trecento metri a ovest della piazza centrale. Un cartello dell'ufficio immobiliare era infilato nel quadrato di erba giallognola accanto alla piscina vuota. Mai occupata dopo la sua costruzione, la casa sembrava quasi spettrale nella sua verginità avvizzita, infestata da occupanti umani che non ne avevano mai abitato le stanze eppure avevano lasciato le loro tracce, come sbuffi di nebbia su una lastra fotografica.
«E' un posto imponente», osservai mentre scendevamo dalla macchina. «Come mai non ci ha abitato nessuno?»
«I proprietari sono morti prima di lasciare l'Inghilterra, e c'erano dispute in famiglia sull'omologazione del testamento. Betty Shand l'ha avuta per quattro soldi.»
Crawford aprì il cancello e si avviò per il viale precedendomi. La piscina ovale, a forma di rene, sembrava un altare affondato a cui si accedeva per la scala cromata. Le offerte votive di un topo morto, di una bottiglia di vino e di un opuscolo sbiadito dal sole, attendevano una qualsiasi divinità minore che venisse a reclamarle. Il giardino di palme e buganvillee, che non veniva innaffiato da tempo, appariva smorto, soffocato dal caldo. Finestre polverose, a cui nessuno si era mai affacciato, sigillavano adesso le stanze spoglie.
Crawford afferrò il cartello e fece forza sul palo scuotendolo avanti e indietro, poi riuscì a tirarlo via dal suolo inaridito e lo gettò a terra. Salendo i gradini piastrellati che conducevano al portone, trasse di tasca un mazzo di chiavi.
«Sarai contento di vedere che non entriamo con un'effrazione: sembra strano entrare e uscire attraverso il portone, quasi una cosa proibita. Voglio che tu sperimenti la Residencia Costasol direttamente. I misteri della vita e della morte aleggiano sopra ville come questa...»
Entrammo nell'interno silenzioso. La luce del sole entrava attraverso il vetro polveroso delle finestre senza tende. Le stanze vuote si stendevano intorno a noi, con le pareti bianche che non racchiudevano nulla, pronte a ospitare drammi di noia e di monotonia, il guizzare insensato di migliaia di partite di football. Priva di mobili e di ornamenti, la casa non aveva una funzione precisa. La cucina già equipaggiata assomigliava a un centro di sopravvivenza, fra l'unità di cura intensiva e a dispensario medico. Mentre Crawford mi guardava soddisfatto capii che la sua analisi era stata fin troppo acuta: mi sentivo già a mio agio nella villa, così libera dall'ingombro del passato, da quella morena di ricordi in cui da sempre inciampavano i miei piedi.
«Charles, sei arrivato a casa...» Crawford mi faceva cenno di entrare nel grande soggiorno. «Assapora la sensazione... la stranezza incombe su di noi, più di quanto vorremmo.»
«Forse è così. Le case vuote hanno una magia speciale. Non so se ho voglia di vivere qui. E i mobili?»
«Li consegnano domani. Tende bianco su bianco, cromature e cuoio nero, sei tu, non c'è dubbio. Ha scelto Betty Shand, non io. Intanto, andiamo a vedere il piano di sopra.»
Lo seguii su per le scale. Un pianerottolo portava a grandi corridoi e a una terrazza di cemento all'aperto, una specie di cappella dedicata al sole, Percorsi le stanze da letto vuote e i loro bagni pieni di specchi, cercando di immaginare come avrebbero reagito a questi immobili interni i nuovi arrivati, tagliati fuori dal mondo dai loro sensori e dai loro sistemi di sicurezza. Il deserto esterno della Residencia Costasol si rifletteva nel deserto interno di queste camere asettiche. La minore gravità di questo strano pianeta avrebbe intorpidito i cervelli e avrebbe trasformato gli abitanti in altrettanti naufraghi nelle loro poltrone, gli occhi fissi sull'orizzonte dei televisori, come in un tentativo di stabilizzare le proprie menti. Forzando una finestra o scassinando la porta di una cucina Crawford aveva rotto l'incantesimo, e gli orologi avevano ricominciato a correre...
«Bobby...?» Lasciando la camera da letto principale, con la sua vista sul giardino delle palme e il campo da tennis sottostante, cercai il corridoio. Le stanze da letto vicine erano vuote, e a tutta prima pensai che il mio compagno mi avesse lasciato solo nella casa, forse per qualche suo perverso esperimento. Poi lo sentii che si muoveva in una stanzetta sul retro, che dava sul cortile della cucina.
«Charles, sono qui dentro. Vieni a vedere: è piuttosto strano...»
Entrai nella camera senza mobili, col suo bagno in miniatura poco più grande di uno sgabuzzino. Crawford stava accanto alla finestra, guardando attraverso le stecche di una veneziana.
«La stanza della cameriera?» chiesi. «Speriamo che sia carina.»
«Ah... a quella non abbiamo ancora pensato. Però c'è una vista interessante.»
Le impronte delle dita di Crawford erano ben visibili sulle imposte polverose, quando lui le aprì. Dietro il cortile della cucina c'era il campo da tennis, con la terra appena spazzata e le linee dipinte di fresco. Fra i pali c'era una rete bella nuova e sulla linea di fondo una macchina da tennis simile a quella del Club Nautico attendeva il suo avversario.
Ma Crawford non stava ammirando il lanciapalle che aveva generosamente preparato per me. Sulla nostra sinistra, oltre il muro di cinta che accompagnava il viale di accesso fino alla strada principale, c'era la proprietà adiacente, un trio di bei bungalow raggruppati come stanze di motel attorno a una piscina comune. Una volta tanto il terreno piatto della Residencia Costasol aveva acconsentito a salire, formando una modesta montagnola che dava alle tre abitazioni una vista piacevole sui giardini circostanti, ma che rendeva anche ben visibile la piscina dalla finestra alla quale eravamo adesso affacciati.
La luce, riflessa dalla superficie mossa della piscina, tremolava lungo i tronchi delle palme e illuminava a chiazze le pareti esterne dei bungalow. Un'adolescente uscì dalla piscina e si fermò sul bordo, in piedi, con i seni scoperti, strizzandosi via l'acqua dal naso con le dita. Lanciando un grido per incoraggiarsi da sola, corse lungo il bordo e si tuffò rumorosamente in acqua.
«E' carina, vero, Charles? Bella in modo disgustoso. Dovresti riuscire a combinare qualcosa con lei.»
«Be'...» Guardai la ragazza che si agitava nell'acqua bassa, spruzzandosi e lanciando piccole urla agli arcobaleni che partivano dalle sue mani. «E' graziosa, non c'è dubbio.»
«Graziosa? Accidenti, che gusti. Non direi che è graziosa.»
Guardai la ragazza che schiaffeggiava allegramente l'acqua, e allora mi resi conto che Crawford stava guardando oltre la piscina, a un tavolino in ombra accanto al bungalow più vicino. Un uomo snello, con i capelli bianchi e un bel profilo da attore stava in piedi accanto all'ombrellone, avvolto in una vestaglia di seta. Salutava la ragazza levando il bicchiere, ammirando le sue bracciate energiche ma povere di tecnica. A una decina di metri di distanza riuscivo a vedere il sorriso malinconico sulle sue labbra sottili.
«Sanger? Allora questi sono i suoi bungalow...»
«Il suo giardino dell'Eden.» Crawford diede un morso all'imposta sporca. «Può fare la parte di Dio, di Adamo e del serpente senza neppure cambiarsi la foglia di fico. Uno dei bungalow è lo studio in cui riceve le sue pazienti. L'altro lo affitta a una donna francese e a sua figlia, la ragazza nella piscina. Nel terzo ci abita con la sua ultima protetta. Guarda sotto l'ombrellone.»
Su una sedia a sdraio sotto il parasole stava una giovane donna con una camicia da notte di cotone, del tipo di quelle usate negli ospedali. Un braccio riposava su un mucchietto di libri intonsi, ed esponeva alla vista i buchi delle punture infette che coprivano la superficie interna, dal polso al gomito. Giocherellava con un bicchiere medicinale vuoto, come se non fosse capace di fissarsi su nulla di quanto la circondava prima di aver preso la prossima dose. I capelli neri erano stati rasati quasi a zero, e scoprivano le profonde cicatrici sulle tempie. Quando si girò a guardare la piscina gli anelli d'oro infilati nella narice destra e nel labbro inferiore scintillarono al sole, illuminando per un istante il suo viso smorto. Le sue guance senza tono mi ricordarono gli eroinomani che avevo visto nell'ospedale della prigione di Canton, indifferenti alla morte a cui erano stati condannati, anche dopo che avevano preso posto nella carretta che h portava all'esecuzione.
Eppure, mentre guardavo questa giovane donna così malridotta vedevo che uno spirito ribelle stava lottando per salire alla superficie dalle profondità della trance in cui l'aveva gettata il Largactil somministratole da Sanger. Aveva l'aspetto accigliato e tetro, ma di quando in quando i suoi occhi si fissavano su qualche immagine interiore, un ricordo del tempo in cui era stata viva. Allora un sorriso quasi torvo increspava le sue labbra, e lei volgeva la testa per guardare divertita, addirittura maliziosa, i tranquilli bungalow e la piscina, principessa in una torre alla ricerca di un abito da indossare, prigioniera delle buone intenzioni della professione medica. La sua vera casa era la baracca dei drogati e il materasso macchiato di pus, un regno di aghi scambiati e di speranze svanite in cui non era ammesso il giudizio morale. Sullo sfondo della Residencia Costasol, con le sue ville impeccabili e i suoi cittadini sensibili, lei teneva alta la promessa di un mondo libero e senza radici. Per la prima volta capivo perché Andersson e Crawford avevano considerato Bibi Jansen così preziosa.
«Ti interessa, Charles?» chiese Crawford. «La nostra pallida signora dell'eroina.»
«Chi è?»
«Laurie Fox: lavorava in un club di Fuengirola finché Sanger non la trovò. Il padre fa il dottore in una clinica del posto; dopo la morte della moglie in un incidente d'auto cominciò a condividere con Laurie la sua abitudine all'eroina. Lei è apparsa in un paio di serial televisivi a basso costo prodotti qui.»
«E andava bene?»
«I serial erano di merda, ma lei rendeva bene. Ha un viso col tipo giusto di ossa.»
«E adesso sta con Sanger? Ma lui come fa?»
«Lui ha un talento speciale, e anche necessità speciali.»
La ragazza francese strillò e si immerse. L'acqua mossa mandò un lampo di luce per il giardino. Laurie Fox fece la mossa di ritrarsi e cercò la mano di Sanger. Lui stava dietro di lei e le passava una spazzola d'argento sui capelli rasati. Cercando di calmarla, le allentò la camicia da notte e le massaggiò le spalle con una crema solare, le dita leggere come quelle di un amante. Lei gli prese la mano, la ripulì dalla crema, poi se la mise sul seno.
La franchezza di questa risposta erotica, il modo spudorato con il quale lei usava il suo sesso, sembrarono turbare Crawford. Le stecche di plastica della tenda gli sfuggirono di mano e sbatterono contro la finestra, ma lui riuscì a controllarsi e le fermò. Il suo alito appannò il vetro polveroso mentre respirava pesantemente, in parte irritato e in parte ammirato ed eccitato.
«Laurie...» mormorò. «E' lei la tua star, Charles.»
«Sei sicuro? Sa recitare?»
«Spero di no. Quello che ci serve è una... una presenza, di un tipo speciale. Il tuo club di cinema le vorrà bene.»
«Ci penserò. L'hai conosciuta?»
«Certo. Betty Shand è proprietaria di metà di quel club di Fuengirola.»
«Va bene, magari funziona. Lei sembra abbastanza felice con Sanger.»
«Nessuno è felice con Sanger.» Crawford picchiettò col pugno sul vetro, poi guardò fisso lo psichiatra. «Gliela porteremo via. Laurie ha bisogno di un'altra specie di incoraggiamento.»
«Del tipo...?»
La risposta di Crawford non venne, perché lui stava osservando Sanger come un cacciatore acquattato nel suo nascondiglio. Lo psichiatra andava adesso verso la piscina con un asciugamano pulito. Quando la giovane francese uscì dall'acqua lui glielo drappeggiò addosso, strofinandole dolcemente le spalle mentre guardava i capezzoli inturgiditi di lei. Nascoste tra le pieghe dell'asciugamano, le sue mani indugiavano sul seno e sul sedere della ragazza: poi lui le raccolse i capelli in una rudimentale treccia che adagiò sul suo collo.
La piccola camera da letto era stranamente silenziosa, come se tutta la villa stesse aspettando la nostra reazione. Mi resi conto che sia Crawford che io avevamo trattenuto il respiro. Il petto del tennista era fermo, e i muscoli della sua faccia sembravano sul punto di scoppiare. Di solito così amabile e rilassato, adesso sembrava volesse bucare il vetro della finestra con la fronte. Il suo aspro rancore verso Sanger, la sua invidia per l'affetto che lo psichiatra stava dimostrando alla giovane, mi fecero capire che in passato doveva essere entrato in conflitto con la professione psichiatrica, forse durante l'ultimo periodo trascorso nell'esercito.
La ragazza francese entrò nel suo bungalow, e Sanger tornò al tavolino accanto alla piscina. Prese la mano di Laurie Fox, la fece alzare dalla sedia e le passò affettuosamente un braccio attorno alla vita, conducendola verso il bungalow che stava alle loro spalle.
Gli infissi di metallo, piegati, sbatterono contro la finestra. Strappata dal muro dalle mani di Crawford, la veneziana giacque a terra ai nostri piedi, un ammasso vibrante di stecche di plastica. Feci un passo indietro, cercando di prendere Crawford per un braccio.
«Bobby, per l'amor di Dio...»
«Va tutto bene, Charles. Non volevo spaventarti...» Crawford mi rassicurò sorridendo prontamente, ma i suoi occhi si muovevano veloci nello spazio della proprietà di Sanger. Stava calcolando le linee della visuale fra i bungalow, e io ero sicuro che si stesse preparando qualche provocazione violenta.
«Bobby... ce ne sono altre di ragazze come Laurie Fox. Altrettanto strafatte e altrettanto strane. Fuengirola ne sarà piena.»
«Non aver paura, Charles.» Crawford parlava con tono calmo, gli era tornato il senso dell'ironia. Piegò le spalle come un boxeur e sogghignò guardandosi le mani insanguinate. «Non c'è niente come una reazione violenta ogni tanto per tonificare il sistema nervoso. Per qualche strana ragione, Sanger mi fa sempre questo effetto.»
«E' solo un altro psichiatra picchiato. Lascialo perdere.»
«Gli psichiatri sono tutti picchiati: credi, Charles, ci ho avuto a che fare con quei poveretti. Mia madre mi portò da uno di loro, a Ely. Lui pensava che io stessi diventando sociopatico, e che mi piacesse farmi del male. Papà aveva capito di più. Sapeva che gli volevo bene, nonostante quella cinghia.»
«E che mi dici degli psichiatri dell'esercito a Hong Kong?»
«Ancora più dilettanti.» Crawford si voltò a guardarmi nel modo più freddo che poteva, con gli occhi fissi nei miei. «Per quel che vale, loro usavano termini ancora più forti.»
«Come "psicopatia"?»
«Quel genere di cose. Terribilmente aggrovigliate e confuse. Non capiscono che lo psicopatico gioca un ruolo vitale, che soddisfa i bisogni del momento, toccando le nostre vite disgraziate con l'unica magia che siamo in grado di riconoscere.»
«E quale sarebbe?»
«Charles, andiamo... Devo avere anch'io i miei piccoli segreti professionali. Torniamo al club e vediamo di iscrivere tutti questi nuovi soci impazienti.»
Mentre lo seguivo verso la porta si girò e mi dedicò un sorriso di trionfo, poi prese la mia faccia tra le sue mani e mi lasciò sulle guance l'impronta sanguinante delle sue dita.