17. Si cambia programma

 

 

 

Frank, imprevedibile sino all'ultimo, aveva deciso di vedermi. Il señor Danvila mi portò la buona notizia al Club Nautico, sicuro che si trattasse di un progresso importante. Aspettava nell'atrio che io tornassi dalla piscina, e non sembrò sorpreso quando non lo riconobbi, sullo sfondo delle stampe sportive inglesi appese al muro.

«Signor Prentice...? C'è qualche problema?»

«No. Señor Danvila?» Mi tolsi gli occhiali da sole e riconobbi la sua figura tormentata, con le immancabili borse sempre in movimento da una mano all'altra. «In che cosa posso esserle utile?»

«C'è una questione urgente a proposito di suo fratello. Ho saputo stamattina che adesso vuole parlare con lei.»

«Bene...»

«Signor Prentice?» L'avvocato mi seguì fino all'ascensore e mise la mano sopra il pulsante di chiamata. «Ha capito quello che le fio detto? Può far visita a suo fratello. Lui è d'accordo di incontrarla.»

«E'... meraviglioso. E sa come mai ha cambiato idea?»

«Non ha importanza. L'importante è che voglia vederla. Avrà qualcosa da dirle. Forse qualche nuova prova.»

«Naturalmente. E' una notizia eccellente. Probabilmente ha avuto il tempo di ripensare a tutta la faccenda.»

«Proprio così.» Danvila mi guardava in modo inaspettatamente acuto, che contrastava con la sua aria di maestro di scuola stanco e bastonato. «Signor Prentice, quando vede suo fratello gli dia agio di parlare. L'orario della visita è alle quattro e mezzo di oggi pomeriggio. Ha chiesto che lei porti con sé la dottoressa Hamilton.»

«Ancora meglio. La chiamerò alla clinica. So che anche lei voleva parlargli. E il processo? Ci sarà qualche effetto?»

«Se ritira la confessione presenterò un'istanza alla corte di Marbella. Dipende tutto dal vostro incontro di oggi. Bisogna che lei sia delicato, signor Prentice.»

Fissammo un appuntamento al parcheggio dei visitatori della prigione. Accompagnai Danvila alla sua auto, e mentre lui posava le borse nel sedile del passeggero io estrassi dalla tasca dell'accappatoio le chiavi che avevo trovato nella limonaia. Le provai sulla serratura della portiera e, come avevo supposto, vidi che non entravano. Ma Danvila aveva notato il cambiamento nei miei occhi.

«Signor Prentice, si sta divertendo qui a Estrella de Mar?»

«Non proprio. Ma il posto ha un grande fascino... direi addirittura una certa magia.»

«Magia, certo.» Danvila tenne forte il volante, per impedirgli ogni iniziativa precipitosa. «Lei comincia ad assomigliare a suo fratello...»

Tornai all'appartamento di Frank, cercando di fare ipotesi sulla rilevanza della sua decisione. Rifiutandosi di vedere me, e tutti i suoi amici e colleghi del Club Nautico, egli aveva stabilito un punto fermo nel caso, accettando la colpa per la morte degli Hollinger nello stesso modo in cui un ministro potrebbe rassegnare le dimissioni per gli errori di un suo subordinato. Al tempo stesso mi stava proteggendo dal ricordo del rimorso che avevamo provato insieme dopo la morte di nostra madre. Avevamo cercato disperatamente di tenerla in vita, appoggiandola alla scala e raccogliendo i bicchieri di whisky rotti sul pavimento del bagno.

Sentii un impeto di affetto per Frank, ricordando la determinazione con cui quel bambino di otto anni puliva le posate e le riponeva nei cassetti di cucina. Solo adesso riuscivo ad accettare il fatto che quella donna sfortunata e sola probabilmente non si accorgeva neppure dei suoi figli, ed era a malapena consapevole di se stessa, guardando negli specchi della casa come se cercasse di ricordare la propria immagine.

Era strano: a Estrella de Mar ogni traccia di rimorso era svanita quasi del tutto, evaporata nella benefica luce del sole come le nebbie mattutine sopra la piscina. Chiamai la segreteria telefonica di Paula alla clinica e le proposi di mangiare insieme al Club Nautico prima di partire per Malaga. Dopo la doccia mi affacciai al balcone a guardare i giocatori che si dannavano sui campi da tennis, come sempre sotto la devota supervisione di Bobby Crawford.

Le racchette da tennis di Frank erano nell'armadio: ero tentato di andare sul campo e di giocare una partita con Crawford. Mi avrebbe battuto facilmente, ma ero curioso di vedere con quanto margine. Ci sarebbero stati i primi ace violenti, addirittura botte liftate in piena fronte, ma poi lui avrebbe moderato il suo gioco, perdendo qualche punto e trascinandomi sempre più nella rivalità con lui. Se mi fossi messo di proposito a giocare male mi avrebbe lasciato un vantaggio ancora maggiore e io sarei stato tentato di fare qualche discesa precipitosa a rete...

Nel parcheggio la sua Porsche stava proprio in mezzo all'alone bordato di nero lasciato sull'asfalto dall'incendio della Renault. Crawford parcheggiava sempre lì: non sapevo se lo facesse per ricordarmi il rogo della mia macchina o per una perversa esibizione di solidarietà. Quella mattina, prima, avevo provato le chiavi misteriose sulle portiere della Porsche. Guardando i numeri arretrati dell'«Economist», la stecca di sigarette turche e gli occhiali da aviatore con le lenti affumicate, avevo provato un forte senso di sollievo quando le chiavi non erano entrate.

Mentre aspettavo Paula misi insieme un po' di vestiti di ricambio per Frank. Cercando le camicie pulite nell'armadio, trovai lo scialle di pizzo che avevamo ereditato dalla nonna. Il tessuto ingiallito stava fra i maglioni di mohair come un drappo funebre: mi ricordai quando lo mettevo sulle spalle di mia madre seduta davanti alla sua toilette, e il profumo della sua pelle si mescolava in modo inequivocabile con l'odore acuto del whisky.

 

La B.M.W. di Paula entrò nel parcheggio e si fermò a fianco della Porsche. Riconoscendo l'auto sportiva, la donna arricciò il naso irritata e fece marcia indietro per parcheggiare in un'altra posizione. Prese un arancio da un canestro di frutta sul sedile del passeggero, uscì dalla macchina e si avviò agilmente verso l'entrata. Ero sempre incantato nel vederla. Con i suoi pantaloni bianchi e i tacchi alti, e una sciarpa di seta che le svolazzava intorno al collo, non sembrava tanto una dottoressa quanto una delle eleganti ospiti di uno degli yacht di Puerto Banus.

«Paula...? Sei tu?»

«Chi vuoi che sia?» Chiuse la porta dell'appartamento dietro di sé e uscì sul balcone. Facendo ballare l'arancio su una mano, con l'altra indicò il cerchio bruciato sull'asfalto. «Preferirei che l'avessero ripulito. Parlane con David Hennessy. Grazie a Dio non eri dentro l'auto.»

«Dormivo della grossa. Era mezzanotte passata.»

«Avresti potuto sonnecchiare al volante, o spiare una coppia che faceva l'amore. C'è gente a cui piace fare il sesso in macchina: Dio solo sa perché.» Mi tirò l'arancia e si sporse sulla ringhiera. «Allora, come stai? Per essere uno che viene attaccato dai deltaplani e mezzo soffocato dagli strangolatori mi sembri in gran forma.»

«Lo sono. Mi sento quasi esaltato. Dev'essere il pensiero di vedere Frank.»

«Certo che è così.» Sorridendo mi si avvicinò e mi abbracciò, premendo la sua guancia sulla mia. «Ci siamo preoccupati tanto per quel pover'uomo. Finalmente sapremo che cosa gli è passato per la testa in tutto questo tempo.»

«Speriamo. Qualcosa deve avergli fatto cambiare idea, ma Dio solo sa cosa.»

«Che importanza ha?» Passò le sue dita sul lividi del mio collo. «L'importante è che il contatto sia ristabilito. Tu vuoi vederlo davvero Frank?»

«Ma è naturale. E' solo che... non so bene che cosa dirgli. Succede così all'improvviso, e forse non significa nulla. Cabrera gli avrà detto delle aggressioni che ho subito. Ho idea che Frank voglia che io torni a Londra.»

«E tu? Tu vuoi tornare?»

«Non proprio. Estrella de Mar è molto più interessante di quanto avessi pensato a prima vista. E poi...»

Era arrivata l'ora del pranzo, le lezioni di tennis si erano interrotte e i giocatori stavano tornando negli spogliatoi. Crawford si muoveva attorno al lanciapalle, ora silenzioso, raccogliendo le palline cadute e rimettendole nella tramoggia. Poi si mise a correre dietro ai giocatori, sfidandoli a una gara di corsa alle docce. Incantato dalla sua energia, stavo per salutarlo, quando Paula mi trattenne per il gomito.

«Charles...»

«Cosa c'è?»

«Controllati. Sei più interessato a Crawford che a tuo fratello.»

«Non è vero.» Seguii Paula nella stanza da letto, dove lei stava sistemando i vestiti di Frank nella valigia. «Però Crawford è interessante. Lui ed Estrella de Mar sono la stessa cosa. Ho parlato con Sanger l'altro giorno... lui pensa che noi siamo il prototipo di tutte le comunità del tempo libero del futuro.»

«E tu sei d'accordo?»

«Potrei esserlo. E' un tipo strano, con questa inclinazione per le ragazzine che cerca in tutti i modi di nascondere a se stesso. Però è molto acuto. Secondo lui il motore che muove Estrella de Mar è il crimine. Il crimine e quello che Sanger chiama comportamento trasgressivo. Non sei sorpresa, Paula?»

Lei alzò le spalle, e chiuse i fermagli della valigia. «Nessuno denuncia mai dei crimini.»

«E questo è il crimine perfetto, il meglio congegnato fra i crimini: quando le vittime o sono consenzienti, o non sono coscienti di essere vittime.»

«E Frank è una di queste vittime?»

«Forse. Qui opera una logica molto curiosa. La mia idea è che Frank l'avesse capito.»

«Glielo puoi chiedere direttamente oggi pomeriggio. Cambiati, che andiamo a mangiare.»

Si mise accanto alla porta, aspettando che io prendessi il passaporto e il portafoglio dal cassetto della scrivania e contassi venti banconote da mille pesetas.

«A cosa ti servono? Non dirmi che David Hennessy ti fa pagare il pranzo?»

«Non ancora. Servono per ungere le guardie carcerarie che hanno rapporti con Frank. Si potrebbe dire che è una bustarella, ma mi sembra un termine ingeneroso.»

«Va bene.» Paula annuì approvando mentre si legava di nuovo la sciarpa attorno al collo e si aggiustava i capelli allo specchio. «Non dimenticare le chiavi della macchina.»

«Sono... un mazzo di riserva.» Le chiavi che avevo trovato nella limonaia stavano sulla scrivania. Non avevo detto niente a Paula, non prima di averle provate anche sulla sua B.M.W. «Paula...»

«Cosa c'è? Stai svolazzando come una falena intorno alla luce.» Mi venne vicino, esaminando le mie pupille. «Hai preso qualcosa?»

«No, non quello che pensi tu.» Mi voltai a guardarla. «Senti, non so se ce la faccio a vedere Frank oggi.»

«Perché no? Charles?»

«Vai da sola. Credimi, non è la giornata giusta. Sono successe troppe cose.»

«Ma è lui che vuol vederti.» Paula cercò di interpretare la mia faccia. «Cosa posso dirti di più? Sarà sconvolto quando saprà che non hai voluto venire.»

«No, non lo sarà. Conosco Frank. Ha deciso di dichiararsi colpevole e niente gli farà cambiare idea.»

«Può essere spuntato fuori qualcosa di nuovo. Cosa devo dire a Cabrera? Quindi non vuoi proprio venire?»

«No.» Le posai le mani sulle spalle per calmarla. «Senti, io voglio vedere Frank, ma non oggi, e non per parlare del processo. Non è questo ormai che mi preoccupa di più. Ci sono altre cose che ho da fare qui.»

«Cose che riguardano Bobby Crawford?»

«Credo di sì. La chiave di tutto è lui. L'unica cosa che posso fare per aiutare Frank non è andare a Zarzuella, è avvicinarmi di più a Bobby Crawford.»

«Va bene.» Lei si rilassò, e mise le sue mani sulle mie. La sua adesione più che pronta alla mia decisione mi fece capire che stava seguendo una sua strada. Mi stava conducendo per i corridoi di un labirinto, e ogni volta che io sembravo esitare mi indicava un'altra porta. Si accorse che fissavo i suoi seni, abbondantemente scoperti sotto i risvolti abbassati della giacca.

«Paula, sei troppo affascinante per quelle guardie carcerarie.» Avvicinai i risvolti sopra il suo petto. «O questa è la tecnica che usi con i tuoi pazienti anziani?»

«No, è per Frank. Voglio tirargli su il morale. Pensi che funzionerà?»

«Sono sicuro di sì. Ma se vuoi assicurartene, potresti prima fare un test su qualcun altro.»

«Una specie di giro di prova? Si potrebbe... ma dove posso farlo? La clinica?»

«No, questo non sarebbe morale.»

«Odio essere morale. Però è un'idea...»

Spinsi in là sul letto la valigia di Frank e mi ci sedetti a fianco. Paula stava in piedi di fronte a me, con le mani sulle mie spalle, e mi guardava sbottonarle la giacca. Sentivo il materasso sostenere il mio peso, e immaginai Frank che spogliava questa bella dottoressa, mettendole una mano fra le cosce come stavo facendo io in quel momento. Il rimorso che sentivo nell'approfittare dell'assenza di Frank, facendo del sesso sul suo letto con la sua ex amante, era mitigato dal pensiero che avevo cominciato a prendere il suo posto a Estrella de Mar. Non avevo mai visto Frank fare l'amore, ma supponevo che avesse baciato i fianchi e l'ombelico di Paula come facevo io, passando la lingua intorno alla cavità aggrovigliata con quell'odore di ostriche, come se lei fosse arrivata a me dal mare, nuda. Lui aveva sollevato i suoi seni e aveva baciato la pelle umida ancora segnata dal reggiseno, aveva preso i suoi capezzoli fra le labbra facendoli inturgidire. Premetti la guancia contro il suo pube, inalando lo stesso odore inebriante che Frank aveva aspirato, e spartii le labbra di seta che lui aveva toccato centinaia di volte.

Conoscevo Paula da poco tempo, ma i mesi di intimità che mio fratello aveva avuto con quel corpo sembravano accogliermi presso di lei, mi spingevano a carezzarle la vagina e ad annusare le ghiandole odorifere intorno al suo ano. Le baciai le ginocchia, poi la attirai sul letto, passando la lingua sulle sue ascelle, assaporando quei dolci canali e la loro soffice lanugine. Per lei non sentivo solo desiderio, ma un affetto quasi fraterno: la stringevo al petto immaginando il ricordo di lei che abbracciava Frank.

«Paula, io...»

Lei mi tappò la bocca con la mano. «No... non dire che mi ami. Rovineresti tutto. Vieni qui, a Frank piaceva il mio capezzolo sinistro...»

Sollevò quel seno e lo premette contro la mia bocca, sorridendomi come un bambino intelligente di otto anni che faccia un esperimento con un fratellino più giovane. Il suo piacere era un'emozione che lei osservava da lontano, come se lei e io fossimo due estranei che avevano concordato un'ora di esercitazioni di tennis insieme. Eppure quando giacevo fra le sue gambe, con le sue ginocchia contro le mie spalle, mi guardò venire con trasporto, e fu la prima volta che la vidi esprimere un sentimento del genere per me. Mi attirò fra le sue braccia e mi strinse: le sue mani che all'inizio avevano cercato le ossa di Frank adesso erano felici di abbracciare me. Tenendo il mio pene in una mano, cominciò a masturbarsi, con gli occhi fissi sul mio glande ancora bagnato, dividendosi le labbra con l'indice.

«Paula, lascia che...»

Cercai di infilare la mia mano sotto la sua, ma lei mi respinse.

«No, vengo prima se faccio da sola.»

Quando venne si irrigidì tutta, con la mano premuta contro il pelo, poi prese fiato. Mi baciò sulla bocca e si rannicchiò contro di me, felice di mettere da parte il cinismo con cui si mostrava al mondo.

Mi piaceva da morire. Passai un dito leggero sulle sue labbra e gliele atteggiai a un sorriso sonnacchioso, ma quando posai la mano sul suo pube lei mi fermò.

«No, non ora...»

«Perché non ti lasci accarezzare, Paula?»

«Più tardi. E' il mio vaso di Pandora. Se si apre, tutte le malattie della dottoressa Hamilton scappano fuori.»

«Malattie...? Ci sono delle malattie? Scommetto che Frank non ci credeva.» Le presi il palmo della mano e tenni le sue dita contro il mio naso, aspirando il profumo umido, di rosa, della sua vagina. «E' la prima volta che lo invidio per davvero.»

«Frank è molto dolce. Non così romantico come te, però.»

«Davvero? Mi stupisce... credevo che quello romantico fosse lui. E tu, Paula? E' stata una buona idea fare il dottore?»

«Non ho mai avuto molta scelta.» Mi toccò delicatamente con un polpastrello i lividi del collo. «A quattordici anni sapevo già che avrei dovuto essere come mia zia. Pensavo di diventare monaca.»

«Per motivi religiosi?»

«No, sessuali... tutte quelle sorelle che si masturbavano e nella loro testa scopavano Gesù. Cosa c'è di più erotico? Era così confusa quando mia madre ci abbandonò. Emozioni che non riuscivo a controllare, tutto quell'odio, quella rabbia. Mia zia mi mostrò il modo per uscirne. Era così realistica verso la gente, che nessuno riusciva mai a sorprenderla, né a ferirla. La medicina era un ottimo esercizio per raggiungere questo risultato.»

«E il tuo spirito corrosivo? Sii sincera, Paula, la gente in genere ti diverte.»

«Be'... la gente in genere è piuttosto strana, se la osservi da dietro le spalle. Ma nell'insieme la gente mi piace, non la disprezzo.»

«E riguardo a te? Tu sei parecchio dura con i tuoi sentimenti.»

«Sono solo... realistica. E' vero, credo di avere poca stima di me stessa, ma probabilmente è quello che dovrebbe fare la maggior parte di noi. Gli esseri umani non sono poi questa gran meraviglia.»

«Non il tipo di umani che si trovano sulla Costa del Sol. E' per questo che rimani qui?»

«In mezzo a questa folla di alcolisti al sole, ammucchiati l'uno sull'altro come vecchi gamberi?» Ridendo, si appoggiò alla mia spalla. «Non ti abbronzare mai, Charles, o smetterò di amarti. La gente qui è a posto, a modo suo.»

La baciai sulla fronte. «Verrà il tuo momento, Paula. E anche il mio.»

«Non dire così. Lo scorso anno sono andata una settimana nelle Isole Vergini. Tale e quale a Estrella de Mar. Palazzi a non finire, t.v. via satellite, sesso senza problemi. Ti svegli al mattino e non riesci a ricordarti se hai scopato con qualcuno il giorno prima.» Sollevò un ginocchio e guardò l'ombra della tapparella di plastica che si avvolgeva attorno alla sua coscia. «Sembra un codice a barre. Quanto valgo?»

«Moltissimo, Paula. Più di quello che pensi. Assegnati un punteggio più alto. Essere sempre troppo realistica su tutto è un modo semplicistico per sfuggire ai problemi.»

«Facile a dirsi: passo il mio tempo con vecchi ragionieri e piloti alcolizzati, riportandoli indietro dalla morte...»

«E' un talento raro. Il più raro di tutti. Tienine un po' anche per me.»

«Povero ragazzo. Hai bisogno di resuscitare?» Si girò sui gomiti e mi mise una mano sulla fronte. «E' ancora caldo, c'è una pulsazione da qualche parte. A me sembri abbastanza soddisfatto, Charles. Andare in giro per il mondo senza preoccupazioni...»

«Proprio questo è il punto: dovrei avere più preoccupazioni. Tutto questo viaggiare è solo una scusa per non mettere radici. I genitori infelici ti insegnano una lezione che dura tutta la vita. Frank l'ha superata in qualche modo, ma io sono rimasto inchiodato lì, a Riyad all'età di dodici anni.»

«E adesso sei a Estrella de Mar. E questa la tua prima vera casa?»

«Penso di sì... qui ho smesso di sentirmi depresso.»

Sorrise come un bimbo soddisfatto quando la voltai sulla schiena e le baciai gli occhi. Cominciai a carezzarla, strofinandole il clitoride finché lei non allargò le cosce e mi guidò le dita dentro la vagina.

«E' bello... non dimenticare l'ano. Vuoi sodomizzarmi?»

Si girò su un fianco, si sputò sulle dita e se le passò in mezzo alle natiche. Guardai la sua fessura di seta, e la fine peluria che copriva la base della spina dorsale. Mentre le accarezzavo i fianchi le mie dita toccarono un rilievo quasi inavvertibile sulla pelle liscia. Una cresta di tessuto correva dal fianco sino al fondo della schiena, la vaga traccia della cicatrice di un'operazione subita molto tempo prima.

«Lascia stare, Charles. Non è una cerniera lampo.»

«La cicatrice è quasi scomparsa. Quanti anni avevi?»

«Sedici. Il rene destro non funzionava. Mi hanno inciso il bacino, un bel lavoro di chirurgia. Frank non se n'era mai accorto.» Mi prese il pene tra le mani. «Come sei delicato. Pensa un po' al mio culo, adesso.»

Mi girai sul dorso e guardai la cicatrice: in quel momento capii che l'avevo già vista, nei momenti finali del film porno. Il leggero cordone di pelle indurita si era riflesso nello specchio della porta, quasi certamente nell'appartamento di Bobby Crawford. Mentre accarezzavo dolcemente la schiena di Paula, ricordai le stesse costole alte, la vita sottile e i fianchi ampi da nuotatrice. Era lei che teneva la telecamera, con la batteria appesa alla spalla, e filmava le damigelle che coccolavano la sposa nel suo vestito di nozze, e poi l'amplesso consenziente con lo stallone sconosciuto. Aveva provato lo stesso panico di Anne Hollinger mentre veniva violentata dai due uomini che avevano fatto irruzione nella camera da letto, ma la videocamera aveva continuato a girare, registrando tutto, fino al sorriso spavaldo che segnava la fine del film.

«Charles, sei ancora qui? Ti sei perso in un viaggio tutto tuo.»

«Sono qui, credo...»

Mi sollevai su un gomito mentre lisciavo la cicatrice cercando di farla scomparire. Il sesso che c'era stato fra noi in qualche modo era parte di un altro film. Io mi ero immaginato nel ruolo di Frank, mentre Paula interpretava la parte della sua amante, come se solo le nostre immagini pornografiche potessero davvero avvicinarci e tirare fuori l'affetto che sentivamo l'uno per l'altra.

«Charles, se devo andare a trovare Frank bisogna che parta fra poco.»

«Lo so. Arrivo subito. A proposito, sai dove abita Bobby Crawford?»

«Perché me lo chiedi...? Sta nella strada panoramica alta.»

«Ci sei mai stata?»

«Una volta o due. Cerco di stare alla larga da lui. Perché stiamo parlando di Bobby Crawford?»

«L'altro giorno l'ho seguito fin là. Sono entrato nell'appartamento vuoto accanto al suo.»

«All'ultimo piano? C'è una bella vista.»

«Ah, certo. E' sorprendente tutto quello che si vede da lì. Aspetta un attimo, prendo della crema...»

Aprii il cassetto più alto del guardaroba e tirai fuori lo scialle di pizzo. Tenendolo per un angolo, deposi il pizzo ingiallito sulle spalle e sui fianchi di Paula.

«Questo cos'è?» Abbassò gli occhi per guardare il pizzo antico. «E' uno scialle da bambino vittoriano?»

«Frank e io ci siamo stati fasciati da bambini. Apparteneva a mia madre. E' solo un gioco, Paula.»

«Va bene.» Alzò gli occhi a guardarmi, perplessa per i miei modi tranquilli. «Sono disponibile quasi a tutto. Che cosa vuoi che faccia?»

«Niente. Stai solo lì un momento.»

 

Mi inginocchiai a cavallo del suo corpo e la girai sulla schiena, avvolgendo lo scialle sul suo petto: in questo modo i capezzoli si fecero strada in mezzo alla fine trama del tessuto.

«Charles? Stai bene?»

«Sto benissimo. Avvolgevo sempre mia madre in questo scialle.»

«Tua madre?» Paula sussultò mentre cercava di allentare la mia pressione sul suo petto. «Charles, non credo di poter giocare a fare la tua mamma.»

«Non voglio che tu lo faccia. Sembra un vestito da sposa. Quasi come quello che tu hai filmato.»

«Filmato?» Paula si mise a sedere, cercando di liberarsi. «Cosa diavolo ti salta in mente?»

«Tu hai filmato Anne Hollinger nell'appartamento di Bobby Crawford. Ho visto il video. Anzi, è qui in giro, potrei fartelo vedere. L'hai filmata vestita da sposa. E l'hai filmata mentre veniva violentata da quei due uomini.» Bloccai Paula per le spalle mentre lei lottava contro di me. «Era un vero stupro, Paula. Lei non se l'aspettava.»

Paula scoprì i denti, artigliando lo scialle che le bloccava le mani. Le aprii a forza le cosce con le mie ginocchia. Sollevandole i fianchi dal letto, le sfilai il cuscino da sotto la testa e glie lo ficcai sotto le natiche, come se mi preparassi a violentarla.

«E va bene!» Paula si abbandonò mentre le mie mani le tenevano fermi i polsi contro la testiera, lo scialle spiegazzato fra di noi. «Per l'amor del cielo, come la fai grossa! Sì, ero nell'appartamento di Crawford.»

«Ho riconosciuto la cicatrice.» Le lasciai le braccia e mi misi a sedere accanto a lei, togliendole i capelli dal viso. «E tu hai girato il film?»

«Si è girato da solo. Ho solo schiacciato il bottone. Che importanza ha? Era solo un gioco.»

«Un gioco pesante. I due uomini che sono entrati... erano previsti dalla sceneggiatura anche loro?»

Paula scosse la testa, come se io fossi un paziente ottuso che si lamentava per la cura che mi aveva dato. «Faceva tutto parte del gioco. Quando è finito, Anne non se l'è presa.»

«Lo so... ho visto il sorriso. Il sorriso più spavaldo e più strano che abbia mai visto.»

Paula cercò i suoi vestiti, irritata con se stessa per essersi fatta trascinare in quella trappola. «Charles, ascoltami... non me l'aspettavo lo stupro. Se l'avessi saputo non avrei voluto averci niente a che fare. Dove hai trovato il nastro?»

«A casa degli Hollinger. Era nel videoregistratore di Anne. Frank sapeva del film?»

«No, non ne sapeva niente, grazie a Dio. E' stato tre anni fa, poco dopo che ero arrivata qui. Mi ero sempre interessata di foto e di cinematografo, e qualcuno mi ha proposto di entrare in un club di cinefili. Non si parlava solo di film, si usciva e si andava a girare. I soldi li metteva Elizabeth Shand. A quell'epoca non conoscevo neppure Frank.»

«Però conoscevi Crawford.» Paula si infilò la giacca del tailleur e io le passai le scarpe. «Era lui quello pallido che dirigeva lo stupro?»

«Sì. L'altro era l'autista di Betty Shand. Passa un sacco di tempo con Crawford.»

«E il primo uomo con cui ha fatto l'amore?»

«Sonny Gardner: era uno dei boy-friend di Anne, e così tutto sembrava a posto. Dopo è quasi venuto alle mani con Crawford.» Paula sedette e mi tirò sul letto accanto a lei. «Credimi, Charles. Non sapevo che l'avrebbero violentata. Crawford è così eccitabile, si è fatto trasportare dalla situazione.»

«L'ho visto con i suoi corsi di tennis. Da quanto tempo girava dei film?»

«Aveva appena messo su il club... andavamo a fare dei documentari sulla vita a Estrella de Mar,» Paula mi guardava mentre le massaggiavo i polsi illividiti. «Nessuno capiva di preciso che tipo di documentari lui avesse in mente. Lui diceva che qui il sesso era una delle attività principali nel tempo libero, e che avremmo dovuto filmarlo, come filmavamo i circoli teatrali e le prove della Traviata. Ad Anne Hollinger piacevano le sfide, così lei e Sonny furono i primi volontari.»

Asciugai il trucco che era colato sulle guance di Paula. «Eppure, sono ancora stupito.»

«Per me? Per amor di Dio, ero annoiata a morte. Lavoravo tutto il giorno alla clinica, poi mi sedevo al balcone e guardavo i miei collant che si asciugavano. Bobby Crawford faceva sembrare tutto così eccitante.»

«Capisco, Paula. Quanti film ha girato?»

«Una dozzina, o giù di lì. Quello è l'unico che ho filmato io. La scena della violenza mi aveva spaventato.»

«Perché avevi un costume da bagno... come se stessi per unirti all'azione?»

«Charles...!» Esasperata dalla mia insistenza, Paula si lasciò andare all'indietro sul cuscino, incurante che io l'approvassi o no. «Faccio il dottore qui. Metà della gente che ha visto quel film erano miei pazienti. Crawford ne ha fatto un sacco di copie. Togliermi i vestiti era un modo per mascherarmi. Tu sei l'unico che non ci è cascato. Tu e Betty Shand... a lei quel film piaceva.»

«Credo bene. Hai partecipato a qualche altro film?»

«No, non temere. Crawford parlava di "snuff movies". Lui e l'autista, Mahoud, dovevano andare a tirar su qualche turista non troppo sveglia a Fuengirola e portarla nell'appartamento.»

«Non si sarebbe azzardato a tanto. Crawford voleva solo eccitarti.»

«Ti sbagli!» Paula mi prese le mani, come una scolara coscienziosa al suo primo corso di biologia che abbia intravisto la realtà del mondo dei viventi. «Ascoltami, Charles. Bobby Crawford è pericoloso. Ha dato fuoco alla tua macchina, lo sai.»

«E' possibile. Il suo amico Mahoud o Sonny Gardner avranno fatto il lavoro materialmente. Quell'incendio non era quello che credi tu. Era un gesto scherzoso, come un messaggio bizzarro lasciato sulla segreteria telefonica.»

«Un gesto scherzoso?» Paula si volse a guardare il mio collo. «E lo strangolamento? Anche quello era scherzoso? Avrebbe potuto ucciderti.»

«Tu pensi che fosse Crawford?»

«Tu no?» Paula mi scosse il braccio, come per svegliarmi. «Sei tu quello che fa un gioco pericoloso.»

«Forse hai ragione su Crawford.» Le misi il braccio attorno alla vita, ricordando con commozione il nostro amplesso, e pensai alle mani strette attorno alla mia gola. «Sì, ho pensato anch'io che fosse lui, perché sembrava un rituale a cui devono sottostare i nuovi adepti. Vuole attirarmi nel suo mondo. C'è una cosa però che mi lascia perplesso, ed è: come ha fatto a entrare in casa? E' arrivato con te?»

«No! Vuoi scherzare, Charles, non ti avrei lasciato solo con lui. E' troppo imprevedibile.»

«Ma quando ci siamo scontrati nella stanza da letto, tu hai detto qualcosa a proposito di un gioco che non volevi più giocare. Pensavi che ci fosse Crawford.»

«Certo. Pensavo che fosse entrato con un mazzo di chiavi di riserva. Gli piace saltare addosso alla gente nei parcheggi, specialmente alle donne: spunta da dietro piano piano e le afferra.»

«Lo so, l'ho visto all'opera. Secondo Elizabeth Shand, serve a tenere sveglia la gente.» Toccai la ferita sul labbro di Paula, quasi scomparsa. «E' un altro degli esercizi di Crawford?»

Lei abbassò la mandibola e la fece ruotare. «E' venuto a trovarmi la sera dell'incendio degli Hollinger. L'idea di tutte quelle morti doveva averlo eccitato. Ho dovuto cacciarlo fuori a forza fin nell'ascensore.»

«Ma l'hai preso su tu dalla spiaggia la sera dell'inseguimento della motobarca? Ti ho visto in casa sua il giorno dopo che gli bendavi il braccio.»

«Charles...» Paula si nascose il viso nelle mani, poi mi sorrise con un certo sforzo. «E' un personaggio potente, non è facile dirgli di no. Se hai avuto a che fare con lui una volta, ti accorgi che può tirarti dentro di nuovo tutte le volte che vuole.»

«Capisco. Potrebbe essere stato lui a incendiare la casa degli Hollinger?»

«Potrebbe averlo fatto. Una cosa tira l'altra, sempre più in fretta... lui non riesce a controllare la sua immaginazione. Ci saranno altri incendi come quello della tua auto e quello della motobarca, e sempre più gente verrà uccisa.»

«Ne dubito, Paula.» Uscii sul balcone e guardai la casa distrutta sulla cima della collina. «Estrella de Mar è tutto per lui. L'incendio della motobarca e quello della mia macchina sono state delle burle. La morte degli Hollinger è stata diversa: lì qualcuno ha programmato freddamente di uccidere quelle persone. Questo non è lo stile di Crawford. Gli Hollinger non potrebbero essere stati ammazzati in una guerra di bande per la droga? Qui ci sono depositi interi di cocaina e di eroina.»

«Ma sono tutti controllati da Bobby Crawford. Nessun altro fornitore ha accesso qui. Betty Shand e Mahoud vigilano attentamente, ecco perché l'eroina è così pura qui. La gente è grata a Crawford per questo... niente infezioni, niente overdose.»

«Allora gli spacciatori lavorano per Crawford? Be', questo non è servito né a Bibi Jansen né ad Anne Hollinger. Sono finite tutt'e due nella tua clinica.»

«Loro erano tossicodipendenti molto prima di incontrare Bobby Crawford. Ma per lui erano morte tutt'e due da tempo. Lui non vuole fare soldi con la droga... è Betty Shand che tira su tutti i profitti. L'eroina e la cocaina di qualità farmacologica per Crawford sono la risposta alle benzodiazepine che noi medici amiamo così tanto. Una volta mi ha detto che io stavo mettendo la gente agli arresti domiciliari dentro la loro testa. Per lui l'eroina e la cocaina e tutte queste nuove anfetamine rappresentano la libertà, il diritto di essere sbarellati e fuori di testa come Bibi Jansen. Lui ce l'ha con Sanger perché l'ha portata via dalla spiaggia, non perché è andato a letto con lei.»

«Sanger dice che non è vero.»

«Sanger non riesce ad affrontare questa parte di se stesso.» Paula cominciò a rifarsi le labbra davanti allo specchio della toilette, rabbrividendo quando un canino allentato scontrò la sua ferita. «Per qualcuno c'è ancora il senso del limite, anche a Estrella de Mar.»

Cominciò a spazzolarsi i capelli a fondo, con colpi decisi. I suoi occhi mi evitavano mentre si preparava mentalmente all'incontro con Frank. Mentre la osservavo nello specchio avevo la sensazione che fossimo ancora dentro un film, e che tutto quello che era successo tra noi nella camera da letto fosse stato prefigurato in un copione che Paula aveva letto. Mi era affezionata, e le era piaciuto fare l'amore, ma mi stava guidando in una direzione che aveva scelto lei.

«A Frank dispiacerà non vederti», mi disse mentre le portavo la valigia alla porta. «Cosa devo dirgli?»

«Digli che... devo vedere Bobby Crawford. Che c'è qualcosa di importante che vuole discutere con me.»

Paula meditò sulla scusa, senza sapere bene se approvarla o no. «Non è un poi complicato? A Frank non importerà che tu veda Crawford.»

«Se lui pensa che sto cercando di prendere il suo posto, dentro di lui potrebbe scatenarsi qualcosa. E' una cosa che richiede tempo.»

«Va bene. Però stai attento, Charles. Tu sei abituato a essere un osservatore, e Bobby Crawford vuole che tutti partecipino. Ti stai interessando troppo a lui. Quando se ne accorgerà, ti ingoierà in un solo boccone.»

Dopo un istante di riflessione si sporse avanti e mi baciò, abbastanza piano da non rovinarsi il rossetto, e abbastanza a lungo da lasciarmi lì a pensare a lei per un'ora dopo che l'ascensore aveva chiuso le porte.