9. Inferno

 

 

 

L'auto di Cabrera costeggiava il ciglio della strada in mezzo a un'impalpabile nuvola cinerea che copriva i fianchi della collina, turbinando fra le palme e fluttuando sui viali di accesso alle belle ville che si affacciavano sulla strada. Quando la strana nebbia si diradò, apparve in cima alla collina la casa degli Hollinger, una grande griglia ingombra di tizzoni spenti. A denti stretti, Paula manovrava la leva del cambio tenendo dietro alla macchina del poliziotto curva dopo curva, e rallentando solo per riguardo al mio collo malandato.

«Non avremmo dovuto venire», mi disse, evidentemente ancora sotto shock per la mia aggressione, e sconvolta al pensiero che Estrella de Mar potesse ospitare una violenza del genere. «Non hai riposato abbastanza. Domani voglio che tu venga in clinica per fare degli altri raggi. Come ti senti?»

«Fisicamente? A pezzi, direi. Ma dal punto di vista mentale sto benissimo. Quell'aggressione ha liberato qualcosa in me. Chiunque fosse a tenermi aveva un tocco leggero... una volta ho visto degli strangolatori professionisti che facevano il loro lavoro nel Borneo del nord, uccidendo dei cosiddetti banditi, Terribilmente disgustoso, ma in un certo qual modo mi sembrava di...»

«Sapere cosa si prova? Non credo proprio.» Lei rallentò, per riuscire a guardarmi più attentamente. «Cabrera aveva ragione, sei leggermente euforico. Te la senti di venire a vedere la casa degli Hollinger?»

«Paula, smettila di fare la ragazza assennata. Questo caso è sul punto di risolversi, lo sento. E credo che se ne sia accorto anche Cabrera.»

«Lui si è accorto che tu stai cercando di farti ammazzare. Tu e Frank... credevo che tu fossi diverso, ma vedo che sei ancora più matto di lui.»

Mi appoggiai con il collare ortopedico contro il poggiatesta, e la guardai mentre si rannicchiava addosso al volante. Decisa a non farsi lasciare indietro da Cabrera, fissava ferocemente la strada, e alla minima opportunità schiacciava l'acceleratore. Nonostante la lingua lunga e le maniere brusche, sotto la superficie affiorava in lei una vena di insicurezza che trovavo affascinante. Affettava disprezzo per la comunità degli emigrati che stavano sulla costa, ma al tempo stesso, curiosamente, non aveva neppure una grande stima di se stessa, e ogni volta che cercavo di provocarla si tirava indietro con aria sdegnosa. Sapevo che era indispettita con se stessa per non aver rivelato a Cabrera la sua presenza nell'appartamento, probabilmente per paura che lui ne potesse dedurre una qualche forma di relazione particolare tra me e lei.

 

Quando riuscimmo a raggiungere Cabrera, Miguel, il tetro autista degli Hollinger, stava già aprendo i cancelli. Il vento aveva alzato la polvere che ricopriva i giardini e i campi da tennis, ma la proprietà era ancora immersa in una luce immobile e perlacea, un mondo malinconico intravisto dentro un sogno morboso. Dagli Hollinger era arrivata la morte e aveva deciso di restarvi, stendendosi sopra i sentieri ombrosi.

Parcheggiammo, e Cabrera ci salutò, poi ci avviammo tutti e tre verso la scalinata principale della villa.

«Grazie, dottoressa Hamilton, per averci concesso il suo tempo. Lei è pronto, signor Prentice? Non è troppo affaticato?»

«Niente affatto, ispettore. Se non ce la faccio posso sempre aspettare fuori. La dottoressa Hamilton può raccontarmi tutto più tardi.»

«Bene. E' la prima idea ragionevole che sento da lei.» Mi osservava da vicino, ansioso di spiare le mie reazioni, come se io fossi una capra legata al paletto, capace con i suoi belati di attirare una tigre fuori dalla sua tana. Ero sicuro che ormai non aveva più voglia di vedermi tornare a Londra.

«Allora...» Cabrera volse le spalle al pesante portone di quercia, che recava ancora i sigilli della polizia, e indicò il sentiero di ghiaia che circondava la casa e conduceva, passando per l'angolo di sud-est, alle cucine e al garage. «L'ingresso e le stanze a piano terra sono troppo pericolose: impossibile entrare da lì. Suggerisco quindi di seguire la strada usata dall'assassino. In questo modo rivedremo gli eventi nell'ordine in cui si svolsero. Questo ci aiuterà a capire quello che accadde quella sera e, forse, a penetrare la psicologia delle vittime e del loro assassino...»

Tutto compreso del suo nuovo ruolo di guida turistica, Cabrera ci condusse dietro alla casa. La Bentley degli Hollinger, un'auto blu d'annata, stava fuori dal garage, ed era l'unica cosa pulita e lucida che si vedesse in giro. Miguel aveva lavato e lucidato la limousine, lustrando le grandi pinne che splendevano sopra le ruote. Ci era venuto dietro e adesso stava in piedi, silenzioso, accanto all'auto. Fissandomi, prese la pelle di daino e cominciò a strofinare la griglia del radiatore.

«Poveretto...» Paula mi sorreggeva per il braccio; evitando di guardare i pezzi di trave bruciacchiati sparsi qua e là tutt'intorno a noi, cercò di fare un sorriso all'autista. «Credete che gli faccia bene stare qui?»

«Speriamo. Sembra che si aspetti il ritorno degli Hollinger da un momento all'altro. Cosa ci sa dire, ispettore, sulla psicologia degli autisti?»

Ma Cabrera si stava già dirigendo verso gli scalini che portavano all'appartamentino della governante, sopra il garage. Accanto alla porta d'entrata un cancello di ferro battuto dava sul fianco della collina dove un tempo cresceva la limonaia, adesso devastata dal fuoco. Cabrera salì i gradini a due a due e si fermò accanto al cancello.

«Dottoressa Hamilton, signor Prentice... ecco, osservate il cancello che dà sulla limonaia. Adesso possiamo immaginare la situazione la sera del 15 giugno. Alle sette la festa è in pieno svolgimento, e tutti gli ospiti stanno sulla terrazza accanto alla piscina. Come la dottoressa Hamilton ricorderà, gli Hollinger compaiono sulla veranda del piano superiore e propongono il brindisi alla vostra regina. Tutti guardano in su verso gli Hollinger, coi bicchieri alzati in onore di Sua maestà, e nessuno nota l'incendiario che apre il cancello della limonaia.»

Cabrera ridiscese la scala, ci superò e andò all'ingresso della cucina. Tirò fuori dalla tasca un mazzo di chiavi e aprì la porta. Avevo apprezzato l'uso delicato del termine «incendiario», per quanto sospettassi che il giro di parole fosse destinato a me, per aiutarmi a sbarazzarmi della fiducia nell'innocenza di mio fratello.

«Ispettore, Frank stava con tutti gli altri ospiti sulla spianata. Perché avrebbe dovuto lasciare la festa e nascondersi nella limonaia? Ci sono decine di persone che gli hanno parlato accanto alla piscina.»

Cabrera annuì, dichiarando il suo accordo. «E' vero, signor Prentice. Ma nessuno ricorda di avergli parlato dopo le sei e quarantacinque. Forse lei, dottoressa Hamilton?»

«No... io stavo con David Hennessy e altri amici, e in effetti Frank non l'ho visto per niente.» Si voltò e si mise a guardare la Bentley splendente, premendosi la ferita sul labbro, ormai quasi scomparsa, come se volesse farla tornare. «Forse alla festa non c'è venuto proprio.»

Cabrera dissentì energicamente. «Molti testimoni hanno parlato con lui, ma nessuno dopo le sei e quarantacinque. Ricordi che l'incendiario aveva bisogno di avere il materiale a portata di mano. Nessuno avrebbe notato un ospite che saliva la scala della limonaia. Una volta lì, lui prende le bombe: tre bottiglie piene di etere e benzina che aveva seppellito il giorno prima in una buca a una ventina di metri dal cancello. Quando comincia il brindisi alla regina, lui parte verso la casa, per entrare dentro. La porta più vicina e più conveniente è proprio questa, che dà in cucina.»

Io annuii, ma chiesi: «E la governante? Lei l'avrebbe visto di sicuro».

«No. La governante e suo marito erano sulla terrazza, per dare una mano al personale a servire le tartine e lo champagne. Anche loro avevano levato i bicchieri per il brindisi, e non videro nulla.»

Cabrera spinse in dentro la porta e ci fece cenno di seguirlo in cucina. La dépendance, costruita in mattoni, era l'unica parte della struttura che non avesse riportato danni. Alle pareti erano appese le pentole, e le mensole erano piene di spezie, erbe e bottiglie di olio d'oliva. Ma si sentiva ancora l'odore di stantio dei tappeti inzuppati e il puzzo acre delle stoffe carbonizzate. A terra c'erano pozze d'acqua, in cui stavano immerse, a mo' di passerelle, le assi di legno posate dagli uomini della polizia.

Cabrera attese che Paula e io trovassimo un cammino sicuro, e proseguì. «Allora: l'incendiario entra nella cucina vuota e chiude la porta dal di dentro. Adesso la casa è isolata dal mondo esterno. Gli Hollinger preferivano che i loro ospiti non entrassero in casa, perciò tutte le porte a piano terra erano sprangate. Insomma, gli ospiti erano completamente separati dai padroni di casa... suppongo si tratti di un'usanza inglese. E adesso, seguiamo l'incendiario mentre lascia la cucina...»

Cabrera ci fece strada attraverso la dispensa, un grande vano che occupava tutta una sezione della dépendance. Sul pavimento di cemento stavano un frigorifero, una lavatrice e un'asciugatrice, circondate da pozze d'acqua. Accanto a un congelatore, una porta di servizio portava in una stanza dal soffitto molto basso, che ospitava la caldaia del riscaldamento e il sistema dell'aria condizionata. Cabrera mise la testa, abbassandola, dentro la stanza, e indicò l'unità parzialmente smontata, una struttura grande pressappoco come un forno che sembrava una turbina.

«Il collettore di aspirazione prende aria da un tubo che sta sul tetto della cucina. L'aria viene filtrata e umidificata, poi viene raffreddata o riscaldata a seconda delle stagioni, e infine pompata nelle stanze di tutta la casa. L'incendiario spegne completamente il sistema. Gli servono pochi minuti, e nessuno se ne accorgerà. Rimuove il coperchio dell'umidificatore, fa uscire tutta l'acqua e riempie di nuovo il recipiente con la sua miscela di etere e benzina. Adesso tutto è pronto per una immane e terribile esplosione...»

Cabrera ci invitò ad avviarci per il corridoio di servizio che portava alla villa. Ci trovammo in un ingresso spazioso, e ci vedemmo riflessi negli specchi coperti di schiuma, visitatori di una grotta marina. La scalinata saliva per una dozzina di scalini, poi si divideva, in corrispondenza del grande camino baronale che dominava la sala. Dalla grata di ferro pendevano ancora pezzetti di stoffa bruciacchiata, ma le ceneri erano state accuratamente setacciate dagli investigatori.

Osservandomi sempre attentamente, Cabrera continuò: «Tutto è pronto. Gli ospiti si godono la festa, là fuori, intenti a scolarsi lo champagne. Gli Hollinger, la loro nipote Anne, la cameriera svedese e il segretario, il signor Sansom, si sono ritirati nelle loro stanze per sfuggire al rumore. L'incendiario prende l'altra bottiglia di benzina ed etere e ne imbeve un tappetino che ha messo nel camino. Le fiamme propagate dal fiammifero, o dall'accendino, divampano in fretta. Lui allora torna alla festa. Appena le fiamme cominciano a infuriare sulle scale lui riaccende il sistema dell'aria condizionata...»

Cabrera fece una pausa, mentre Paula afferrava il mio braccio per sostenersi, mordendosi le nocche.

«E' terribile solo immaginarlo. In pochi secondi la miscela di benzina circola in tutti i condotti di ventilazione. Incendiate dalle fiamme che ruggiscono sulle scale, le stanze al piano superiore diventano un inferno. Nessuno fugge anche se c'è una scala di emergenza che da una porta sul pianerottolo porta alla spianata davanti alla casa. La collezione di film del signor Hollinger, che sta in una stanza accanto allo studio, aggiunge nuova esca al fuoco. La casa è una fornace, e tutti quelli che sono all'interno muoiono in pochi minuti.»

Sentii Paula che vacillava appoggiandosi a me, e le passai un braccio attorno alle spalle tremanti. Aveva cominciato a piangere tra sé e sé, e le sue lacrime cadevano sul bavero della mia giacca di cotone. Sembrava sul punto di cedere, ma si riprese e mormorò: «Santo Dio, chi ha potuto fare una cosa del genere?»

«Di certo non Frank, ispettore.» Sempre sostenendo Paula, mi rivolsi a Cabrera più tranquillamente che potei. «Smontare il sistema dell'aria condizionata e trasformarlo in un'arma incendiaria... Frank sapeva a malapena cambiare una lampadina. Chi ha portato questo attacco aveva le conoscenze e le abilità tipiche di uno che ha avuto un addestramento militare da sabotatore.»

«Forse, signor Prentice...» Cabrera guardò Paula preoccupato, e le offrì il suo fazzoletto. «Ma le abilità si possono imparare, specialmente quelle pericolose. Continuiamo il nostro giro.»

Le scale erano ingombre di pezzi di legno bruciato e di gesso caduti dal soffitto, ma i poliziotti avevano aperto un piccolo corridoio che permetteva di salire. Cabrera si arrampicò su per gli scalini, tenendosi alla ringhiera semidistrutta, con i piedi che affondavano nella moquette zuppa. I pannelli di quercia attorno al camino erano carbonizzati, ma qua e là si poteva ancora scorgere il profilo di uno scudo araldico.

Ci fermammo sul pianerottolo, circondati dalle pareti annerite, il cielo sulle nostre teste. Le porte delle camere da letto erano bruciate completamente, e attraverso gli stipiti vuoti vedevamo le stanze distrutte, con i mobili ridotti in cenere. La squadra degli investigatori aveva costruito delle passerelle di assi fra l'una e l'altra delle travi messe a nudo, e Cabrera si avviò cautamente lì sopra, dirigendosi verso la prima camera da letto.

Sostenni Paula mentre si muoveva sulle travature, e la aiutai ad appoggiarsi contro lo stipite della porta. Nel centro della stanza c'erano i resti di un letto. Attorno a esso i fantasmi carbonizzati di una scrivania, una toletta, e un grande armadio di quercia in stile spagnolo. Sopra una mensola di pietra stava una fila di fotografie incorniciate. Alcuni dei vetri erano fusi per il calore, ma una foto, sorprendentemente intatta, mostrava un uomo dal viso florido, in giacca da sera, accanto a un leggio che recava la scritta «Beverly Wilshire Hotel».

«Quello è Hollinger?» chiesi a Cabrera. «A Los Angeles, mentre parla a qualche assemblea di industriali del cinema?»

«Sì, molti anni fa», confermò Cabrera. «Quando è arrivato a Estrella de Mar era molto più vecchio. Questa era la sua camera da letto. Secondo la governante dormiva sempre un'ora dopo pranzo.»

«Che fine...» Guardai le molle del materasso, messe a nudo come le spire di un gigantesco grill elettrico. «Spero solo che il pover'uomo non si sia neppure svegliato.»

«In realtà il signor Hollinger non era a letto.» Cabrera indicò la stanza da bagno. «Aveva trovato rifugio nella vasca dell'idromassaggio, forse sperando di sfuggire alle fiamme.»

Entrammo nel bagno, e guardammo la vasca semicircolare piena d'acqua stagnante. Sul pavimento c'erano delle tegole, e le pareti di ceramica blu erano macchiate da strisce di fumo, ma per il resto la stanza era quasi intatta, una cella di esecuzione piastrellata. Immaginai l'anziano Hollinger che si alzava dal letto quando le fiamme lo stavano circondando, non riusciva ad avvertire la moglie nella stanza a fianco, e mentre una palla di fuoco usciva dalle condutture dell'aria condizionata era costretto a rifugiarsi nella vasca.

«Povero diavolo», commentai. «Morire da solo in una vasca da idromassaggio. Sembra un monito...»

«Può darsi.» Cabrera si inumidì le mani nell'acqua. «In realtà non era solo.»

«Davvero? C'era la signora Hollinger con lui?» Pensai alla vecchia coppia distesa nella vasca, prima di vestirsi per il pranzo. «Be', in certo qual modo è commovente.»

Cabrera sorrise timidamente. «La signora Hollinger non era qui. Era in un'altra camera da letto.»

«E allora con Hollinger chi c'era?»

«La ragazza svedese, Bibi Jansen. Lei è andato ai suoi funerali.»

«Sì, ci sono andato...» Stavo cercando di immaginare il vecchio milionario e la giovane svedese immersi nell'acqua insieme. «E' sicuro che fosse Hollinger?»

«Certo.» Cabrera sfogliò il suo taccuino. «Il suo chirurgo di Londra ha riconosciuto un perno d'acciaio di tipo speciale nel suo fianco destro.»

«Cristo santo...» Paula si staccò dal mio braccio e si avvicinò allo specchio d'acqua della vasca. Si specchiò in quella superficie nebbiosa, come se cercasse di identificare il proprio riflesso, poi si chinò a guardare la porcellana sporca di cenere. Mi stavo accorgendo che quella visita era una prova molto più dura per lei di quanto non lo fosse per me.

«Non conoscevo il signor Hollinger, né Bibi Jansen», dissi a Cabrera. «Però è difficile immaginare i due insieme in una vasca.»

«Tecnicamente parlando, è un'osservazione corretta.» Cabrera stava ancora studiando le mie reazioni. «Sarebbe più preciso dire: i tre.»

«Tre persone nella vasca? E chi era il terzo?»

«Il bimbo della signorina Jansen.» Cabrera accompagnò Paula alla porta. «La dottoressa Hamilton può confermarle che la ragazza era incinta.»

 

Mentre Cabrera ispezionava la stanza da bagno, misurando le pareti con un metro flessibile, Paula e io uscimmo dalla stanza di Hollinger. Camminando sulle passerelle, entrammo in una stanza più piccola lungo il corridoio. Qui il fuoco aveva infierito ancora più selvaggiamente. Sul pavimento c'erano ancora i resti anneriti di una grande bambola, che sembrava un bimbo carbonizzato, ma l'acqua che era scesa a torrenti dal tetto aveva cancellato ogni altra traccia di chi aveva occupato la stanza. In un angolo il fuoco aveva risparmiato un tavolino da toeletta, su cui stava ancora un lettore di cd.

«Questa era la stanza di Bibi», mi disse Paula con voce atona. «Il calore deve essere stato... Non so perché lei stesse qui, non lo so proprio. Avrebbe dovuto essere giù alla piscina, con tutti gli altri.»

Raccolse da terra la bambola e la posò sui resti del letto, poi si pulì le mani dalla cenere nera. Sul suo viso sembravano lottare dolore e rabbia, come se per l'incompetenza di un collega avesse perso una paziente a cui teneva molto. Le passai un braccio intorno alle spalle, e fui contento che lei si appoggiasse a me.

«Sapevi che era incinta, Paula?»

«Sì. Di quattro o cinque settimane.»

«Chi era il padre?»

«Non ne ho idea. Non me l'avrebbe detto.»

«Gunnar Andersson? Il dottor Sanger?»

«Sanger?» Paula strinse il pugno contro il mio petto. «Per l'amor del cielo, lui era la sua figura paterna.»

«E va bene. Quando sei stata qui l'ultima volta?»

«Sei settimane fa. Lei aveva nuotato di notte e aveva preso freddo ai reni. Charles, chi ha mai potuto appiccare un incendio come questo?»

«Non certo Frank, questo è sicuro. Dio solo sa perché ha confessato. Ma sono contento che siamo venuti. E' chiaro che qualcuno odiava gli Hollinger.»

«Forse non si sono resi conto di quanto poco ci avrebbe messo il fuoco a divampare. Non può essere stato uno scherzo che è sfuggito al controllo di chi l'ha fatto?»

«Mi sembra che ci sia troppa premeditazione. Tutto quel lavoro sul sistema dell'aria condizionata... No, è stata una faccenda seria.»

Raggiungemmo Cabrera in una stanza dall'altra parte del corridoio. La porta era scomparsa, risucchiata nell'aria della notte dal vortice di fiamme.

«Questa era la stanza della nipote, Anne Hollinger», spiegò Cabrera, fissando accigliato la stanza carbonizzata e spoglia. Parlava più tranquillo adesso, non era più il conferenziere dell'accademia di polizia, era assorbito, come Paula e me, dall'esperienza di visitare quelle camere della morte. «Il calore era così intenso che non ha avuto via di scampo. Le finestre erano tutte ermeticamente chiuse, dato che era in funzione l'aria condizionata.»

La scientifica aveva smontato il letto, forse per separare i resti carbonizzati della ragazza dal materasso.

«Dove l'hanno trovata?» chiesi. «Era a letto?»

«No, è morta nel bagno anche lei. Non nella vasca, però. Stava seduta sulla tazza... una posizione un po' macabra, come "Il pensatore" di Rodin.» Paula rabbrividì contro il mio braccio, e Cabrera aggiunse: «Almeno è morta felice. Abbiamo trovato una siringa ipodermica...»

«Cosa c'era dentro? Eroina?»

«Chi lo sa? Il fuoco aveva consumato tutto, non è stato possibile fare analisi.»

Sotto la finestra c'erano un televisore e un videoregistratore, praticamente intatti: forse li aveva preservati l'irruzione di aria fredda dalla finestra, quando erano saltati i vetri. Il telecomando stava sul comodino, fuso come un blocco di cioccolato: nella plastica si intravedevano i numeri contorti.

Senza volerlo, dissi: «Chissà che programma stava guardando? Chiedo scusa... mi sembra una domanda molto inopportuna».

«Infatti.» Paula scosse la testa quando cercai di accendere l'apparecchio. «Charles, l'abbiamo già visto il telegiornale. Comunque, non c'è corrente.»

«Lo so. Com'era Anne? Se non ho capito male, faceva uso di droghe pesanti.»

«No, aveva smesso definitivamente, dopo quell'overdose. Non so che cosa si stesse iniettando.» Paula fissò i tetti illuminati dal sole di Estrella de Mar. «Era una gran giocherellona. Una volta se ne andò in giro per Plaza Iglesias sopra un cammello, sacramentando ai tassisti e pavoneggiandosi come una "torera". Una sera al Club Nautico prese un'aragosta viva dall'acquario del ristorante e ce la portò al tavolo.»

«Se la mangiò cruda?»

«No, si impietosì per quell'affare che agitava le chele davanti a lei e la lasciò libera nella piscina con l'acqua salata. Ci vollero dei giorni per riuscire a prenderla. Di notte Bobby Crawford andava a nutrirla. E adesso lei è morta qui, così...»

«Paula, non l'hai appiccato tu, il fuoco.»

«E neppure Frank.» Si asciugò le lacrime sulla mia giacca. «Cabrera lo sa.»

«Non ne sono sicuro.»

L'ispettore ci stava aspettando fuori dalla stanza da letto più grande, nell'ala occidentale della casa. Le finestre davano su una veranda che guardava il mare, protetta da tende che pendevano come bandiere nere. Era da qui che gli Hollinger si erano affacciati a proporre il brindisi alla regina prima di ritirarsi. Dalle pareti pendevano brandelli di chintz bruciato, e lo spogliatoio sembrava un secchio di carbone che fosse andato su tutte le furie.

«La stanza da letto della signora Hollinger.» Inciampai sulla passerella, e Cabrera mi sostenne. «Si sente bene, signor Prentice? Forse ha già visto abbastanza?»

«Sto bene, grazie... finiamo il giro, ispettore. La signora Hollinger è stata trovata qui?»

«No.» Cabrera indicò il corridoio. «Aveva trovato rifugio sul retro della casa. Forse h le fiamme erano meno forti.»

Ci facemmo strada lungo il corridoio, fino a una cameretta con una sola finestra, che si affacciava sulla limonaia. Neppure le distruzioni operate dall'incendio riuscivano a nascondere che qui una sensibilità raffinata si era ritagliata un piccolo mondo, delicato, prezioso e fragile. Un paravento cinese laccato separava il letto dalla zona a giorno, dove ai due lati del caminetto si fronteggiavano quelle che un tempo erano state due belle sedie Impero. Due delle pareti erano ricoperte di libri, i cui dorsi pendevano adesso dagli scaffali bruciati delle librerie. Sopra il letto stava un piccolo abbaino: era l'unico vetro intatto che avevo visto al piano superiore della villa.

«Questo era lo studio degli Hollinger?» chiesi a Cabrera. «O il salotto della signora?»

«No... questa era la stanza da letto del signor Sansom, il segretario.»

«E la signora Hollinger è stata trovata qui?»

«Era sul letto.»

«E Sansom?» Guardai a terra, come se mi aspettassi di trovare un corpo contro lo zoccolo.

«Era sul letto anche lui.»

«Insomma, stavano a letto insieme?»

«Da morti, non c'è dubbio. Le scarpe di lei erano ancora strette nelle mani di lui...»

Sorpreso da questa notizia, mi girai per parlare con Paula, ma lei se n'era andata a fare un ultimo giro nelle altre stanze. Non sapevo quasi nulla di Roger Sansom, uno scapolo cinquantenne che aveva lavorato per l'azienda di Hollinger e poi l'aveva seguito in Spagna come segretario e factotum. Certo, morire a letto con la moglie del principale rivelava un senso del dovere quantomeno eccessivo. Era fin troppo facile immaginarsi i loro ultimi istanti, mentre il paravento laccato si trasformava in uno scudo ardente.

«Signor Prentice...» Cabrera mi invitò ad avvicinarmi alla porta. «Credo che farebbe bene a raggiungere la dottoressa Hamilton. Mi sembra molto sconvolta, per lei dev'essere una tensione tremenda. E poi, suppongo che lei, signor Prentice, abbia visto abbastanza, e forse vorrà parlare con suo fratello. Se crede, io posso costringerlo ad avere un colloquio con lei.»

«Frank? E che cosa devo dirgli? Lei gli avrà già raccontato quello che c'è qui, no?»

«L'ha già visto con i suoi occhi. Il giorno dopo l'incendio mi ha chiesto di portarlo a fare un giro per la casa. Era già in arresto per detenzione di materiale incendiario. Quando è arrivato in questa stanza si è deciso a confessare.»

Cabrera mi stava osservando nel suo solito modo pensoso, come se si aspettasse che anch'io, a mia volta, ammettessi il mio ruolo nel delitto.

«Quando incontrerò Frank, ispettore, gli dirò che ho visto la casa. Se saprà che sono stato qui capirà quanto sia assurda la sua confessione. La sola idea che lui sia colpevole è ridicola.»

Cabrera sembrava deluso da me. «E' possibile, signor Prentice. La colpa è un concetto così elastico, è una moneta che cambia sempre di mano... e ogni volta perde un po' del suo valore.»

 

Lo lasciai a frugare nei cassetti del comodino, e mi avviai a cercare Paula, camminando sulle assi. La stanza da letto della signora Hollinger era vuota, ma quando passai davanti alla camera della nipote sentii la voce di Paula sulla terrazza di sotto.

Paula mi stava aspettando accanto alla sua macchina, e intanto parlava con Miguel che stava cercando di pulire le griglie degli aspiratori della piscina. Andai alla finestra e mi affacciai tra i brandelli delle tende bruciate.

«Abbiamo finito, Paula. Scendo subito.»

«Va bene. Io vorrei andar via. Credevo che stessi guardando la televisione.»

Aveva riacquistato il suo autocontrollo, e fumava un cigarillo appoggiata contro la B.M.W., però evitava di guardare la casa. Fece qualche passo verso la piscina e si mise a gironzolare tra le sedie della terrazza. Pensai che stesse cercando di individuare il punto esatto in cui stava la sera in cui era scoppiato l'incendio.

Contemplandola, mi appoggiai contro lo stipite, e cercai di allentare il collare ortopedico che mi stringeva il collo. Guardando in basso, verso la televisione, vidi che dalla bocca del videoregistratore sporgeva una cassetta, espulsa dal meccanismo quando il calore infernale aveva fatto partire i circuiti. Costernati dalla distruzione che li circondava e dal triste compito di rimuovere i corpi, i poliziotti si erano lasciati sfuggire uno dei pochi oggetti che erano sopravvissuti tanto all'incendio quanto al diluvio d'acqua che l'aveva seguito.

Presi la cassetta e la tirai fuori, con delicatezza, dal registratore. L'involucro era intatto: sollevai la protezione e vidi che il nastro era ancora ben teso fra le due bobine. Il televisore era visibile dal bagno, e io immaginai Anne Hollinger che guardava lo schermo mentre stava seduta sulla tazza a iniettarsi la sua dose di eroina. Curioso di vedere le ultime immagini che la ragazza aveva visto prima che il fuoco le togliesse la vita, mi infilai in tasca la cassetta e seguii Cabrera giù per le scale.