12. Provocazione e inseguimento
A Estrella de Mar la devianza era una merce tenuta gelosamente sotto chiave. Sotto gli occhi sospettosi dell'autista, che annotava nella sua agenda elettronica il mio numero di targa, passai accanto alla Mercedes e imboccai il viale. Con i finestrini oscurati, la carrozzeria della macchina dava un'idea di paranoia e aggressività, come un'armatura medievale tedesca, e le ville vicine non erano da meno. I muri di cinta erano cosparsi di cocci di vetro, e le telecamere di sorveglianza mantenevano costantemente sotto controllo garage e portoni, come se dopo il tramonto le strade fossero percorse da eserciti di ladri e scassinatori.
Feci ritorno al Club Nautico, pensando alla prossima mossa da fare. Elizabeth Shand aveva un motivo plausibile per uccidere gli Hollinger, se non altro per mettere le mani su una proprietà immobiliare di prim'ordine, ma non avrebbe scelto un'arma così grossolana come un rogo. Inoltre, senza dubbio voleva bene all'anziana coppia, e i cinque assassini non favorivano certo gli affari, perché spaventavano eventuali investitori.
Al tempo stesso, però, la Shand mi aveva permesso di dare una sbirciata in un'altra Estrella de Mar, un mondo di stalloni importati e di altri simpatici passatempi, e di identificare Anne Hollinger. Seduto davanti alla televisione, riavvolsi la cassetta pornografica e feci scorrere nuovamente le scene di violenza, cercando di identificare anche gli altri partecipanti. Come mai questa ragazza ribelle e vivace si era fatta sfruttare per un film così smaccatamente brutale? Mi fermai sul suo spavaldo sorriso davanti alla telecamera mentre sedeva nel suo abito da sposa sgualcito, e la immaginai mentre faceva scorrere il nastro bucandosi nel bagno, nel tentativo di cancellare ogni ricordo dell'uomo dalla carnagione pallida che era stato così inflessibile nell'umiliarla.
Dagli occhi spaventati colava il trucco nero, e il rossetto le scivolava sulla bocca come se ansimasse. Tornai indietro fino al momento in cui entrava la seconda damigella, e la porta a specchio rifletteva per un attimo il balcone e le strade ripide sotto di esso.
Mi fermai di nuovo e aguzzai gli occhi per decifrare meglio l'immagine confusa. Fra le sbarre del balcone si vedeva la punta del campanile di una chiesa, e la sua banderuola segnavento si stagliava contro un'antenna parabolica bianca sul tetto di una casa vicino al porto. Con questi due riferimenti allineati si sarebbe potuta individuare la posizione della casa sulle alture sopra Estrella de Mar.
Mi allungai all'indietro e fissai il campanile, dimenticando per la prima volta il lanciapalle che sparava le sue palline sul campo. Adesso capivo che era questo che avevano voluto che io vedessi: questo scorcio della città, e non tanto lo stupro di Anne Hollinger. La squadra scientifica della polizia avrebbe scoperto la cassetta al primo istante, durante la perquisizione della stanza.
No, qualcuno aveva infilato la cassetta nel videoregistratore dopo aver saputo che Paula e io saremmo andati a vedere la casa degli Hollinger, qualcuno che confidava nel fatto che Cabrera sarebbe stato troppo occupato col rapporto dell'autopsia per ricontrollare i reperti. Mi tornò alla mente l'autista degli Hollinger, che continuava a strofinare la vecchia Bentley. Forse quel malinconico andaluso era diventato il confidente di Anne, e magari il suo amante? Il suo sguardo di sfida forse non esprimeva affatto la convinzione che io fossi colpevole quanto Frank, ma era forse un tentativo di segnalarmi qualche prova non ancora scoperta.
Quella sera alle otto avevo appuntamento a cena cori Paula al Restaurant du Cap, ma mi mossi un'ora prima per andare al porto a cercare l'antenna parabolica. I registi di film porno affittano spesso degli appartamenti lussuosi piuttosto che usare teatri di posa, che potrebbero essere individuati dalla polizia. L'esatta collocazione di quell'appartamento non mi avrebbe fatto avvicinare di un passo alla scoperta dell'assassino degli Hollinger, ma mi si stavano ingarbugliando attorno troppi fili, e più ne annodavo, minore era la probabilità di inciampare nel buio in cui mi aggiravo.
Mentre scendevo verso a porto, fra le botteghe antiquarie e le gallerie d'arte, esaminavo i tetti della città. Il campanile della chiesa anglicana, con la sua banderuola, si innalzava sopra Plaza Iglesias, ed era senza dubbio quello che si intravedeva nel film. Mi fermai sui gradini della chiesa, una struttura bianca geometrizzante che ripeteva più modestamente la Cappella di Ronchamp di Le Corbusier, e assomigliava più a un cinema dell'era spaziale che a una casa di Dio. La bacheca affissa all'esterno annunciava le prossime recite di "Assassinio nella cattedrale" di Eliot, incontri di beneficenza per gli anziani, e una visita guidata a una tomba fenicia situata sulla punta sud della penisola, organizzata da un circolo archeologico locale.
La banderuola puntava verso Fuengirola, ma non c'era traccia dell'antenna. Illuminato dal sole al tramonto, il profilo occidentale di Estrella de Mar andava dal Club Nautico alle rovine della casa degli Hollinger. Una dozzina di palazzi si affacciavano in basso dall'alta strada panoramica, come un dirupo di misteri. Sul tetto dello yacht club un'antenna parabolica bianca puntava verso il cielo, ma il suo diametro era almeno il doppio di quello dell'antenna del video.
I bar e i ristoranti lungo il porto erano affollati di residenti che si riposavano dopo una giornata di lavoro al tavolo di scultura o alla ruota del vasaio. Lungi dall'essere turbati dalla tragedia degli Hollinger, sembravano più vivaci che mai, e chiacchieravano rumorosamente da un tavolo all'altro dietro le loro copie della «New York Review of Books» e dei supplementi culturali di «Le Monde» e «Libération».
Intimidito da questa esibizione di cultura, entrai nel piccolo cantiere accanto al porticciolo; mi sentivo a mio agio fra i motori smontati e le pozzanghere d'olio. Gli yacht e le motobarche stavano appoggiate sui loro sostegni esibendo l'elegante geometria degli scafi veloci. Ma su tutte dominava una barca a motore di almeno dodici metri, con tre enormi motori fuoribordo attaccati alla poppa come i genitali di una macchina acquatica gigante.
Finito il suo lavoro di motorista, Gunnar Andersson stava accanto alla barca, lavandosi le mani in un secchio di detersivo. Mi fece un cenno di saluto, ma il suo viso secco e barbuto era chiuso in se stesso come quello di un santo gotico. Ignorando la folla serale, seguiva con lo sguardo uno stormo di rondini che si dirigeva verso la costa dell'Africa. La pelle degli zigomi e il cuoio capelluto erano tesi contro le ossa del cranio come sotto la pressione di una forza interna. Lo osservai mentre girava lo sguardo sulla confusione dei bar e sogghignava, e mi accorsi che controllava le sue emozioni momento per momento: sembrava che al minimo accenno di rabbia la pelle si sarebbe aperta sulle ossa stridenti.
Mi avvicinai a lui e rimirai la barca con la prua scolpita.
«E' potente, quasi troppo per essere bella», commentai. «Ma c'è bisogno di andare così veloci?»
Prima di rispondere si asciugò le mani. «E' una nave da lavoro. Deve guadagnarsi la giornata. Le barche della guardia costiera, a Ceuta e a Melilla, mica stanno ferme.»
«Ah, quindi arriva fino in Nord Africa?» Lui stava per allontanarsi, ma io mi sporsi verso di lui e gli strinsi la mano, costringendolo a guardarmi in faccia. «Signor Andersson? L'ho vista alla cerimonia al cimitero protestante. Mi dispiace per Bibi Jansen.»
«Grazie per essere venuto.» Mi squadrò dalla testa ai piedi, poi si rilavò le mani nel secchio. «Conosceva Bibi?»
«Mi sarebbe piaciuto. A sentire quello che si dice, doveva essere una ragazza molto allegra.»
«Quando la lasciavano fare.» Gettò l'asciugamano nella borsa. «Se non la conosceva, come mai era là?»
«In un certo senso sono coinvolto nella sua... morte.» Decisi di rischiare, e aggiunsi: «Mio fratello è Frank Prentice, il direttore del Club Nautico».
Mi sarei aspettato che si girasse verso di me e mi facesse una sfuriata rabbiosa, come quella che aveva fatto al cimitero. Invece tirò fuori la borsa del tabacco e cominciò ad arrotolarsi una sigaretta fra le dita robuste. Pensai che fosse già al corrente della mia parentela con Frank.
«Frank? Ho lavorato sul motore della sua nove metri. Se non vado errato, non mi ha ancora pagato.»
«E' in prigione a Malaga, come saprà. Mi dia la fattura, la salderò io.»
«Non si preoccupi, posso aspettare.»
«Potrebbe averne per un bel po'. Si è dichiarato colpevole.»
Andersson tirò una boccata dalla sigaretta male arrotolata. Qualche frammento di tabacco acceso si staccò dalla punta della sigaretta e andò a spegnersi sulla sua barba. I suoi occhi vagavano per il cantiere, evitando i miei. «Colpevole? Frank ha un umorismo tutto suo.»
«Non è uno scherzo. Qui siamo in Spagna, e lui rischia di farsi venti o trent'anni. Lei non crede che sia stato lui ad appiccare l'incendio?»
Andersson sollevò la sigaretta e tracciò un geroglifico nell'aria della sera. «Chi lo sa? Così lei è qui a Estrella de Mar per scoprire cos'è accaduto?»
«E' quello che sto cercando di fare.»
«Ma non è andato molto lontano.»
«A dire il vero, non ho fatto alcun progresso. Sono stato alla casa degli Hollinger, ho parlato con la gente che era lì. Nessuno crede che sia stato Frank, nemmeno la polizia. Forse dovrei assumere qualche poliziotto privato.»
«Da Londra?» L'interesse di Andersson nei miei confronti sembrava cresciuto. «Io non lo farei.»
«Perché no? Potrebbero trovare qualcosa che a me è sfuggito. Io non sono un investigatore di professione.»
«Butterebbe via i suoi soldi, signor Prentice. A Estrella de Mar la gente è molto discreta.» Fece un largo gesto per indicare le ville sulla collina, ben protette dalle loro telecamere di sorveglianza. «Vivo qui da due anni e ancora non so se questo posto sia reale...»
Lasciò il cantiere e mi condusse per il passaggio pedonale in mezzo agli yacht e ai cabinati all'ancora. Nel crepuscolo le barche, coi loro scafi bianchi, avevano un'aria spettrale, sembravano una flotta in procinto di salpare spinta da un vento fantasma. Andersson si fermò alla fine del molo, dove era attraccata una piccola motonave. Sotto il pennone del Club Nautico, sulla poppa, c'era il nome: "Halcyon". I nastri della polizia correvano tutto intorno ai bordi per poi finire in acqua, dove galleggiavano come stelle filanti di una festa ormai dimenticata.
«Lo "Halcyon?» Mi inginocchiai e mi sporsi attraverso i minuscoli portelli. «Questa è la barca di Frank?»
«Non troverà niente che le possa essere utile, a bordo. Frank aveva chiesto al signor Hennessy di vendergliela.»
Andersson fissava la barca, pettinandosi la barba con le dita, malinconico scandinavo esiliato fra gli scafi di plastica e i radar. Mentre i suoi occhi perlustravano il cielo sopra la città mi accorsi che guardava dappertutto, ma non la casa degli Hollinger. La sua naturale riservatezza sfumava in uno stato d'animo più triste, quasi sofferente, che a me appariva soltanto nei suoi lineamenti ossuti.
«Andersson, ho bisogno di sapere una cosa... lei c'era alla festa?»
«Per la regina d'Inghilterra? Sì, ho fatto il brindisi.»
«E ha visto Bibi Jansen sulla veranda, al piano di sopra?»
«Sì, era lì. Stava con gli Hollinger.»
«Le sembrava che stesse bene?»
«Fin troppo.» Il suo viso era attraversato da riflessi di luce provenienti dall'acqua scura che circondava gli yacht. «Stava proprio bene.»
«Dopo il brindisi lei andò nella sua stanza. Perché non è scesa giù a salutare lei e gli altri ospiti?»
«Gli Hollinger... non volevano che si mescolasse troppo con la gente.»
«Con la gente sbagliata? Il tipo di gente che poteva darle acidi e cocaina?»
Andersson mi guardò diffidente. «Bibi prendeva le droghe, signor Prentice... le droghe approvate dalla società. Sanger e gli Hollinger l'avevano convertita alla tranquilla principessina, il Prozac.»
«Comunque meglio dell'acido, per uno che è in overdose. O delle nuove anfetamine cucinate dai chimici nella loro roulette molecolare.»
Andersson mi mise una mano sulla spalla, compatendo la mia poca intuizione. «Bibi era uno spirito libero: i suoi migliori amici erano l'acido e la cocaina. Quando prendeva l'acido ci faceva partecipare ai suoi sogni. Sanger e gli Hollinger sono entrati nella sua testa e hanno portato via l'uccellino bianco. Gli hanno spezzato le ali, hanno richiuso la gabbia e hanno detto a tutti: "Bibi è felice".»
Attesi che soffiasse via l'ultima boccata di sigaretta, col volto aggrottato per dominare le sue emozioni.
«Deve aver odiato davvero gli Hollinger. Li odiava a tal punto da ucciderli?»
«Signor Prentice, se avessi voluto uccidere gli Hollinger il motivo non sarebbe stato l'odio.»
«Bibi è stata trovata nell'idromassaggio con Hollinger.»
«Impossibile...»
«Che facessero del sesso? Sapeva che era incinta? Era lei il padre?»
«Io ero il padre di lei. Eravamo buoni amici. Non ho mai fatto sesso con lei, neppure quando me lo ha chiesto.»
«Allora chi era il padre? Sanger?»
Andersson si asciugò le labbra, cercando di liberarsi dal sapore di quel nome. «Signor Prentice, da quando in qua gli psichiatri vanno a letto con le loro pazienti?»
«A Estrella de Mar lo fanno.» Salimmo la scalinata che dal porticciolo portava alla strada del porto, già congestionata dalla folla serale. «Andersson, laggiù è successo qualcosa di terribile, qualcosa che nessuno pensava potesse succedere. Non le piace guardare la casa degli Hollinger, vero?»
«Non mi piace guardare un bel niente, signor Prentice. Io sogno in Braille.» Si sistemò la borsa sulla spalla. «Lei è una brava persona, se ne torni a Londra. Torni a casa, torni al suo lavoro. Potrebbero aggredirla di nuovo. A Estrella de Mar nessuno vuole spaventarla...»
Si allontanò in mezzo alla gente, cupo patibolo svettante sopra la folla che allegramente andava a cena.
Aspettando Paula al bar del Restaurant du Cap, cancellai un altro nome dalla mia lista dei sospetti. Mentre ascoltavo Andersson avevo colto un accenno di complicità, forse lo stesso rincrescimento che aveva espresso Paula per essersi presa gioco degli Hollinger, ma ero sicuro che non li avesse uccisi lui. Lo svedese era troppo scorbutico, troppo immerso nel suo astio contro il mondo, per decidersi a un gesto così estremo.
Alle nove e mezzo Paula non era ancora arrivata. Pensai che fosse stata trattenuta alla clinica da un'emergenza, e mangiai solo al mio tavolo, tirando in lungo la bouillabaisse più che potevo, ma senza suscitare la curiosità delle sorelle Keswick * Erano le undici quando lasciai il ristorante, e i night-club lungo il molo erano già aperti, inondando di musica il porticciolo. Mi fermai al cantiere, e fissai la potente motobarca sulla quale aveva lavorato Andersson. Me la figuravo mentre polverizzava le lance della polizia spagnola e superava lo stretto di Gibilterra col suo carico di hashish e di eroina destinato agli spacciatori di Estrella de Mar.
Le scarpe risuonavano sui gradini di metallo che scendevano al porticciolo. Un gruppo di arabi stava tornando alla propria barca, ormeggiata nella rada a fianco del molo. Pensai che fossero turisti del Medio oriente che avessero affittato una casa per l'estate al Marbella Club. Nel buio la comitiva quasi sfavillava, con i completi di lino Puerto Banus, i Rolex e la seta più appariscente. Un gruppo di uomini anziani e di giovani donne francesi stava salendo a bordo di un cabinato ormeggiato a fianco dell'Halcyon. Maneggiando abilmente le gomene e i controlli del motore, stavano per salpare quando un giovane in un altro gruppo cominciò a gridare dai gradini del molo. Allora l'equipaggio si mise ad agitare i pugni e a sventolare i berretti all'indirizzo di una piccola barca con due motori che aveva mollato gli ormeggi e stava scivolando silenziosa nell'acqua tranquilla.
Come se non si rendesse conto di aver rubato una barca, il ladro stava tranquillamente in piedi nel pozzetto, con le cosce premute contro il timone. Il raggio del faro di Marbella spazzò il mare, sfiorandogli le braccia e i capelli chiari.
In pochi attimi era cominciata una furiosa caccia marina. Pilotato da due eccitati capitani, il cabinato uscì oscillando dall'ancoraggio, mentre le francesi sbigottite si aggrappavano ai sedili di cuoio. Senza preoccuparsi della barca che si precipitava al suo inseguimento, il pirata continuava a puntare verso il mare aperto lasciando appena una scia dietro di sé, e intanto salutava ironicamente i giovani furibondi rimasti sul molo. All'ultimo momento spinse avanti tutta la leva del gas e si infilò destramente in una striscia di acqua calma in mezzo agli yacht ormeggiati. Troppo maldestri per virare, i guidatori del cabinato proseguirono nella loro traiettoria e rasentarono il bompresso di un imponente dodici metri.
Il ladro tirò indietro la leva, accorgendosi che il cabinato adesso gli bloccava l'uscita in mare. Cambiando strada, si infilò sotto il ponte pedonale di metallo che portava all'isola centrale, un labirinto di canali e di uscite interconnesse. Cercando di tagliargli ogni via di fuga, in mezzo a una nuvola di gas di scarico il cabinato invertì la marcia, poi si impennò in avanti, mentre l'altra barca emergendo dalle tenebre gli compariva sotto il naso. Sempre al timone, con le gambe aperte ben piantate, il ladro girò elegantemente la ruota e virò inclinandosi attorno alla prua del cabinato. Finalmente libera, l'imbarcazione proseguì puntando verso le onde che avanzavano.
Mi appoggiai al muretto del ponte, insieme a tutta la gente che era uscita dai bar vicini con i bicchieri in mano. Insieme aspettammo che la motobarca scomparisse in una delle cento insenature lungo la costa, per scivolare col favore della notte in un porticciolo di Fuengirola o di Benalmadena.
Ma il ladro doveva ancora soddisfare la sua voglia di spettacolo. Nell'acqua aperta, a trecento metri dal molo, cominciò un gioco di provocazione e inseguimento. Il cabinato deviò seguendo la motobarca che girava in circolo e saltava agilmente davanti alla prua dell'inseguitore, come un torero che sfuggisse a un toro appesantito. Sull'imbarcazione sballottata dalle onde il capitano cercava di seguire le tracce della motobarca che si incrociavano, spazzando le onde con le luci di bordo. I motori della motobarca erano silenziosi, come se il ladro alla fine si fosse stancato di questo gioco e stesse per scomparire tra le ombre della penisola di Estrella.
Avevo deciso di andarmene, quando un'improvvisa fiammata arancione illuminò il mare, mostrando distintamente migliaia di creste d'onda e i passeggeri del cabinato in piedi sul ponte. La motobarca stava bruciando, mentre i motori continuavano a spingerla sull'acqua. Negli ultimi istanti prima che la prua si inabissasse, seguendo i pesanti fuoribordo, un'ultima esplosione investì i serbatoi del combustibile, immergendo il porticciolo e la folla in un alone rossastro.
Mi guardai le mani, che nell'oscurità sembravano luminose. La strada del porto era affollata di spettatori divertiti che erano usciti dai nightclub e dai ristoranti per godersi lo spettacolo, con gli occhi luccicanti come i loro gioielli estivi. Mano nella mano, una coppia allegra si dondolava vicino a me mentre un'auto si avvicinava. Quando la macchina passò accanto a loro, l'uomo diede una manata sul tettuccio. Allarmata, la guidatrice si girò a guardare, e nella confusione vidi per un attimo il viso preoccupato di Paula Hamilton.
«Paula!» gridai. «Aspettami... parcheggia vicino allo spiazzo per le barche!»
Era venuta a cercarmi, o mi ero sbagliato, scambiandola per qualcun'altra? L'auto attraversò la folla, poi lasciò il porto e si immise sulla strada costiera per Fuengirola. Sei o settecento metri più avanti, sotto le rovine di una torre araba, la macchina si fermò accanto alla spiaggia, smorzando le luci nell'oscurità.
Il cabinato fece un giro attorno ai rottami della motobarca, mentre l'equipaggio cercava fra le onde. Immaginai che il ladro stesse nuotando verso gli scogli sotto la torre araba, verso un appuntamento già deciso con la guidatrice della macchina, che lo aspettava come un autista aspetta l'artista dietro il teatro, dopo lo spettacolo serale.