25. La sfilata

 

 

 

La Residencia Costasol stava celebrando se stessa, salutando il suo felice ritorno alla vita. Dal balcone del mio ufficio al primo piano dello sport club vedevo nella piazza la fila dei carri da parata, decorati con fiori e bandierine, salutati da una folla esuberante le cui voci coprivano quasi del tutto le musiche di Gilbert e Sullivan diffuse dagli altoparlanti lungo la strada. Una nuvola di petali di fiori e di coriandoli aleggiava nell'aria sulla testa dei festeggiatori, spinti in alto dai polmoni dei turisti attirati alla Residencia da Estrella de Mar e dai villaggi della costa.

Per tre giorni ogni idea di sicurezza aveva dovuto essere abbandonata. Incuriositi dal primo spettacolo di fuochi d'artificio, i visitatori avevano parcheggiato le macchine lungo la spiaggia, e ben presto le guardie ai cancelli non erano state in grado di contenere la marea di gente. Martin Lindsay, il colonnello delle Life Guards in pensione che era stato eletto sindaco della Residencia Costasol, dopo una rapida consultazione con gli altri membri del consiglio, aveva ordinato alla sicurezza di spegnere i computer per tutta la durata del festival. La Fiera delle arti di Costasol, che inizialmente doveva durare un solo pomeriggio, era già alla sua seconda giornata e dava segno di voler continuare per almeno un'altra notte.

Trainato dalla Range Rover di Lindsay, un carro passò davanti allo sport club e iniziò il giro della piazza. Una bandiera di seta nera che recava la scritta «Orchestra filarmonica della Residencia» garriva sopra la dozzina di suonatori seduti ai loro posti davanti agli spartiti, con gli archetti che volavano sopra le corde di violini e violoncelli mentre il pianista strimpellava la tastiera di un piccolo pianoforte bianco e un'aggraziata arpista in abito da sera color avorio pizzicava le corde di un'arpa decorata di rose gialle. Il pot-pourri di Vivaldi e Mozart doveva combattere vivacemente con i brindisi dei turisti che levavano i bicchieri davanti agli affollati caffè del centro commerciale.

Due belle donne, socie del club, uscirono sul balcone dal mio ufficio, ancora in tenuta da tennis, e si aggrapparono alla ringhiera, agitando le racchette all'indirizzo di un altro carro che passava sotto di loro.

«Dio santo! Ma non è Fiona Taylor?»

«Che meraviglia... è completamente nuda!»

Progettato dal Club d'arte Costasol, il carro rappresentava, con una specie di tableau vivant, lo studio di un artista. A un'estremità del carro stavano sei cavalletti, davanti ai quali degli artisti con camiciotti vittoriani disegnavano schizzi a matita e a carboncino. Uno scultore, Teddy Taylor, uno specialista di orecchie, naso e gola di Purley, lavorava con l'argilla, modellando una statuetta. La modella, la sua decorosa e bionda moglie, posava da Lady Godiva in una tuta aderente color carne su un cavallo imbalsamato, dispensando sorrisi ai turisti che le indirizzavano fischi alla pecoraia.

«Bobby Crawford, è arrivato!» Una delle tenniste cominciò a strillare, rischiando di far volare dal balcone il mio vodka and tonic. «Dai, Bobby, facci vedere come posi!»

Un furgone di un canale televisivo spagnolo, attrezzato per le riprese, si era affiancato al carro artistico per filmare da vicino l'affascinante modella. Bobby Crawford stava dietro al cameraman, tenendogli fermo il braccio mentre la sfilata girava intorno alla piazza. I suoi capelli biondi e la camicia nera di batik erano coperti di petali di rosa, e le guance e la fronte, sudate, erano punteggiate di coriandoli, ma lui era troppo felice per toglierli. Con un grande sorriso salutava i turisti e faceva brindisi con un bicchiere di vino portogli da uno spettatore di passaggio. Quando il furgone della televisione si affiancò al carro, sfiorandolo, lui saltò sopra quest'ultimo, rischiando di cadere in mezzo ai cavalletti, poi si rialzò e andò ad abbracciare la raggiante Fiona Taylor.

«Togliti i vestiti! Dai, Bobby, finocchiaccio!»

«Via, via i vestiti! Charles, ordinagli di spogliarsi!»

Vicino a me le donne saltavano come ragazze pon pon, roteando le racchette sopra la mia testa: Crawford, arrendevole, si sbottonò la camicia e mise a nudo il petto glabro, mettendosi davanti allo scultore in una posa byroniana. Un fotografo correva a fianco del carro per scattare istantanee della scena, e Crawford, forse a suo beneficio, si tolse del tutto la camicia e la gettò alla folla. Quando raggiunsero il centro commerciale, Crawford saltò giù dal carro e corse a petto nudo fra i tavolini del bar, inseguito da un'orda schiamazzante di ragazze con cappelli da carnevale.

Stanco del rumore e di quell'allegria inossidabile, lasciai le tenniste e mi rifugiai nel mio ufficio. Intanto un altro tableau vivant era arrivato in piazza, una creazione dilettantesca dell'Olde-Tyme Dancing Club, e anche le coppie attempate che cercavano di fare qualche passo di valzer sulla piattaforma pericolante ricevevano le stesse ovazioni di Lady Godiva.

La Residencia Costasol era contenta di sé, e ne aveva tutte le ragioni. Negli ultimi due mesi (i documenti legali sulla mia scrivania portatimi dal señor Danvila mi ricordavano che il processo di Frank sarebbe cominciato il giorno successivo) l'esplosione di attività civica aveva lasciato di sasso anche Bobby Crawford. A cena con Elizabeth Shand, la sera prima, aveva riso e scosso la testa su quello che io chiamavo «un rinascimento sull'avanti veloce», fin troppo imbarazzato egli stesso dal genio che era uscito dalla bottiglia.

La sonnolenta cittadina col suo centro commerciale vuoto e i club sportivi deserti si era trasformata in un'altra Estrella de Mar, come se un virus infettivo ma benigno si fosse diffuso lungo la costa, invadendo il torpido sistema nervoso della Residencia e galvanizzandola: ed era saltata fuori una comunità sana e autosufficiente. Sulla piazza erano stati aperti una mezza dozzina di nuovi ristoranti, tutti, tranne uno, finanziati da Elizabeth Shand e gestiti dalle sorelle Keswick. Vicino al porticciolo erano comparsi due night club, il Milroy per il pubblico più attempato e Bliss's per i più giovani. Il consiglio cittadino si riuniva tutte le settimane alla chiesa anglicana, i cui banchi erano sempre affollati dalle congregazioni domenicali. Nel frattempo le pattuglie di volontari impedivano alla malavita locale ogni accesso alla Residencia. I passatempi erano assicurati da ogni sorta di società e circoli, dall'origami all'idroterapia, dal tango al tai-chi. E tutto questo, in barba ai miei dubbi, sembrava essere stato portato in essere dalla dedizione di un uomo solo.

«Bobby, sei un messia di nuovo tipo», gli dicevo spesso. «Sei l'Imam del porticciolo, lo Zoroastro dell'ombrellone...»

«No, Charles, mi sono limitato ad agevolare il processo.»

«Non sono sicuro che non si tratti di una fortunata coincidenza, comunque ti faccio tanto di cappello.»

«Rimettiti il cappello. Hanno fatto tutto loro, non io. Io sono stato solo il motore ausiliario...»

Con la sua sincera modestia, Crawford era più che pronto a dare tutto il merito alla gente della Residencia, Come avevo avuto modo di imparare per esperienza personale, all'ombra delle tende chiuse c'era un'immensa riserva potenziale di talenti inutilizzati. I professionisti del ceto medio che avevano sonnecchiato accanto alle piscine erano a volte avvocati e musicisti, pubblicitari e dirigenti televisivi, consulenti d'azienda e funzionari dei governi locali. Il potenziale di competenze della Residencia Costasol non sarà stato pari a quello della Firenze dei Medici, ma era molto più ampio di quello della maggior parte delle città della stessa dimensione dell'Europa e del nord America.

Persino io ero stato toccato da questa infezione di ottimismo e di creatività. Riposando accanto alla piscina, di sera, avevo messo giù lo schema di un libro, Marco Polo: il primo turista?, che avrebbe dovuto essere una storia del turismo dalle origini al declino dell'era dei viaggi. Dopo aver disperato di me per mesi, adesso il mio agente di Londra mi tempestava di fax, chiedendomi al più presto una scaletta più dettagliata. Giocavo spesso a bridge con Betty Shand e con gli Hennessy, ero sempre più riluttante a lasciare la Residencia per Estrella de Mar coi suoi lugubri ricordi dell'incendio degli Hollinger, ed ero addirittura stato tentato di interpretare una piccola parte nella produzione di "Ciò che vide il maggiordomo" di Orton.

Dal mio ufficio guardavo la piscina affollata, il ristorante e i campi da tennis, contento di aver fatto la mia parte nel riportare alla vita la Residencia. Sotto di me Betty Shand teneva corte nel bar all'aperto, gettando un occhio materno, ma non per questo meno inflessibile, su un bel giovane russo, Yuri Mirikov; l'aveva appena reclutato come istruttore speciale di «aerobica». Mentre guardava la scena attorno a sé, come un cobra flessuoso satollo dopo aver digerito una succulenta capra, vedevo quasi guizzare dietro ai suoi occhi gli incassi che si accumulavano.

La Residencia stava conoscendo un boom in ogni senso, un'economia di denaro, di talento e di orgoglio civico che non dava segno di surriscaldarsi. Yacht rimodernati e potenti motobarche affollavano il porticciolo, e Gunnar Andersson aveva dovuto reclutare una squadra di meccanici a tempo pieno per tener dietro al ritmo delle riparazioni e della manutenzione dei motori. Lo scafo semiaffondato dell'"Halcyon" stava ancora attaccato alla bettolina, come la carcassa di una balena dimenticata legata alla baleniera, ma era appena visibile in mezzo alla foresta di alberi rilucenti.

I soci affollavano adesso il balcone del mio ufficio, facendo le feste a un altro carro carnevalesco, una rappresentazione preparata dal gruppo di risposta rapida del servizio di sicurezza della Residencia. Recitavano tutti insieme l'arresto di due ladri d'auto di Fuengirola che operavano lungo la costa: i due ragazzi sbalorditi venivano abilmente immobilizzati e ammanettati. Però, in mezzo a tutto questo buon umore, una faccia triste c'era, un'espressione severa che l'aria di festa non riusciva a contagiare. Non appena il destino dei ladri fu deciso, in mezzo alle scariche dei walkie talkie e dei telefonini diffuse dagli altoparlanti, vidi Paula Hamilton fare il suo ingresso sul balcone. Indossava un vestito scuro e una camicetta bianca, e aveva con sé la sua borsa da medico. Contento di vederla, la salutai attraverso le finestre del mio ufficio, per quanto, col suo aspetto imbronciato e da cane bastonato, assomigliasse a un medico vagabondo che mendicasse, nel regno della salute, anche un solo paziente malato.

Dietro mia insistenza si era iscritta allo sport club, e spesso veniva a nuotare di mattina presto, infilandosi in acqua dopo che l'ultimo dei nottambuli, finiti i bagordi, era uscito dal parcheggio. Si esercitava con Helmut sui campi da tennis, cercando di controllare il suo gioco disordinato e l'agitarsi delle braccia. Una volta giocai con lei sino a sfinirmi, ma il suo stile era così opaco che pensai si fosse iscritta al club per ragioni tutte sue, forse per tenere gli occhi aperti su eventuali dottori che volessero farle la concorrenza sul suo territorio.

Dal bancone guardava il tableau vivant della sicurezza che passava di fronte al caffè, e per un attimo sorrise quando Bobby Crawford, che si era fatto prestare una camicia hawaiana, saltò sul carro e mimò un inglese sbronzo di birra. In pochi secondi aveva trasformato la rappresentazione della sicurezza in una farsa tipo "Scuola di polizia", con le guardie che inciampavano nelle proprie scarpe e inseguivano i telefoni cellulari che andavano per conto loro, mentre gli auricolari berciavano ossessivamente gli ordini.

Lei si girò, evidentemente turbata da qualcosa, e si accorse che la stavo osservando dal mio ufficio. Con un sorriso spento aprì la porta e si appoggiò al vetro.

«Paula... sembri stanca.» Le offrii la mia sedia. «Tutto questo rumore... forse hai bisogno di un drink.»

«Sì, grazie, lo prendo, Perché la felicità degli altri è sempre così stressante?»

«Eh, loro fanno festa. Siediti, ordino qualcosa. Quello che vuoi, fai tu la ricetta.»

«Niente. Solo un po' d'acqua minerale.» Adesso aveva un sorriso più aperto, che mostrava i suoi denti robusti: si gettò i capelli dietro le spalle. Guardava Crawford che faceva lo scemo, giostrando tre telefonini sotto una pioggia di petali e di coriandoli. «Bobby Crawford... è popolare, non è vero? Il tuo psicopatico santo. Tutti lo adorano.»

«Tu no, Paula?»

«No.» Si morse il labbro, come per cancellare il ricordo di un bacio. «Credo proprio di no.»

«Una volta significava qualcosa per te.»

«Adesso no. Ho visto la sua faccia nascosta.»

«Sarà nascosta, ma è sotto controllo. Non so perché tu sia così ossessionata da lui.» Con un gesto abbracciai la folla nella piazza, i fischi delle sirene e le nuvole di petali. «Guarda quello che ha fatto. Ti ricordi com'era la Residencia tre mesi fa?»

«Certo. Venivo qui spessissimo.»

«Infatti. Il posto era pieno di pazienti tuoi. Adesso non sono così tanti, direi.»

«Non ce n'è quasi più.» Mise la borsa sul mio tavolo e ci si sedette vicino, annuendo. «Qualche caso di leucemia che ho rimandato a Londra. Fratture alla tibia, per via di tutto questo inutile esercizio. E anche qualche caso di malattie veneree. Ma un po' di buona vecchia gonorrea non dovrebbe sorprenderti.»

«E infatti non mi sorprende.» Feci spallucce, tollerante. «C'è da aspettarselo, dato il grande turnover di partner sessuali. E' una malattia che deriva dal contatto sociale, come l'influenza, o il golf.»

«Ci sono altre malattie sociali, e qualcuna è molto più seria: la passione per la pornografia infantile, ad esempio.»

«Molto rara nella Residencia.»

«Ma sorprendentemente contagiosa.» Paula mi riserbava il suo sguardo da maestra più severo. «La gente che crede di esserne immune può infettarsi all'improvviso: è un tiro birbone che gli gioca tutto il porno che guardano.»

«Paula... abbiamo cercato di contenerla. Ma c'è un problema qui alla Residencia: non ci sono quasi bambini. Alla gente mancano, e così le fantasie sessuali si mescolano con la nostalgia. Non puoi darne la colpa a Bobby Crawford.»

«Gli do la colpa di tutto. Anche tu, tu sei responsabile quasi quanto Crawford. Ti ha corrotto del tutto.»

«E' assurdo. Sto progettando un libro, penso alle lezioni di chitarra, all'attività teatrale, mi sono rimesso a giocare a bridge...»

«Tutta scena.» Paula afferrò il mouse del computer e lo tenne stretto in mano, come se volesse stritolarlo, «Quando sei arrivato qui eri l'"homme moyen sensuel", pieno di menate su tua madre e di piccoli sensi di colpa per le bambine puttane che ti eri scopato a Bangkok. Adesso non hai più la minima preoccupazione morale. Sei il braccio destro dello zar della criminalità locale e non te ne accorgi neanche.»

«Paula...» Mi allungai e cercai di recuperare il mouse. «Ho più dubbi di quanto tu non creda.»

«Ti stai prendendo in giro da solo. Dai retta a me, sostieni quell'uomo con tutto te stesso.»

«Certo che lo sostengo. Guarda quello che è riuscito a fare. Non me ne frega niente di quanti corsi di scultura ci sono, l'importante è che la gente ha ricominciato a pensare, che tutti guardano con sincerità a quello che sono. Stanno costruendo un mondo che significa qualcosa, non stanno solo mettendo nuove serrature al portone. Dovunque giri lo sguardo, in Inghilterra, negli Stati Uniti, nell'Europa occidentale, la gente si chiude dentro delle enclave a prova di crimine. E' un errore: un certo grado di criminalità fa parte della necessaria durezza della vita. La sicurezza totale è una malattia, uno stato di deprivazione sensoriale.»

«Può darsi.» Paula si alzò e si mise a passeggiare per l'ufficio, scuotendo la testa all'indirizzo dei turisti festanti. «Domani parte, grazie a Dio. Cosa farete quando se ne sarà andato?»

«Tutto andrà avanti come prima.»

«Sei sicuro? Avete bisogno di lui. Avete bisogno di quell'energia e di quegli occhioni innocenti.»

«Ne faremo a meno. Quando la giostra ha cominciato a girare, non ci vuole altro che una spinta ogni tanto per tenerla in movimento.»

«Pensala come vuoi.» Paula fissava i pueblos lontani lungo la costa, coi loro muri bianchi illuminati dal sole. «Dove se ne va?»

«Segue la costa. Calahonda: è un complesso enorme. C'è qualcosa come diecimila inglesi laggiù.»

«Avranno una bella sorpresa. Così si trasferisce, e porta corsi di cucina e di tango alla gente ottenebrata dei pueblos. Recluterà un altro vagabondo eccitabile come te, e con un pugno di Polaroid, voilà, il poveretto vedrà la luce.» Si voltò a guardarmi. «Ci sarai domani al processo di Frank?»

«Certo che ci sarò. E' per questo che sono venuto qui.»

«Sei sicuro?» Sembrava scettica. «Lui ha bisogno di te. E non sei andato a trovarlo neppure una volta in prigione, a Malaga. Neanche una volta in quattro mesi praticamente.»

«Paula, lo so...» Cercavo di evitare i suoi occhi. «Avrei dovuto andare da lui. Quella dichiarazione di colpevolezza mi ha messo a terra: sentivo che stava cercando di coinvolgermi nelle sue angosce. Avrei voluto squarciare il velo sul caso Hollinger, ma poi è arrivato Bobby Crawford. Ho sentito le spalle liberarsi da un peso...»

Ma Paula non mi ascoltava più. Si era spostata alla finestra mentre arrivava l'ultimo carro, che portava un finto tramonto di rose su cui spiccava la scritta «Fine». Sul carro si stava svolgendo una festa rumorosa: una dozzina di ragazzi, residenti nel complesso, stava ballando una danza mista al suono della musica eseguita da una band di tre elementi. Ginocchia e gomiti sforbiciavano ai passi del charleston, le braccia si agitavano al ritmo dì un boogie-woogie anni Quaranta, i fianchi roteavano nel twist.

Al centro dei danzatori Crawford teneva il tempo battendo le mani, e guidando il gruppo in quella ridicola sarabanda. La sua camicia hawaiana era zuppa di sudore, e lui sembrava in pieno trip da cocaina, gli occhi alzati alle nuvole di coriandoli e petali come se fosse pronto a sollevarsi dal carro e volare via tra i palloncini.

Però non tutti i danzatori lo seguivano. Incespicante accanto a Crawford stava l'esausta e derelitta Laurie Fox, che. riusciva appena a spostare i piedi al ritmo della musica. Indietro di diverse battute, roteò barcollando fra i ballerini, poi crollò sul petto di Crawford, con la bocca socchiusa e gli occhi persi. I capelli, un po' ricresciuti, erano diventati un vello nero e riccio, ma lasciavano ancora intravedere le cicatrici, vestigia di falliti tentativi di autotrapanarsi. Il vestito sudicio era sporco del sangue che le era uscito dal naso ferito, e le sottolineava i seni che dondolavano come teste di ubriachi.

Sotto i nostri occhi la ragazza stramazzò a terra, vomitando tra i petali, e cominciò a cercare affannosamente l'anello che le era sfuggito dal naso sanguinante. Senza quasi interrompere la danza, Crawford la sollevò da terra e le fece coraggio, con un sorriso entusiasta e qualche schiaffetto affettuoso.

«Povera bambina...» Paula si nascose il viso dietro una mano, mentre con l'altra andava alla chiusura della sua borsa medica. «Probabilmente sono settimane che non inghiotte altro che tequila e anfetamine. Non puoi convincere Crawford ad aiutarla?»

«L'ha già fatto. Non sono così insensibile, Paula. Lei fa quello che vuole, per terribile che possa essere. Sta strisciando incontro alla sua morte.»

«Cosa diavolo significa? E adesso che lui se ne va che cosa succede? La porta con sé?»

«Può darsi. Ma ne dubito.»

«L'ha usata, ha lasciato che si degradasse per eccitare tutti gli altri.»

«Oggi poi non è la giornata migliore... il festival è troppo per lei. Giù al porticciolo le vogliono bene. Canta in un jazz bar vicino al cantiere. Perfino Andersson è uscito fuori dal suo guscio e ha cominciato a dimenticare Bibi Jansen. D'altra parte sta meglio laggiù che in un coma indotto dalla droga alla clinica Princess Margaret. La cosa più triste è che tu non sei l'unica a non capirlo.»

Indicai il carro che stava facendo il giro della piazza, con la band che si prodigava in un finale incandescente. Laurie Fox si era arresa, e ora sedeva sul pavimento, in mezzo al vomito e ai piedi dei ballerini. Accanto al carro, tra la folla, cercando di seguirla passo passo, camminava il dottor Sanger, con una mano levata per cercare di toccarle la spalla. Con una determinazione che sembrava incredibile in un uomo così esile e riservato, spingeva via dalla propria strada turisti e cameraman, e non staccava il suo occhio protettivo dalla ragazza, chiamandola quando sembrava che lei si addormentasse. Dopo la partenza di lei dal bungalow lui aveva girovagato per le strade e i bar della Residencia, contento che lei gli scoccasse anche solo un'occhiata, dalla Porsche di Crawford o dalla motobarca lanciata a tutta velocità per i canali verso il mare aperto. Lo osservavo spesso passeggiare intorno alla sua piscina e lavare ossessivamente la camicia da notte ormai inutile. Quando il carro fece il giro del centro commerciale mi aspettavo che Sanger saltasse a bordo: quanto a Crawford, non si accorgeva neppure dello psichiatra, tutto intento com'era a ballare in mezzo ai petali, la testa rovesciata all'indietro a guardare il sole.

«Pover'uomo... odio queste situazioni.» Paula voltò le spalle alla scena e girò attorno alla scrivania. «Io vado... sarai in tribunale domani?»

«Certo. Ma prima ci vediamo alla festa, stasera.»

«La festa?» Paula sembrava sorpresa. «Dove, alla tua villa?»

«Comincia alle nove. Hennessy avrebbe dovuto telefonarti. E' l'addio a Bobby Crawford. Facciamo una festa speciale per lui. Ci vediamo lì.»

«Non lo so. Una festa...?» Paula giocherellava con la sua borsa, come se non riuscisse a capacitarsi della cosa. «Chi ci sarà?»

«Tutti. La crema di Costasol. Betty Shand, il colonnello Lindsay, gran parte dei consiglieri, le sorelle Keswick, tutte le persone più in vista. Dovrebbe venire proprio un bel gala. Ha procurato tutto Betty Shand: buffet, champagne, tartine...»

«E tante righe di cocaina da bruciare il setto nasale?»

«Direi. Hennessy dice che ci sarà un barbecue speciale. Speriamo di non dar fuoco a tutta la casa.»

«E Crawford ci sarà?»

«All'inizio. Poi ci lascerà. Deve ancora fare i bagagli e poi partire per Calahonda.»

«Insomma, è una cerimonia per il passaggio delle consegne...» Paula annuiva fra sé e sé, col labbro inferiore stretto fra i denti, Il suo viso era più pallido, come se il sangue ne fosse improvvisamente defluito. «Ti passerà ufficialmente il suo flauto di Pan.»

«In un certo qual modo. Prima della festa giocherò l'ultima partita a tennis con lui.»

«E lui ti lascerà vincere.» Aprì e chiuse la borsa, poi mise a posto il mio calamaio e allora notò il mazzo di chiavi che avevo trovato nella limonaia alla casa degli Hollinger. Lo prese e lo soppesò in mano. «Le chiavi del tuo nuovo regno... di tutti i posti segreti di Bobby Crawford?»

«No, sono le chiavi di una macchina. Le ho trovate a... negli spogliatoi del Club Nautico. Le ho provate su un sacco di macchine, ma non entrano. Dovrei darle a Hennessy.»

«Tientele care... non si sa mai, ma potrebbero essere utili.» Prese la valigia e si avviò verso la porta, poi si voltò a guardarmi prima di darmi un bacio sulla guancia. «Divertiti alla partita di tennis. Forse dovresti legarti le mani dietro la schiena: è l'unico modo che hai per riuscire a perdere...»

 

Uscii sul balcone e seguii con lo sguardo la sua macchina che faticava a farsi strada fra i turisti: Paula suonava ostinatamente il clacson, come se sì rifiutasse di riconoscere i festeggiamenti. Non vedevo l'ora di ballare con lei quella sera. Come lei stessa aveva detto, la festa era una cerimonia di passaggio, anche se da molti punti di vista io avevo già sostituito Crawford nella gestione delle attività alla Residencia, Nelle ultime settimane lui aveva passato sempre più tempo lontano dal complesso, esplorando Calahonda e facendo dei test sulla possibilità di esportare lì il suo tonificante regime. L'amministrazione del suo impero sotterraneo la lasciava a me, fiducioso che avessi ormai accettato l'importanza dì tutto quello che aveva costruito.

I miei dubbi originari erano svaniti tutti, se si eccettuano quelli relativi a come aveva trattato Laurie Fox. Crawford si era preso cura di lei, l'aveva ammaliata, sempre al suo fianco quando giravano per i bar e i club la sera. Ma non aveva fatto alcun tentativo di frenare la sua fame di cocaina e di anfetamine, come se quella giovane ferita e malridotta fosse una creatura esotica da esibire in tutta la sua cupa gloria.

Sapevo che voleva punire Sanger per le colpe di quegli psichiatri che non erano riusciti ad aiutarlo quando era bambino. Durante le riprese nella villa, quando Laurie faceva del sesso nel mio letto con Yuri Mirikov, l'Adone russo di Betty Shand, a volte Crawford toglieva i drappi neri alle finestre, per schernire Sanger con le luci del film che si riflettevano come fiamme sulle pareti dei suoi bungalow. Lei era andata a letto con Sanger, sembrava voler dire, forse anche col proprio padre, e adesso ci andava con tutti gli uomini che Crawford raccoglieva durante i loro giri serali nei locali.

Io non prendevo parte a queste terribili riprese, che si erano sviluppate nel club cinematografico che avevo fondato, come d'altra parte cercavo di non farmi coinvolgere troppo nella cospirazione criminale che puntellava sotterraneamente la vita nella Residencia: le droghe fornite da Mahoud e Sonny Gardner alla rete di spacciatori, i servizi di massaggio e di accompagnamento in cui erano state reclutate tante vedove annoiate e anche qualche moglie più avventurosa, i cabaret «creativi» diffusi nella parte più corrotta della comunità, e la squadra muscolare formata da due ex dirigenti della British Airways che diffondevano tranquillamente effrazioni e vandalismo nella Residencia, danneggiando automobili e inquinando piscine per la buona causa della virtù civica.

Seduto alla scrivania, ascoltavo la melodia di "Iolanthe" e pensavo a Paula Hamilton. Una volta che Crawford avesse lasciato la Residencia le tensioni creative imposte da lui si sarebbero un po' allentate. Avrei potuto vederla più spesso, giocare a tennis con lei e magari avremmo potuto comprare insieme un piccolo yacht.. Immaginavo già le nostre gite lungo la costa, la sicurezza del nostro mondo privato, mentre il tagliamare frusciava e le bottiglie di Borgogna bianco stavano in fresco nella scia della barca...

 

La tenda del bar accanto alla piscina venne investita da spruzzi d'acqua. Sulla terrazza era scoppiato un parapiglia, rumori di mobili rovesciati, voci irritate, seguite dalle grida isteriche di una donna, a metà tra il riso e il pianto. Attirati dal clamore, i turisti attraversavano il parcheggio e tiravano le ultime stelle filanti verso la piscina. Incitandosi l'un l'altro, scavalcavano la bassa staccionata e si arrampicavano per il pendio erboso verso il bar all'aperto.

Lasciai l'ufficio e mi avviai per la terrazza ricoperta di petali. I soci attorno alla piscina avevano lasciato le sdraio e stavano raccogliendo asciugamani e riviste. Alcuni ridevano a disagio, ma la maggior parte sembrava sbigottita, e con le mani si riparavano il volto dagli spruzzi. Elizabeth Shand si era ritirata dietro il banco del bar, e rimproverava i camerieri cercando di spedirli verso la piscina. Gridava anche all'indirizzo di Bobby Crawford, che se ne stava tranquillo sul trampolino a osservare lo spettacolo che si svolgeva in acqua.

«Bobby, per l'amor del cielo, questo è troppo! Falli smettere subito! Charles, dove sei? Digli qualcosa!»

Mi feci strada fra i turisti assiepati attorno ai tavoli. Laurie Fox stava nuotando nuda nella piscina, battendo le onde con le braccia, mentre dal naso usciva una scia di sangue. Le sue cosce erano avvinghiate attorno ai fianchi di Mirikov, nel tentativo di fare del sesso con lui nell'acqua. Cacciando un urlo verso il cielo, premette i suoi seni insanguinati sulla bocca di lui, poi si voltò e cominciò a gridare all'indirizzo dei turisti che guardavano. Una mano annaspava cercando l'inguine del russo mentre l'altra sbatteva sulla superficie dell'acqua, scagliando schizzi insanguinati verso le gambe degli astanti inorriditi.

Accanto a me si fece largo fra la gente un uomo coi capelli bianchi, le labbra serrate bagnate dagli spruzzi. Ignorando Crawford, che stava tranquillo sul trampolino, Sanger fendette la folla dei turisti e gettò via a calci i tavolini. Senza neppure togliersi le scarpe, saltò nella piscina dalla parte dove si toccava e si avviò decisamente verso i due camminando nell'acqua che gli arrivava alla vita. Rovesciò sulla schiena l'imbarazzato Mirikov, spingendogli sott'acqua la testa bionda. Mentre Laurie Fox strillava come una pazza sputando sangue, Sanger la prese per la vita. I suoi piedi persero il contatto col fondo, e i due, allacciati, vennero sballottati dalle onde rosseggianti. I capelli bianchi striati di sangue, Sanger si tenne la ragazza stretta al petto e la riportò dove si toccava.

Tutti si fecero da parte mentre mi inginocchiavo e prendevo in consegna Laurie Fox dalle braccia di lui. Insieme la posammo sul bordo della piscina, mi mezzo ai petali e ai coriandoli inzuppati. Presi un asciugamano da una sdraio vicina e glielo drappeggiai intorno alle spalle, cercando allo stesso tempo di fermare il sangue che le scendeva dal naso. Sanger sedeva accanto a lei, troppo esausto per prenderle la mano, con l'acqua che gli ruscellava dalla giacca di seta. Sembrava impallidito e raggrinzito, come se fosse uscito da un bagno di formaldeide, ma i suoi occhi erano fermi e sicuri quando li alzò per fissare, dall'altra parte della piscina, Bobby Crawford.

Quando ebbe recuperato abbastanza forza per alzarsi, lo aiutai a rimettersi in piedi. Ancora stordito, fissava la giovane appena cosciente che allontanava a gesti, bruscamente, i turisti fattisi improvvisamente silenziosi.

«La porteremo alla mia macchina», gli dissi. «Vi darò un passaggio fino a casa. E' meglio che d'ora in poi stia con lei...»