19. Il complesso di Costasol

 

 

 

Silenzio bianco. Mentre procedevamo lungo la costa, un paio di chilometri a ovest dì Estrella de Mar, in mezzo ai pini di Aleppo che si levavano sulla spiaggia deserta cominciarono ad apparire le ville più esterne della Residencia Costasol. Gli appartamenti e le case erano disposti a vari livelli, formando una cascata di patio, terrazze e piscine. Avevo già visto i pueblos per turisti a Calabonda e a Torrenueva, ma il complesso di Costasol era molto più grande dei suoi omologhi lungo la costa. Eppure non si vedeva neppure un abitante. Nessuna finestra si apriva a catturare il sole, e tutto l'insediamento avrebbe potuto essere vuoto, in attesa che i primi nuovi proprietari si facessero vivi e ritirassero le chiavi.

Crawford indicò il muro di cinta merlato, «Guardala, Charles... è una cittadella medievale fortificata. E' lo spazio fortificato di Goldfinger portato a un'intensità quasi planetaria... sorveglianti, telecamere a circuito chiuso, nessuna possibilità di entrare se non per il cancello principale: è un complesso interamente chiuso agli esterni. t, triste, ma stiamo guardando il futuro.»

«Qui la gente è sempre via? Saranno tutti giù sulla spiaggia.»

«No, questa è la cosa più strana. Il mare è appena duecento metri più in là, eppure nessuna delle ville dà sulla spiaggia. Lo spazio è completamente rivolto all'interno...»

Crawford lasciò la strada costiera e scese in folle verso l'ingresso. Davanti ai cancelli moreschi e al posto di guardia si stendevano dei giardini grandi come un piccolo parco. Aiuole di piante tropicali circondavano una fontana ornamentale, a cui si accedeva da sentierini ghiaiosi che nessun piede aveva calpestato dopo il giorno dell'inaugurazione. Sotto un'insegna illuminata che proclamava «Residencia Costasol: investimento, libertà, sicurezza» c'era una mappa dell'intero complesso, un labirinto di viali tortuosi e di strade senza sbocco che emergendo dalle loro fortificazioni andavano a riunirsi alle grandi arterie centrali, di stile quasi imperiale, che si irradiavano dal centro della residenza.

«La mappa non è affatto per i visitatori.» Crawford si fermò davanti al posto di guardia e salutò gli uomini della sicurezza che lo guardavano dalla finestra. «L'hanno messa per aiutare gli abitanti a ritrovare la strada di casa. A volte qualcuno fa l'errore di lasciare il posto per un'ora o due.»

«Andranno bene a far la spesa. Estrella de Mar è solo a due chilometri.»

«Eppure ben pochi vengono a vedere la città. Per quanto li riguarda, potrebbero abitare in un atollo delle Maldive o nella San Fernando Valley.» Crawford si portò fino alla barriera di sicurezza. Estrasse dal taschino una smart card con il logo Costasol e la introdusse nella fessura. Alla guardia disse: «Staremo qua un'oretta. Lavoriamo per la signora Shand. Il signor Prentice è il nostro nuovo responsabile dei divertimenti.»

«Elizabeth Shand?» Ripetei mentre la sbarra ricadeva alle nostre spalle e noi entravamo nel complesso. «Non dirmi che questo posto è suo. E comunque, chi dovrei divertire, e come?»

«Stai calmo, Charles. Volevo solo impressionare la guardia. L'idea che qualcuno ci faccia divertire getta sempre la gente nel terrore. Betty compra e vende proprietà un po' dovunque. In effetti sta pensando di trasferirsi qui. Qualche villa è ancora invenduta, e ci sono anche degli spazi liberi nel centro commerciale. Se qualcuno riuscisse a rivitalizzare il posto ci sarebbe da fare una fortuna: qui la gente è agiata.»

«Lo vedo.» Indicai le macchine parcheggiate nei viali. «Ci sono più Mercedes e B.M.W. per metro quadrato qui che a Düsseldorf o a Bel Air. Chi ha costruito il tutto?»

«L'operatore più importante era un consorzio olandese-tedesco, con una ditta di consulenza svizzera che si occupava del...»

«Dell'aspetto sistemi umani?»

Crawford mi batté la mano sul ginocchio, ridendo soddisfatto. «Hai già imparato il gergo, Charles. Lo so, sarai felice qui.»

«Dio me ne scampi... ho l'impressione che la felicità costituisca un'infrazione ai regolamenti, qui.»

Percorremmo il vialone che tagliava il complesso da nord a sud, diretto verso il cuore della residenza, una strada a doppia carreggiata costeggiata da alte palme i cui ciuffi ombreggiavano i sentieri deserti. Gli innaffiatori facevano girare nell'aria profumata i loro arcobaleni, irrigando l'erba grassa e riccia della grande aiuola centrale. In mezzo ai loro giardini cinti di mura, le grandi ville erano allineate, i balconi protetti dalle tende profonde. Solo le telecamere di sorveglianza si muovevano per seguire il nostro cammino. La corteccia polverosa delle palme, a pelle d'elefante, tremolava sotto il riflesso delle piscine, ma non c'erano rumori, né di bimbi che giocavano né di altro genere, che disturbassero la calma quasi immacolata del posto.

«Tante piscine», commentai, «e nessuno che nuota...»

«Sono superfici zen, Charles. Perforarle porta male. Queste sono state le prime case costruite qui, circa cinque anni fa. Gli ultimi lotti sono stati completati la settimana scorsa. Non sembra, ma la Residencia Costasol è un posto di successo.»

«Quasi tutti inglesi?»

«Con qualche olandese e qualche francese: lo stesso mix che c'è a Estrella de Mar. Ma è un mondo completamente diverso. Estrella de Mar è stata costruita negli anni Settanta, e quindi accesso libero, festival di strada, turisti benvenuti. La Residencia Costasol è tipicamente anni Novanta. Regole di sicurezza. Tutto è stato progettato all'insegna dell'ossessione per il crimine.»

«Devo supporre che non ce ne sia traccia?»

«Nessuna. Assolutamente nulla. Mai un pensiero illecito disturba la pace. Niente turisti, niente campeggiatori o venditori ambulanti, e visitatori molto pochi: la gente qui ha imparato che è un bell'aiuto poter fare a meno degli amici. Siamo sinceri, gli amici possono essere un problema: bisogna aprire cancelli e portoni, disattivare sistemi di allarme, e c'è qualcun altro che respira la tua aria. E poi, gli amici portano dentro ricordi spiacevoli del mondo esterno. La Residencia Costasol non è l'unica. Ci sono enclave fortificate come questa un po' per tutto il pianeta. E qui sulla costa spuntano come funghi, da Calahonda a Marbella e oltre.»

Un'auto ci sorpassò, e la donna che la guidava svoltò in una strada alberata di ville un po' più piccole. Guardandola, capii che era la prima abitante che vedevo.

«E che cosa fa qui la gente tutto il giorno? O la notte?»

«Non fanno niente. E' quello per cui è stata concepita la Residencia Costasol.»

«Ma dove sono? Finora abbiamo visto solo una macchina.»

«Ci sono, Charles, ci sono. Stanno sulle loro sedie a sdraio aspettando che arrivi Paula Hamilton con una nuova ricetta. Quando pensi al complesso di Costasol pensa alla bella addormentata...»

Lasciammo il vialone e ci addentrammo in una delle dozzine di strade residenziali. Dietro i cancelli di ferro battuto stavano villette graziose, con le loro spianate che portavano alle piscine, pozze ovali azzurre di acqua immobile, Alla fine dei viali d'accesso si intravedevano case a tre piani, davanti alle quali stazionavano al sole le auto, ruminanti di metallo sonnecchianti, Ovunque antenne paraboliche puntavano verso il cielo come ciotole di mendicanti.

«Ci devono essere centinaia di antenne», osservai. «Per lo meno non hanno dato via la televisione.»

«Stanno ascoltando il sole, Charles. Aspettano un nuovo genere di luce.»

La strada si arrampicava adesso su per i fianchi di una collinetta verde. Oltrepassammo una proprietà di case a terrazza e raggiungemmo la piazza centrale del complesso. Parcheggi d'auto circondavano un centro commerciale con negozi e ristoranti, e lo indicai sorpreso i primi pedoni che vedevamo, occupati a scaricare carrelli da supermercato nei bagagliai delle loro auto. A sud della piazza si stendeva un porticciolo pieno di yacht e di motobarche, ormeggiati insieme come una flotta dì palline antitarma. Un canale di accesso portava al mare aperto, passando sotto a un ponte strallato sul quale correva la strada costiera. Il porticciolo e il suo spiazzo per le barche era dominato dalla sede del club, una bella palazzina la cui terrazza era però deserta, con le tende che sbattevano al vento sopra i tavoli deserti. Altrettanto poco frequentato era il vicino club sportivo, coi suoi campi da tennis polverosi sotto il sole, la piscina svuotata e dimenticata.

All'ingresso del centro commerciale c'era un supermercato, e accanto a esso un salone di bellezza, con le porte e le finestre chiuse. Crawford parcheggiò vicino a un negozio di articoli sportivi pieno di cyclette, di attrezzi a contrappeso, di apparecchi computerizzati per il controllo del cuore e della respirazione, disposti in modo invitante per quanto severo.

«Cling, clang...» mormorai. «Sembra un gruppo di famiglia di robot.»

«O una camera di tortura ad accesso facilitato.» Crawford scese dall'auto. «Facciamo una passeggiata, Charles. Devi sperimentare il posto di persona...»

Inforcò gli occhiali da aviatore e girò l'occhio tutto intorno al parcheggio, contando le telecamere di controllo come se stesse calcolando la via di fuga migliore. Il silenzio della Residencia Costasol sembrava già ovattare i suoi riflessi, così Crawford, per reazione, cominciò a simulare diritti e drive, con i piedi che scattavano come se aspettasse di rispondere a un servizio immaginario.

«Per di qua... se non mi sbaglio, là ci sono segni di vita...» Mi invitò a seguirlo nel negozio di liquori accanto al supermarket, dove una dozzina di clienti vagavano nell'ambiente ad aria condizionata e le ragazze spagnole alle casse sedevano come regine abbandonate. Gli scaffali di vini e liquori alti fino al soffitto, nella loro smisuratezza, ricordavano quasi una cattedrale, e negli abitanti e nelle loro mogli sembrava balenare un primitivo accenno di attività corticale mentre scorrevano prezzi e annate.

«Il cuore culturale della Residencia Costasol», mi informò Crawford. «Almeno hanno ancora l'energia per bere... il riflesso del gomito dev'essere l'ultimo a scomparire.»

Fissò i corridoi silenziosi, come a lanciare una sfida a quel mondo in cui nulla accadeva. Lasciammo il negozio di liquori e ci fermammo a guardare un ristorante tailandese, i cui tavoli vuoti si sottraevano a poco a poco alla vista, confusi in un mondo di tappezzeria a rilievo e di elefanti dorati. Accanto a esso c'era un negozio non affittato, un antro di cemento che sembrava un segmento spaziotemporale abbandonato. Crawford si fece strada in mezzo ai pacchetti di sigarette vuoti e ai vecchi biglietti della lotteria sparsi per il pavimento, e lesse un annuncio ormai sbiadito di un ballo per cinquantenni al centro sociale Costasol.

Senza aspettarmi, attraversò il negozio vuoto e per il parcheggio si diresse verso le ville a terrazze che costeggiavano il lato occidentale della piazza. Giardinetti ghiaiosi pieni di cactus e di altre pallide piante grasse portavano alle terrazze in ombra, dove i mobili da spiaggia sembravano attendere, come armature, gli esseri umani che a sera le avrebbero occupate.

«Charles, con discrezione, ma guarda dentro. Vedrai con che cosa abbiamo a che fare...»

Schermandomi gli occhi dal sole, guardai dentro una delle sale in ombra. Sotto la tenda si dispiegava la replica tridimensionale di un quadro di Edward Hopper. Gli abitanti, due uomini di mezza età e una donna sulla trentina, sedevano nella stanza silenziosa, con le facce illuminate dalla luce tremolante di una televisione. Non c'era espressione nei loro occhi, come se le vaghe ombre sulla tela che ricopriva le pareti avessero da tempo, e con successo, sostituito i loro pensieri.

«Stanno guardando la televisione escludendo il suono», dissi a Crawford mentre percorrevamo la terrazza, passando davanti a diversi gruppi come quello, tutti isolati nelle loro capsule. «Che cosa gli è successo? Sono come una razza aliena di un pianeta oscuro, che non riesce a sopportare la nostra luce.»

«Sono profughi del tempo, Charles. Guardati intorno: non si vede in giro un orologio, e anche al polso la gente ne porta pochissimi.»

«Profughi? E vero, in qualche modo questo posto mi ricorda il terzo mondo. E' come una favela di Rio, o una bidonville algerina, solo molto più di lusso.»

«E' il quarto mondo, Charles. Quello che aspetta di rilevare tutta la baracca.»

Tornammo alla Porsche e girammo attorno alla piazza. Guardai le ville e gli appartamenti sperando invano di sentire una voce umana che si levava, uno stereo troppo alto, il rimbalzo di un trampolino, e compresi che eravamo testimoni di un'intensa migrazione verso l'interno. Gli abitanti del complesso di Costasol, come quelli degli altri pueblos residenziali lungo la costa, si erano ritirati nelle loro sale in ombra, nei loro bunker con feritoie, e ormai, del mondo esterno, necessitavano solo di quella parte che le antenne dei satelliti distillavano per loro. Deserti sotto il sole, ì club sportivi, i centri sociali, e tutte le altre amene strutture progettate dai consulenti svizzeri, assomigliavano al set di una produzione cinematografica abbandonata.

«Crawford, è tempo di andarcene... torniamo a Estrella de Mar...»

«Hai visto abbastanza?»

«Ho voglia di sentire il rumore di quel tuo lanciapalle, e le risate delle donne alticce. Voglio sentire la signora Shand che fa una sfuriata ai camerieri del Club Nautico... Se lei investe qui perderà tutto fino all'ultimo centesimo.»

«Può essere. Ma prima di andare diamo un'occhiata allo sport club. E' mezzo abbandonato, ma ha ancora delle possibilità.»

Oltrepassammo il porticciolo e svoltammo nello spiazzo antistante lo sport club. All'ingresso era parcheggiata una macchina, ma nell'edificio vuoto sembrava che non ci fosse nessuno. Scendemmo dalla Porsche e passammo accanto alla piscina vuota, guardando il pavimento in pendenza che esponeva al sole le piastrelle polverose. Attorno alla bocca di scarico c'era una raccolta di fermagli per capelli e di bottiglie di vino che sembrava aspettare il ritorno dell'acqua per scorrere via.

Crawford sedette su una sedia del bar all'aperto, e mi guardò provare l'elasticità del trampolino. Cordiale e disponibile, mi guardava in un modo generoso ma astuto. come un giovane ufficiale che stia per affidare una missione delicata a una recluta goffa.

«Allora, Charles...» disse quando lo raggiunsi al bar. «Mi fa piacere che tu sia venuto a fare questo giro. Hai appena visto il video promozionale che viene mostrato a tutti i futuri proprietari della Residencia Costasol. Ti ha impressionato?»

«Senza dubbio. E' molto, molto strano. Comunque, sono convinto che la maggior parte dei visitatori, andando in giro, non noterebbe nulla di sconvolgente. A parte questa piscina e quei negozi vuoti, tutto è tenuto estremamente bene, la sicurezza è eccellente e non c'è traccia di graffiti da nessuna parte: per la maggior parte della gente questa oggi è l'idea del paradiso. Ma che cosa è successo, che cosa ha prodotto questo risultato?»

«Non è successo proprio nulla.» Crawford si sporse avanti sulla sedia, parlando con voce tranquilla, come se non volesse disturbare il silenzio. «Duemila e cinquecento persone si sono trasferite qui, per la maggior parte benestanti, e con tutto il tempo a loro disposizione per fare le cose che avevano sempre sognato di fare a Londra, a Manchester, a Edimburgo. Tempo per il bridge e per il tennis, per i corsi di cucina e di ikebana. Tempo per qualche storia e per fare casino in barca, per imparare lo spagnolo e per giocare alla borsa di Tokyo. Vendono e comprano la casa dei loro sogni, trasferendo tutto giù nella Costa del Sol. E poi che cosa accade? Il sogno si spegne. Perché?»

«Sono troppo vecchi? O troppo pigri per darsi da fare? Forse il far niente è sempre stata la loro aspirazione segreta.»

«Ma non è questo quello che volevano. Appezzamento per appezzamento, villa per villa, la Residencia Costasol è molto più cara di tutte le sue analoghe a Calahonda e a Los Monteros. Loro pagano un extra molto consistente per avere tutte queste attrezzature sportive e questi club per il tempo libero. E poi la gente qui non è così vecchia. Questo non è un quartiere geriatrico. La maggior parte di loro non è molto oltre i cinquanta: sono andati in pensione prima, hanno realizzato le loro azioni o venduto le compartecipazioni, hanno ricavato a massimo che potevano. il complesso dì Costasol non è Sunset City in Arizona.»

«Ci sono stato. Effettivamente è un posto vivace. Quei settantenni sono proprio esuberanti,»

«Esuberanti,.,» Pensoso, Crawford si prese la testa tra le mani, fissando le ville silenziose tutto intorno alla piazza, coi loro balconi in ombra, in attesa che non succedesse nulla. Ero tentato di fare un'altra osservazione pungente, ma vedevo che il mio compagno provava un interesse acuto, quasi impaziente, per gli abitanti della Residencia. Mi ricordava un giovane commissario dell'epoca dell'Impero di fronte a una tribù ricca ma indolente, che contro ogni previsione si rifiutava di lasciare le sue capanne. Dalla benda sul braccio era affiorato un po' di sangue che gli aveva macchiato la manica della camicia, ma evidentemente lui non aveva alcun interesse verso di sé, divorato da un fervore che sembrava del tutto fuori posto in questa terra di idromassaggi e di piscine.

«Crawford...» Tentando di rassicurarlo, dissi: «Che cosa importa? Se vogliono buttare via la loro vita sonnecchiando con il suono abbassato, lasciali...»

«No...» Crawford si fermò, poi mi prese la mano. «Importa, importa. Hai visto il futuro, e hai visto che così non funziona. Le Costasol di tutto il pianeta si stanno moltiplicando. Le ho viste in Florida e nel New Mexico. Dovresti vedere il complesso Fontainebleau Sud, fuori Parigi: è una replica di questo posto, ma grande dieci volte tanto. La Residencia Costasol non è stata messa insieme a casaccio da un costruttore insonnolito: è stata progettata accuratamente per dare la possibilità alla gente di una vita migliore. E che cosa hanno ottenuto? Morte cerebrale...»

«Non morte cerebrale, Bobby. Questo è il modo di parlare di Paula. La Costa del Sol è il più lungo pomeriggio del mondo, e hanno deciso di trascorrerlo dormendo.»

«Hai ragione.» Crawford parlava calmo, come se accettasse la mia conclusione. Si tolse gli occhiali da aviatore e fissò la luce abbagliante riflessa dalle piastrelle della piscina. «Ma io ho intenzione di svegliarli. Questo è il mio lavoro, Charles... non so perché sono stato scelto, ci sono capitato forse per caso, ma io devo salvare la gente e riportarla a vivere. Ho provato a farlo a Estrella de Mar e ha funzionato.»

«Forse. Non ne sono sicuro. Ma qui non funzionerà. Estrella de Mar è un posto reale. Esisteva prima che arrivaste tu e Betty Shand.»

«Anche la Residencia Costasol è reale. Troppo reale.» Crawford si rifugiava nella recitazione del suo ambiguo credo, ripetendo un'argomentazione che aveva provato, così supponevo, innumerevoli volte: un amalgama di best-seller allarmisti, di pillole di pensiero dell'«Economist» e di intuizioni ossessive elaborate da lui, che aveva combinato insieme sul balcone spazzato dal vento di casa sua. «E paesaggio urbano sta cambiando. Il progetto di una città aperta appartiene al passato: niente più ramblas, niente più isole pedonali, niente più rive sinistre e quartieri latini. Stiamo entrando nell'era delle griglie di sicurezza e degli spazi difendibili. E sono le telecamere di sorveglianza a organizzare le nostre vite. La gente chiude le porte e spegne il proprio sistema nervoso. lo posso liberarli, Charles. Col tuo aiuto. Qui può ricominciare tutto, qui alla Residencia Costasol.»

«Bobby...» Lo guardai negli occhi azzurri come il mare, occhi ipnotici, fissi su di me con uno strano miscuglio di minaccia e di speranza. «Non c'è niente che io possa fare. Io sono venuto qua per aiutare Frank.»

«Lo so, e lo hai aiutato, davvero. Ma adesso aiuta me, Charles. Ho bisogno di qualcuno che mi tenga la postazione, tenga d'occhio il terreno e mi avvisi se mi spingo troppo lontano: era il ruolo di Frank al Club Nautico.»

«Guarda... Bobby, non posso...»

«Ma tu puoi!» Crawford mi afferrò per i polsi e mi attirò verso di sé sul tavolo. Dietro la sua preghiera c'era uno strano fervore missionario che sembrava occupargli la mente come le visioni malariche di quel giovane ufficiale a cui somigliava, mentre cercava l'aiuto di un viaggiatore di passaggio. «Può darsi che non ce la facciamo, ma vale la pena di tentare. La Residencia Costasol è una prigione, proprio come il carcere di Zarzuella. Stiamo costruendo prigioni in tutto il mondo e le chiamiamo condomini di lusso. E la cosa terribile è che le chiavi sono tutte all'interno. Io posso aiutare la gente a spezzare le serrature e a uscire di nuovo all'aria aperta. Pensaci, Charles... se funziona potrai scriverci un libro, un avvertimento per il resto del mondo.»

«Il tipo di avvertimento che nessuno vuol sentire. Che cosa vuoi che faccia?»

«Dài un'occhiata a questo club. Betty Shand ha rilevato il contratto d'affitto: riapriamo fra tre settimane. Abbiamo bisogno di qualcuno che gestisca il posto per conto nostro.»

«Sono la persona sbagliata. Vi ci vuole un manager con dell'esperienza. Non sono capace di assumere e licenziare il personale, né di tenere i conti o di gestire un ristorante.»

«Imparerai presto.» Convinto di avermi ormai reclutato, Crawford indicò il bar con un gesto di noncuranza. «E poi, ristorante non ce n'è, e del personale si incaricherà Betty. Per i conti non preoccuparti, ché David Hennessv controlla tutto lui. Vieni con noi, Charles. Una volta che avremo avviato il circolo del tennis tutto il resto verrà da solo. La Residencia Costasol ritornerà a vivere.»

«Con qualche partita di tennis? Potresti organizzare Wimbledon qui e nessuno se ne accorgerebbe.»

«Se ne accorgeranno, Charles. Naturalmente non ci sarà solo il tennis. Quando hanno messo su il complesso di Costasol c'era un ingrediente che mancava.»

«Che cosa, il lavoro?»

«Non il lavoro, Charles. No.»

Mi fermai mentre lui fissava le ville silenziose attorno alla piazza e le telecamere montate sui lampioni mentre seguivano le auto che abbandonavano il centro commerciale. Il suo viso aperto ed entusiasta era segnato da una determinazione che doveva aver affascinato anche Frank. Quel modesto club sportivo, con i suoi cortili trasandati e la piscina vuota, era solo una pallida imitazione del Club Nautico, ma fingendo di dirigerlo sarei stato più vicino a Crawford e a Betty Shand, e avrei potuto almeno incamminarmi sul sentiero che aveva portato all'incendio della casa degli Hollinger e all'assurda confessione di Frank.

 

Nel porticciolo era entrato uno yacht, uno scafo bianco con le vele ammainate, che stava andando a motore. Al timone stava Gunnar Andersson, la figura allampanata alta come un albero di mezzana, la camicia svolazzante sulle spalle come un brandello di vela spiegazzata. Il natante sembrava trascurato, con lo scafo macchiato d'olio: ne conclusi che Andersson l'avesse portato fin lì da Tangeri seguendo le rotte delle petroliere. Poi notai il pezzo di nastro giallo che pendeva dalla murata di prua, ultimo vestigio dei nastri della polizia che avevano avvolto la barca.

«E' l'"Alcyon". Lo sloop di Frank... che cosa ci fa qui?»

«Giusto.» Crawford si alzò e salutò Andersson, che in risposta si levò il berretto. «Ne ho parlato con Danvila, e Frank è d'accordo: lo yacht sarà più al sicuro nel porticciolo di Costasol, senza il rischio di turisti che si portino via dei pezzi di manovre. Gunnar lavorerà qui al cantiere e rimetterà in sesto tutti questi motori artritici. Con un po' di fortuna faremo della regata del Costasol lo spettacolo più allegro di tutta la costa. Credimi, Charles, è l'aria di mare quello di cui la gente ha bisogno. Ah, ecco Elizabeth, sembra ogni giorno più bella. Salamino naturalmente è d'accordo con lei...»

La lunga Mercedes stava svoltando nel parcheggio dello sport club. Betty Shand sedeva dietro, allungata sui sedili di pelle, col cappello a larghe tese che le nascondeva A viso velato e una mano guantata appesa alla maniglia del passeggero, come per ricordare all'immane macchina chi fosse il legittimo proprietario. Il magrebino cotto dal sole sedeva al volante, i due giovani tedeschi sugli strapuntini dietro di lui. Quando la macchina si fermò accanto ai gradini Mahoud suonò il clacson, e un attimo dopo David Hennessy e le sorelle Keswick uscirono dal ristorante tailandese. Tutti insieme si avviarono verso il club, tenendo sotto braccio fasci di opuscoli della proprietà.

Nella piazza centrale della Residencia Costasol si stava radunando un gruppo di persone. Crawford, Elizabeth Shand, Hennessy e le sorelle Keswick si incontravano per discutere i loro piani sul complesso e i suoi abitanti. Il direttore del ristorante tailandese salutò i suoi ospiti che se ne andavano, non sapendo che il suo menu sarebbe presto cambiato.

«Betty Shand e le Keswick...» commentai. «Almeno il pesce sarà buono.»

«Charles? Sì, le Keswick stanno rilevando il ristorante tailandese. Loro sanno bene cosa vuole la gente, e questo è un grande aiuto. Quanto a te, hai deciso se vuoi lavorare per noi?»

«Va bene», dissi. «Rimarrò fino al processo di Frank. Ma niente di troppo impegnativo.»

«S'intende.» Crawford si sporse sulla tavola e mi afferrò le spalle sorridendo, senza curarsi di nascondere la sua gioia. Capii che per quei pochi secondi io ero diventato la persona più importante del suo mondo, l'unico amico su cui aveva fatto conto perché venisse in suo aiuto. Mentre mi guardava orgoglioso il suo volto sembrava diventato quello di un adolescente, i capelli biondi spioventi sulla fronte, le labbra divise a rivelare i denti immacolati. Mi strinse con le sue mani forti, e cominciò a parlare a valanga. «Sapevo che l'avresti fatto, Charles: sei proprio la persona che mi serve qui. Hai girato il mondo, capisci quanto c'è da fare qui se vogliamo aiutare questa gente. Oh, naturalmente avrai anche una casa insieme col lavoro. Te ne troverò una con un campo da tennis, così potremo giocare qualche partita. Scommetto che sei molto meglio di come dai a vedere.»

«Te ne accorgerai presto. Be', se puoi, dovresti pagarmi anche un piccolo salario. Spese vive, l'affitto della macchina, cose così. Attualmente non sto guadagnando una lira...»

«Si capisce.» Si allungò sulla sedia e mi guardò con affetto, mentre Elizabeth Shand faceva il suo ingresso trionfale nel club. «David Hennessy ha già firmato il primo assegno per te. Credimi, Charles, abbiamo pensato a tutto.»